4 ottobre 2017
LORENZO'S POV
Le nuvole grigiastre ricoprono il cielo solo in questa piccola zona, lasciandola nella penombra. Il sole, prima splendente, adesso si nasconde, probabilmente a causa dell'inquietudine del luogo.
I pochi alberi rimasti emettono suoni sibilanti come sospiri dalle loro cortecce graffiate, in cui sono incise delle scritte alquanto spaventose, o certe volte, segni incomprensibili.
Le foglie vengono strappate dal soffio di un vento abbastanza freddo e si ammucchiano ai piedi dei piccoli arbusti.
Il verso inconfondibile delle ranocchie e dei corvi riflette l'aria gravosa che trasmette questo posto. Il sottofondo dello scorrere dell'acqua affievolisce l'immagine tetra del piccolo boschetto, sebbene il grande edificio possa distogliere da questo piccolo particolare.
Un edificio interamente costruito in cemento armato scuro che si riflette in questa palude putrida e sinistra. Sarà formato all'incirca da cinque livelli, ognuno diviso in compartimenti. Lo si può notare dal modo in cui sono disposte le finestre completamente serrate e arrugginite.
Non mi sarei mai azzardato a venire in un posto simile se lì non si fosse rinchiusa la persona che amo di più al mondo, se li non fosse rinchiusa la mia anima gemella. Appena saputo dell'accaduto, ho iniziato a pensare che forse avrei fatto meglio a lasciarlo solo, ma poi mi sono ricordato che non posso permettergli di credersi un pazzo, perché lui non ha colpa. Non ha fatto niente di così grave per meritare tutto questo, ha solo amato la persona sbagliata.
Deglutisco appena mi ritrovo all'uscio del manicomio. Ho molta esitazione ad entrare, ma ho intenzione di farlo, solo per lui. Lentamente sollevo il piede, facendo leva con l'altro, e avanzo verso la mia fine.L'entrata sembrerebbe presentare un ospedale normalissimo. Le pareti bianche e striate non lasciano penetrare alcun suono al loro interno, ma è proprio a causa di questo effetto che il suono fittizio nella nostra testa si amplifica. Colonne di marmo bianco separano la reception, se così si può chiamare, da una sala d'attesa. L'unica sala che probabilmente non accoglie nessuno da molto tempo.
Il soffitto è delineato da curve grigie che si alternano a delle nere, le quali si riuniscono e si allontano, creando sfumature e figure vaghe e indefinite.
Sul bancone un telefono antico di colore giallo, molti rari ai giorni nostri, rompe l'atmosfera cupa e luminosa dell'entrata. Probabilmente non l'hanno sostituito, dato che nessuno chiama più.
Sempre al bancone, una vecchietta mi incita a raggiungerla. Controllo il cartellino che le circonda con delicatezza il collo lungo e grinzoso, notando principalmente la foto identificativa.
Da giovane, Glenda era una bella ragazza, ma adesso le rughe le danno un aspetto molto più scomposto e disordinato. I suoi capelli sono raccolti parzialmente in una treccia disfatta, altri scivolano dietro alle sue orecchie. Le labbra non hanno più il colore acceso di una volta, anzi, sono completamente differenti.
Lorenzo:"Sto cercando Pietro Ghezzi."
Sussurro quasi, ma comunque riescono a sentirmi. Il luogo è così silenzioso che anche un sordo ci riuscirebbe.
Aspetto che mi diano le indicazioni, dopodiché mi dirigo verso la sua cella, accompagnato da una guardia.Percorro un lungo corridoio molto stretto e quasi del tutto buio, illuminato soltanto da delle lampadine appese qua e là che certe volte si spengono e dopo qualche secondo di arresto si riaccendono.
Ogni cella è targhettata con un numero, ma nessuno è collegato all'altro. Ogni cella ha un numero diverso e non segue nessun ordine specifico.
Le celle sono chiuse ermeticamente, anche se sono divise dall'ambiente circostante tramite una lastra invisibile, la quale permette di osservare cosa succede all'interno.
Gli unici rumori sono quelli provocati dal tacchetto della guardia, la quale mi sta portando verso la cella più importante di tutte.
