Capitolo 5: La tempesta.

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Erano le 04.30 circa quando Emma si svegliò.
Non capiva dove si trovasse. Solo dopo essersi strofinata gli occhi lo capì. Era nella stanza del capitano. Sul suo letto. Ma lui non c'era.
Decise, così, di uscire.
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La tempesta non era ancora cessata. Era anche più forte di quando era iniziata.
Uncino cercava, con tutte le sue forze, di superare quella tempesta.
Ma sembrava proprio che, quella notte, il cielo e il mare avessero tante cose da raccontarsi.
Il corpo del capitano, sotto i vestiti fradici, era freddo.
Non avrebbe resistito ancora per molto. Era esausto.
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Non appena uscì dalla stanza, Emma, notò subito una figura al timone. Non vedeva con chiarezza, quindi si avvicinò. Andando in contro a quella figura, iniziò nel vederne i capelli corvini completamente bagnati. Più in basso degli occhi stanchi, ma affascinanti. Notò anche dei vestiti di pelle nera, fradici anch'essi. Diede un ultimo sguardo a quella figura. Era il capitano. Era Uncino. Si avvicinò.
"Uncino?!"
L'uomo si voltò. "Swan, va dentro."
"No, ti tengo compagnia." Disse arrivando vicino al timone.
"Fa come vuoi." Le rispose secco.
Quel tono la faceva impazzire, non lo sopportava, ma decise di non dire nulla. Non voleva iniziare a discutere con lui.
"Grazie per avermi portata dentro, comunque."
"Di nulla."
La tempesta si era calmata. Era diventata solo pioggia. Poi cessò. 
"Finalmente è finita!" Esclamò Emma.
Lui non rispose.
Le gambe non riuscirono più a reggerlo. La sua vista si appannò.
"Uncino?!"
Il capitano non riusciva a muoversi.
Si accasciò a terra, sul legno freddo e bagnato della nave, svenuto.
Emma non sapeva cosa fare. Chiamava aiuto, ma nessuno la sentiva.
"Aiuto, Uncino, il capitano sta male. Vi prego, venite ad aiutarmi."
Nessuno andò ad aiutarla, quindi cercò di portare Uncino al caldo.  Da sola.
Si mise il braccio di Uncino intorno al collo e mise il suo dietro la schiena di lui.
Anche se con fatica, riuscì a portarlo nella cabina in cui lui aveva portato lei ore prima. Lo posizionò sul letto.
Cercava di farlo rinvenire in qualsiasi modo.
Lo chiamava per nome, ma sembrava non la sentisse.
Decise, così, di prendere un pezzo di stoffa e bagnarlo col rum che Uncino teneva sempre con sè e tenerlo fermo sotto le sue narici.
Sembrava non funzionare, quindi si sedette accanto a lui, sul letto, e iniziò a raccontare delle cose.
"Sai? Quando ero piccola adoravo raccogliere i fiori in un giardino molto speciale e soprattutto molto lontano da casa mia. All'età di sette anni ho imparato a cavalcare e a dieci ho imparato a tirare con l'arco. Anche se all'insaputa dei miei genitori. Infatti, pensavano che una bambina come me dovesse solo giocare con le altre bambine viziate e raccogliere fiori. Inoltre, avrei tanto voluto imparare ad usare la spada, ma non me lo hanno mai permesso."
Uncino le strinse il polso con la mano.
Emma sorrise. "Continuerò a parlare finchè non mi dirai di stare in silenzio."
"Ho avuto una vita molto noiosa, ecco perché ho deciso di scappare."
Emma continuava a parlare e parlare, diceva tutto ciò che le passava per la mente.
Uncino aprì leggermente gli occhi.
"Posso insegnarti io ad usare la spada." Sussurrò Uncino.
Emma era così contenta. Finalmente si era svegliato.
Istintivamente lo abbracciò.

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