29 novembre 2017
PIETRO'S POV
La "Tavola Calda di Zio Bobby" è il luogo che preferisco qui, in una cittadina sperduta presso Milano. In realtà il suo nome è ben diverso, The Café, ma noi preferiamo chiamarla così. Il vecchio proprietario, il cosiddetto Bobby, aveva acquistato questo lotto molti anni or sono e poi aveva trasformato questo pezzo di terra in quello che oggi vale l'intera città. Dopo la sua spiacevole morte, gli sono succeduti i due figli che presero il comando della tavola. Fu un bel periodo che però è terminato tre anni fa. Adesso, la tavola calda che tanto ho amato appartiene a una nuova famiglia che lo ha completamente rinnovato. E con rinnovato, intendo distrutto. Le slot machines sono state rimpiazzate da vecchi scaffali polverosi, il televisore con cui molti fan accaniti una volta assistevano alle partite e urlavano incessantemente è stato sostituito da un ventilatore che può definirsi tale solo a causa del suo nome, il palco per le serate cabaret che ogni sabato accoglieva ragazzi da ogni parte è stato eliminato, e al suo posto nuovi tavoli e sedie coprono quell'ombra che non è del tutto scomparsa e che racconta ancora una storia lunga e tormentata. Sembrerebbe uno di quei soliti caffè inventati e mille volte visti e rivisti, eppure esisteva davvero un posto del genere poco tempo fa qui. Proprio qui. Al The Café.Mio padre lavorava qui quando ero piccolo, quindi era solito portarmi fuori in questa specie di bar. E mi piaceva, e tutt'ora mi piace ricordare le serate meglio spese della mia vita. Be', non solo le migliori, anche le peggiori. E nel peggio erano le più belle che io avessi mai vissuto. Perché è qui che ho conosciuto una delle persone più importanti della mia infanzia. E sono ricordi privi di anime e solo vuoti colmati da storielle stupide, ma a cui credevo. Credevo fossi scomparso davvero, che fossi davvero partito. Che sciocco ero, a quell'epoca.
Le ombre, proprio come quella del palco, ritornano e ti perseguitano come la vera prima volta. Ombre come Serena, ad esempio, ma anche ombre che non aspettavi riprendessero forma. E che riescono a farti impallidire in un solo fottuto secondo.Lui era il figlio di Robert, detto Bobby. Nicholas sapeva benissimo cosa faceva e cosa intendeva fare da grande. Avrebbe lavorato nell'azienda del padre e avrebbe riportato al vecchio splendore la vecchia tavola calda che in realtà era ancora fresca di pittura. Non è una storia così lontana dalla nostra realtà, anzi, è probabilmente la storia della realtà in sé. E anche un po' della mia di realtà.
Quindi, appena Lorenzo Ostuni entra da quella porta, subito capisco che è ora di raccontargli una ferita riaperta della mia noiosa vita. Be' forse non proprio così noiosa.
Più analizzo i movimenti del moro, più capisco che loro sono molto simili. La stessa postura, il volto simile, i capelli però totalmente diversi. Gli occhi che penetrano ogni angolo di te stesso e inoltre, condividono un segreto che neanche loro sanno di avere. Brillante e quasi affascinante.
E adesso un altro particolare. Il modo in cui Lorenzo saluta con la mano è così simile al suo. Insomma, sembrerebbe un semplice saluto come tutti gli altri ma quello di Nicholas e Lorenzo ha qualcosa che gli altri non possono e non potranno mai ottenere.
La mia attenzione.Lorenzo:"Perché proprio qui, Watson?"
Gli degno finalmente di uno sguardo appena azzarda una parola, o meglio, una domanda che non ha niente a che fare con il motivo per il quale ci siamo incontrati stasera. Almeno, il soprannome affibiatomi rende l'idea di cosa dobbiamo dirci, ancora una volta in totale segreto. Avremmo potuto incontrarci anche in una semplice caffetteria di Milano, ma ormai ci sentiamo osservati sempre e ovunque, come se il colpevole ritornasse sempre sulla scena del crimine. Ma questa volta non è un omicidio, è un suicidio per noi scoprire cosa sta succedendo. Mi chiedo quanto sia pericolosa la persona a cui ha accennato Serena.
Pietro:"Perché non posso essere io Sherlock per una volta?"
Mi rivolgo a lui quasi come se fossi deluso, e Lorenzo non può far a meno di ridere. Non so se ride più per il mio tono, o perché ho completamente ignorato la sua domanda e gli ho risposto contrattaccandolo con un'altra. Probabilmente ambedue.
Lorenzo:"Perché sono io che ha ricavato le informazioni, e tu sei il mio aiutante. Sbaglio o cerchi ancora di manipolare Alessandro?"
E questa volta mi sento di dargli ragione. Lui è Sherlock, io il suo braccio destro che fa lo sporco lavoro al posto suo. E mentirei se dicessi che non ho paura di ciò che succederà in futuro; perché sicuramente qualcosa accadrà, e io sarò lì nel bel mezzo del 'delitto', e crollerò di nuovo. Ancora un'ultima volta.
Accenno un sì silenzioso, e gli passo la parola, dato che adesso voglio rispondere alla sua domanda che sicuramente mi porrà di nuovo.
Lorenzo:"Allora, perché proprio qui?"
Pietro:"Prevedibile e sfacciato come sempre signor Ostuni, ma stavolta le risponderò e non ci girerò intorno."
E da quando è entrato dalla porta, nella tavola calda dello zio Bobby, questa è l'unica volta che non abbiamo posto un punto interrogativo al finale della frase. La prima vera conversazione tra due conoscenti, amici, compagni di avventura e ora investigatori privati. Mille costumi uno dopo l'altro, prima che le maschere venissero finalmente tolte.
Pietro:"Questo luogo è stato la mia infanzia. Inoltre, non credo ci abbiano seguito fino a qui. Comunque, Alessandro mi ha rivelato un dettaglio importante. Questo lui è il capo di tutto il piano e che le sue intenzioni sono ben altre. Probabilmente Serena ha rigirato il piano verso di lei e ci ha guadagnato. Traditrice due volte di fila."
Lorenzo sbatte il pugno sulla superficie del tavolo, ma con la sua estrema delicatezza neanche una mosca riuscirebbe a sentire il colpo.
Lorenzo:"Lo sapevo. Mi ha solo manipolato a suo piacere. Avrei dovuto fermarla prima che ci..insomma, ci dividesse."
Limitarsi a sorridere per le ultime parole è inevitabile, anche perché adesso i miei pensieri sono rivolti alla persona dietro al bancone, che lava i bicchieri e le tazzine da caffè sfregando la spugna per bene in ogni singola intimità di quell'argenteria. E Lorenzo sembra accorgersene della mia totale assenza, ma anzi, preferisce ancora discutere riguardo la nostra realtà attuale. Eppure, la vecchia realtà mi piaceva. Amavo stare in questo posto, ballare, ridere, giocare con lui. Nicholas era un bambino molto vivace al contrario di me, e a lui piaceva fare di tutto. Anche giocare con le slot machines, che sinceramente preferivo evitare. Ho scoperto con lui un lato di me che non avevo sfiorato minimamente. I ricordi sono brutte bestie, troppo brutte.
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A Pietrenzo story
FanficÈ semplicemente la storia di due ragazzi, due grandi amici, ma che all'inizio erano solo sconosciuti, non riuscendo a capire davvero cosa provassero l'uno per l'altro. Copertina by faivseconds