Scruto ogni cella nella speranza di incontrare i suoi occhi, ma riesco a intravedere solo scene e persone quasi imbarazzanti, o addirittura terrificanti.
Ho un nodo in gola che non mi permette di parlare, e le mie gambe sembrano quasi lasciarmi, iniziando a tremare di continuo a ritmo con il battito del mio cuore.
Guardia:"Siamo arrivati."
Dice la guardia, risvegliandomi dai pensieri contorti che mi stavo facendo.
Guardia:"Io rimango fuori. Se hai bisogno, chiamami."
Annuisco, mentre la guardia apre finalmente il divisorio trasparente. E per un attimo, mi dimentico di essere in un manicomio, appena rincontro i suoi occhi, prima così belli, adesso così spenti e pieni di malizia e terrore. Azzardo un sorriso, ma che reprimo subito. Lui non è cambiato molto fisicamente ma principalmente mentalmente.
Alza gli occhi verso di me, e posso giurare di aver notato un sorriso formarsi sulle sue labbra carnose, somiglianti molto a quelle di una donna.
Il suo viso imbronciato e arrossato non è cambiato di una virgola, anzi, si è allungato ed è dimagrito, molto.
Dopo diversi secondi di silenzio, affretto il passo e mi avvicino a lui, sedendomi sul lato destro del suo misero letto.
Lui non manifesta alcuna presenza, e io tanto meno cerco di parlargli. È inutile conversare con un non morto che non ti ascolta minimamente e che non è rinchiuso solo in un manicomio, ma anche in se stesso. È come se avesse abbandonato la sua vita per dedicarsi a una ascetica, dedita alla ricerca interiore di sé.
Dopo diversi minuti di puro silenzio, il corvino rompe la creazione imbarazzante creatasi.
Pietro:"È un piacere rivederti, tu."
Mi dice, come se non ricordasse neanche il mio nome, come se si fosse completamente dimenticato di tutto quello che abbiamo passato insieme. Io rimango scettico, ma so che non è colpa sua. È soltanto colpa di Lorenzo.
Lorenzo:"Anche io sono contento di rivederti."
Il ragazzo si morde il labbro e inizia a torturarsi la manica sinistra del lungo vestito di pezza che indossa.
Pietro:"Credevo che non ti avrei mai più rivisto. Sai, ora che sei di nuovo fidanzato con Serena."
Ho dovuto Pietro, ho dovuto farlo. Serena è una manipolatrice e mi ha costretto a raccontarlo a tutti. Io non la amo, ho sempre e solo amato te. Non potrei dirgli queste cose, ma adesso Serena non è qui e non può sentirci.
Lorenzo:"Serena mi ha manipolato. Ci ha manipolati. Io non sto davvero con lei. Ti sto solo protegg.."
La risata inquietante di Pietro spezza le mie parole e mi confonde, perché da quelle labbra pronunciate non ho mai sentito un riso più falso di questo.
Pietro:"Non importa se tu stai o non stai con Serena. Di te non mi interessa più nulla."
Il filo si contorce. Il filo si aggroviglia. Infine, il filo si spezza. Ciò che ci teneva legati, adesso si è rotto. Niente potrà sistemare le cose, e ormai lo capisco. Anche se mi credesse, gli ho arrecato troppo male. Anche se sapesse tutta la verità, non riuscirebbe a perdonarmi.
Nemmeno io riesco a perdonarmi per quello che ho fatto.
Mi avvicino a lui, cercando un contatto fisico. Intreccio per un attimo la mano con la sua, e lui la stringe. Sussulto per un attimo, cogliendomi impreparato. Inizia a stringerla sempre di più, ancora e ancora, iniziando ad arrecarmi dolore.
Mugolo qualcosa e inizio a mostrare i primi sintomi di dolore, ma cerco di trattenermi.

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A Pietrenzo story
FanficÈ semplicemente la storia di due ragazzi, due grandi amici, ma che all'inizio erano solo sconosciuti, non riuscendo a capire davvero cosa provassero l'uno per l'altro. Copertina by faivseconds