1) Melodia di giugno

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Un mese dopo.
20 Giugno 2017.

Il sole, alto e maestoso, aleggiava in tutta la casa, l'avevamo scelta proprio per quella caratteristica.
Non era mai priva di luce.
E in cuor nostro speravamo che anche la nostra quotidianità fra quelle mura, vivesse con quella prerogativa.

L'atmosfera che avevamo ricreato, ricordava gli anni '50 e anche il vinile che risuonava musiche dell'epoca, contribuiva a ciò.
In più, i pois erano tornati di moda, pensai lasciandomi avvolgere da quel vestito che avevo comprato una decina di anni prima, ma che mi cadeva ancora a pennello.

Attendevo la tua chiamata mattutina, che sarebbe arrivata non prima delle undici, visto che facevi tardi una sera sì e l'altra pure.
Avevo dimenticato persino dove ti trovassi esattamente, coinvolto com'eri, in quel via vai in lungo e in largo per l'Italia.

Da quando avevamo preso casa insieme, potevano contarsi sulle dita della mano i giorni che avevi trascorso qui, nel nostro nido.
Ero per la gran parte del tempo da sola, io e il mio lavoro, la cosa che più ambivo e da cui quasi dipendevo, adesso sembrava una condanna che mi tratteneva lontana da te.
Quasi detestavo quelle pagine bianche sempre uguali, da riempire di parole vuote, cariche solo di preamboli, eloggi e critiche costruttive.

Serviva una svolta a me che ero perennemente in evoluzione, ma che nell'ultimo periodo mi sentivo bloccata ad un punto fisso: l'attesa.
Di una rivalsa, di una vita in due che contro tutte le nostre promesse, non avevamo ancora gustato.

L'eterna pressione esterna, mi portava ad innervosirmi e perdere la pazienza con facilità.
Le continue allusioni ad una nostra rottura, solo perché una nostra foto non faceva capolino giornalmente sui social.
E al pensiero di aver creato io stessa, inconsapevolmente, quella condizione, mi faceva provare ancora più rabbia verso me stessa.
Avrei voluto urlare attraverso quella tastiera che era tutto apposto, che anche se a rilento, quella storia consumava i nostri cuori e riempiva la nostra anima.
Ma quei finti leoni, non meritavano tutta la mia profondità.

Fino a che punto puoi trattenere il fiato prima di esplodere?
Stavo scoppiando, oppressa dai miei stessi sentimenti.

La caratteristica che mi contraddistingueva, era l'impulsività, che avevo tentato di soffocare in quei mesi per non destabilizzare gli equilibri, ma ora quegli equilibri stavano destabilizzando me.
Era arrivato il momento di reagire.

I vestiti a pois diventarono tre, se non quattro, intrappolati in una valigia di fortuna troppo piccola per contenere le mie paure, oltre al mio equipaggio di cosmetici.

Quella dimora presa in affitto per permettere di avere la mia privacy e lasciare a Marta i suoi spazi, mi aveva dato l'illusione di aver affrettato i tempi con te.
Anche se la nostra, non era una convivenza ufficiale, quell'appartamento situato in una zona periferica di Milano, era stato solo il nostro ritrovo dell'ultimo periodo.

Anche se dalla tua ultima visita qui, sembrava passata un'eternità.

Mi avevi avvisato, sarebbe stato difficile, a tratti impossibile, ma io mi ero sempre ripromessa di reggere il peso di quella mancanza, che soprattutto in una frequentazione iniziale, pesava come un macigno.

Ora mi ritrovavo in un treno, l'ennesimo, con la volontà di raggiungerti, cosa che non avevo più fatto nelle ultime settimane, per non invadere gli spazi fra il tuo lavoro e la nostra vita.

Ma serviva dare una boccata d'ossigeno diversa alle mie giornate e quello me lo potevi donare solo tu.

Nessuna improvvisata, ti chiamai, ti chiesi dove ti trovassi e mi misi in partenza.
Senza domande e senza pretendere risposte.

L'ossigeno non è respirare {Ermal & Frida}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora