24) Nel silenzio di mille parole

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Ho fatto finta di dimenticare il finale di quell'incontro.
Io che mi metto addosso un finto velo di indifferenza e tu, che ti limiti a chiudere la porta della tua stanza, come a delimitare un confine che sai, non valicheró più.

Ho stretto il cappotto, e atteso un taxi incurante della totale assenza di gente, attorno a me.
Un buio pesto illuminato solo da un lampione e dal mio orgoglio, quello scenario avrebbe spaventato chiunque, ma non me.
Avevo rifiutato riparo, carezze e calore, perché mi sembrava irrispettoso per me stessa, accettarle.
Adesso mi trovavo su un sedile posteriore di fortuna, in una Roma che non ricordavo così spettrale e cupa, come queste mie paure, che non fanno altro che allontanarci.

La mia amica mi attende sull'uscio della porta ma non fa domande quando arrivo, mi indica la solita stanza in cui sfogarmi indisturbata.
Trovo un letto caldo su cui poggiare il viso colmo di lacrime inconfessabili, e la dimora di Marta e Fabrizio, così accogliente e amorevole, sembra la medicina giusta, per il mio cuore in rovina.

Do un occhiata al cellulare, è più silenzioso del solito, ma non me sorprendo.
Non l'ho afferrato per controllare le notifiche o i messaggi, so già che nessuno mi cercherà perché immaginano una svolta diversa per questa serata.
Invece sono qui a scorrere il dito tra un tuo sorriso e una mia smorfia, impressi sulle decine di foto che custodisco come fossero un tesoro.
I panorami sono sempre differenti, ma i nostri visi hanno tutti stampata un'espressione di felicità impagabile, che sono terrorizzata all'idea di non riprovare più.
Mi prometto di non ripensarci e crollo, in una posizione che non prediligo, merito della comodità di quelle coperte che mi avvolgono.

Dal mio rientro a Milano, il mattino seguente a quella notte infernale, potrei raccontare una serie di giorni trascorsi in maniera identica, ma non ho mai amato dilungarmi in preamboli senza sostanza.
La mia routine è noiosa come le cene e i pranzi ad orari prestabiliti, ed è una delle abitudini che non appartenevano alla nostra quotidianità.
Mi vieni in mente quando penso a qualsiasi cosa.
Forse, perché sapevi spaziare insieme agli argomenti che ogni giorno mi proponevi, con curiosità di scoprire come la pensassi a riguardo.
Era un confronto alla pari, uno scambio continuo di idee in cui ci piaceva imparare l'uno dall'altro.

Ad esempio, una volta mi raccontasti di quella tua esperienza a Miami, quando ti capitò di suonare in un locale e non eri stato contento del tipo di clima che avevi percepito.
È vero, siamo un popolo di disinteressati, siamo colpiti dall'apparenza, e detestiamo tutto ciò che non riusciamo a capire a primo ascolto.
Siamo imboccati da un sistema che ci regala tutto e subito e non desideriamo nulla.
Alla fine di quella tua analisi, avevi pensato che gran parte di quella gente non meritava la tua stima e che quella non era una cultura che ti apparteneva.
Ti ho dato ragione in quell'occasione, pur continuando a non capire allora cosa ti avesse spinto a stare con me, che nelle parvenze ho tutte le caratteristiche di una ossigenata Americana tutta spiaggie e divertimento.

«Tu non sei come loro...» Aggiungesti alla fine del racconto.
«Scavi a fondo, cerchi di cogliere. Mi sono sempre sentito nudo davanti ai tuoi occhi. Hanno sempre scrutato in profondità la mia anima. Inizialmente ero terrorizzato dal fatto di essere completamente un libro aperto per te.»

Ti sbagliavi.
Se fossi stato così prevedibile per me, adesso non starei qui con tanti problemi sul non sapere quale strada percorrere senza il tuo appoggio.

Tutto fila liscio, all'orizzonte non c'è nessuno ostacolo. Tutto è piatto e inalterato dal mio umore anestetizzato ad una finta rassegnazione.
E se mi volto, tu non ci sei.
È questo che fa più male.
Sapere che da qualche parte continui a sopravvivere, ad illuminare l'esistenza di chi hai intorno, mentre su di noi hai preferito calare il sipario.

Siamo in quella fase in cui, per usare una metafora, proviamo a mettere via l'acqua sperando di non avere più sete.
Attendiamo inermi la mossa altrui senza muovere un dito, chissà se proveremo a spegnere una volta per tutte, questa insaziabile voglia di un riavvicinamento, a cui non sappiamo dare inizio.

L'ossigeno non è respirare {Ermal & Frida}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora