capitolo ventuno

4.9K 122 10
                                    

In sintesi, io, William e Katherine avevamo aspettato la mezzanotte con interi bicchieri riempiti di qualche superalcolico della dispensa del padre del ragazzo.

Poco dopo aver mangiato l'arrosto di tacchino e la torta di mele, William aveva accompagnato i suoi fratelli a dormire e al ritorno aveva portato con sé diverse bottiglie contenenti un elevato grado alcolico, proponendo l'idea di procurarci del divertimento in quella macabra ma onesta maniera, che per certo ci si doveva aspettare da un gruppo di adolescenti riuniti nella stessa stanza e isolati da qualsiasi opinione adulta.

Doveva essere la seconda volta che prendevo in mano un alcolico, ma per come mi sentivo al momento, credevo che la mia prima esperienza fosse stata soltanto un assaggio di quel che in realtà significasse essere ubriaco; avevo come l'impressione di sentire il mio corpo collassare e di non aver più a disposizione alcuna energia, per via delle dilungate risate provocate da battute demenziali che non mi lasciavano neanche il tempo di riprendere fiato.

Ridendo tanto e per così poco, William cominciò a preoccuparsi che i gemelli si sarebbero potuti svegliare e vedendo quel che avevamo combinato, che ne avrebbero parlato con i genitori, perciò ci spostammo nel suo ampio giardino che dava sulla strada, portandoci dietro un mucchio di coperte da poter usare sopra l'amaca legata alle pareti; William si procurò una sedia perché temeva che dondolando poi avrebbe vomitato.

Fu Katherine per prima ad articolare dei brevi pensieri seri a riguardo della nostra amicizia; pur non avendo in mente una minima idea di quel che significasse realizzare delle lucide riflessioni, alle prime ore del mattino mi ritrovai a ragionare sulla reale importanza che si erano procurati i due presenti, quali con il loro solito sincero atteggiamento avevano favorito un forte e convincente legame tra noi.

Mi resi conto che il loro contributo era stato fondamentale agli inizi del mio rapporto con il Signor Styles e che grazie ai loro consigli avevo imparato più di quanto immaginassi nel dovermi integrare all'interno della società umana; proposito che negli ultimi anni aveva suscitato in me la cattiveria di una permanente ansia nel dovermi confrontare con l'intero processo che si era evoluto all'infuori dell'orfanotrofio.

"Ciao Mar" disse Harry, una volta che salii nella sua auto.

Tuttavia, purtroppo la commozione procurata da questi ricordi era presto stata soffocata da un eccellente imbarazzo causato dall'arrivo del Signor Styles, una volta che mi tornò in mente quella grave eccitazione di entrambi che avevamo lasciato incompleta all'interno del camerino del negozio d'abbigliamento, dal quale inoltre avevamo dovuto allontanarci dopo che diverse persone avevano riconosciuto Harry come il grande uomo d'affari.

Mi era toccato salutare in modo fugace William e Katherine, nonostante il contesto che si era creato durante la serata fosse stato piacevolmente accogliente a mio preavviso; l'argomento che l'altra ragazza aveva tirato fuori riguardava ogni figura presente nella stanza, quindi avevo apprezzato l'occasione per poter parlare apertamente senza che la terza persona potesse provare un sentimento di esclusione.

"Ciao" borbottai, probabilmente ero ancora un po' stordita dall'alcool, ma ero certa che il mio goffo portamento fosse dovuto anche all'imbarazzo circolante nell'aria.

"Hai bevuto?" chiese e pestò il piede sull'acceleratore solo dopo aver fatto riscaldare il motore della sua lucida auto nera.

"Perché?" chiesi, voltandomi a malapena per osservarlo; la mia vista era leggermente offuscata, tuttavia il suo viso era così vicino che non era necessaria tanta chiarezza.

"Odori dannatamente di qualche alcolico" rispose, mantenendo salda la stretta delle mani sul volante, lasciando distese le braccia lungo la mia visuale.

AmplessoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora