capitolo cinque

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Ero rimasta sola, seduta nel sedile dell'auto in possesso del Signor Styles, quando quest'ultimo si era incaricato di ritirare il nostro pranzo in un McDonald's, come l'aveva chiamato in precedenza.

Mi ero ritrovata in un momento di solitudine, ove il mio pensiero continuava imperterrito a ripetersi, rimembrando le tenebrose sensazioni che avevo incontrato durante la breve passeggiata tra quei curiosi passanti.

Così in un breve momento di debolezza, in quel pensiero la mia vista si annebbiò; si presentò la figura del Signor Styles, il quale camminava dandomi le spalle, mentre i passanti annegavano in uno sfondo composto solamente dal colore bianco, ed è in quell'istante, non appena esso si ritrovò abbandonato, che comparve la mia figura.

Era come se fossi stata il narratore esterno di un racconto, e avessi avuto quindi l'incarico di raccontare la vicenda così come si presentava.

Non appena arrivai ad affiancare l'uomo, il mio sguardo si alzò sul suo viso, ed i suoi lineamenti erano gli stessi nella realtà, con la stessa durezza che era solito mostrare da quando lo avevo incontrato. Egli si mosse di un passo verso la mia figura, al fine di aggrappare e tenersi stretta la mia mano, riempendo il mio cuore di forti pulsazioni.

Del resto, però, non accadde altro. Alla sprovvista, i miei occhi si aprirono con stupore, mi accorsi di avere una respirazione frettolosa, come se stessi provando fatica stando in una posizione ferma, ed una dolorante tachicardia, la quale pensavo mi avrebbe portato al rigettare la colazione.

Pensai però che questo non sarebbe potuto succedere, o almeno, non avrei mai voluto trovarmi nella posizione inferiore, intimidita da quella furiosa del Signor Styles, una volta aver marchiato la sua auto del mio vomito.

Perciò rasserenai il mio cuore con dei profondi respiri, probabilmente anzi, lo imposi alla mia malavoglia, accorgendomi poi di essere stata succube di un semplice, ma senz'altro ambiguo, sogno.

Con ciò, arrivai a realizzare che la mia dignità ostentasse a perdonare la rassicurazione che avevo provato nel momento in cui avevo accolto la mano del Signor Styles con la mia, trovando confortevole la sua azione.

Ero giunta, quindi, all'idea che mi fossi totalmente pentita dei sentimenti momentanei, i quali ora si erano convertiti in un sentimento di vergogna. Dopo aver passato un prolungato periodo a rimuginare sulla società, le relazioni dalle quali essa era formata, e anche le più improbabili conseguenze, la mia mente era capace di turbarsi anche per un tale franco contatto.

Per niente ero intenzionata ad abbandonarmi nella tentazione che la società mi aveva offerto e concedermi una nuova esperienza che non avevo scelto, bensì che mi era stata imposta. L'orfanotrofio riguardava la fase focale della mia vita, per lo più dove la mia mentalità si era ampliata, ero convinta che non avrei mai scordato un simile periodo, tantomeno che avrei rinnegato i concetti essenziali tradotti dalla mia poetica, fin troppo convincenti.

Nel momento in cui il Signor Styles era rientrato e aveva riempito l'interno del mezzo di un odore singolare, però, avevo avuto il coraggio di rimuovere il mio peculiare intelletto dalla mia visuale mentale.

Osservandolo, nel mio animo si instaurava l'ascesa del disprezzo che provavo nei suoi confronti, nonostante l'avessi incontrato da così poco tempo e occasionalmente avesse usufruito di parole gentili e atteggiamenti avvincenti.

"Beh, non la prendi?" quello che intendeva, me ne accorsi poco dopo, era che, da quando era rientrato in macchina, manteneva per aria una busta in cartone, in attesa che la prendessi.

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