9) Eppure mi hai cambiato la vita

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Una villa fuori città. Con l'interruttore della pressione quotidiana staccato da quando avevamo varcato la soglia.

Tentammo di lasciarci alle spalle per qualche ora, tutto il turbinio di impegni che facevano parte delle nostre giornate.

Farlo a bordo piscina, sorseggiando un cocktail diverso ogni giorno, avrebbe reso il raggiungimento di quel tentativo più semplice.

Sfioravi le corde della tua chitarra, con i piedi che penzolavano da dentro la piscina in cui li stavi bagnando, quando decisi di sedermi accanto a te.
Non esisteva luogo in cui non la portassi con te, dovevi sentire quel contatto sotto le tue dita, per sentirti rigenerato.

Mi accasciai con la testa sulle tue gambe, mentre tu continuavi a suonare una melodia nuova, che sembrava catapultarmi in un emisfero fatato in cui le uniche sfumature contemplate erano quelle del lilla, al tramonto.

E delle foglie d'autunno dei tuoi occhi, di un marrone avvolgente, in piena estate.

La tua voce, che accennava un testo dei
Radiohead di cui non ricordavo il titolo, mi faceva rabbrividire come l'inverno che desideravo di provare sulla pelle.

«Ti vedo pensierosa...» Dicesti alla fine di quella performance che mi avevi riservato.

«Esiste un momento della giornata in cui non ho la testa fra le nuvole?» Risposi, sollevandomi, di ritorno dalla dimensione celestiale in cui mi avevi trasportato con la tua musica.

«Oggi più del solito. Ti sento distaccata.»
Adoravo la tua necessità di toccare una parte del mio corpo, quando mi avevi vicino, e il più delle volte, come in questo caso, era il viso.
Lasciavi lunghe carezze, tocchi impercettibili, come la delicatezza delle tue mani.
Pulite.
Infinite.

«Forse un po', ma solo perché mi sto preparando all'idea di separarmi di nuovo da te.» Poggiai a mia volta, la mia mano sulla tua, che nel frattempo aveva raggiunto un angolo del bacino, un altro punto che prediligevi.
Volli rassicurarti.

«Di solito, in questi casi, si fa scorta di coccole.
Non si viaggia con la mente. »
Entrambe le mani, tenevamo in ordine i miei capelli, mentre il tuo naso sfiorava il mio.
Il secondo che precedeva il bacio, era più bello del bacio stesso.
Potevo fare scorta del tuo respiro, del tuo sguardo su di me, del naturale profumo della tua pelle.

«Ho solo paura che tu possa stancarti di ciò che abbiamo, che tu possa volere altro.»

Ero lì pronta a ridergli in faccia, se mi avesse risposto con la battuta sul "pane che anche se vecchio non si butta."

«Tu ti stanchi mai di ciò che ti fa stare bene?»
Lasciai che finalmente si liberasse di tutta la trepidazione con cui attendeva di far incontrare nuovamente le sue labbra con le mie.
E mi avvolse in bacio lento e calcolato, devastante.

«Anche la riproduzione casuale ce l'ha con me.» Dissi interrompendo quella magia, con il mio solito poco tatto, le note di "Eppure mi hai cambiato la vita", che tuonavano in sottofondo, si appropriarono di tutta la mia attenzione.
Qualcuno dei nostri amici aveva messo su quella canzone di Fabrizio Moro. 

«Perché?» Chiese, confuso, uscendo le gambe dall'acqua e incrociandole in modo da potermi avere di fronte.

«Mi ritornano in mente alcuni momenti...» Il mio non era il tono di una disposta a dare spiegazioni. Ero stata pervasa da emozioni che volevo tenere per me.

«Quando hai visitato via delle Girandole?»

Quella battuta insensata e dovuta dalla volontà di capire il mio atteggiamento di chiusura, in realtà, mi fece serrare ancora di più le braccia, imprigionando le mie sensazioni al loro interno
Quando voleva, sapeva usare il suo sarcasmo, come un arma letale.

L'ossigeno non è respirare {Ermal & Frida}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora