Intermezzo {Portami via da te}

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Di lui, presi poche cose come si farebbe per scappare da una città in fiamme e per non odiarla intera.
Da una Bari che era pronta a donarmi tutto, se solo glielo avessi permesso.

Quella notte, il mio cuore non si nascondeva tra le luci di Roma.
Era macchiato di una colpa inesistente, che era fermamente convinto di non aver commesso e squarciato dell'indifferenza con cui lo avevi rifiutato, come qualcosa che non ti apparteneva più.
Un treno, l'ennesimo, verso una città che sembrava parlarmi di te, ma in cui avrei trovato l'unica persona pronta a rimettere ordine alla mia anima smarrita, in cerca di carezze. E di rassicurazioni.

Mi sembrava di non riconoscerti, quando mi avevi gridato in faccia tutto il tuo disappunto per un articolo non scritto da me.
Ti avevo chiesto di tutelarmi, di non dare addosso al giornale per cui lavoravo.
Di attendere.
Avrei trovato io stessa il modo per rimuovere il tuo nome da quella lista in cui a tuo avviso non doveva stare.
Non mi avevi dato ascolto, dando per certa la mia complicità a questo complotto architettato ad arte per ledere la tua immagine.
Mi avevi messo in dubbio, senza pensarci su due volte.
Avevi messo te stesso al primo posto, senza rimorso.

Avevi acconsentito a farmi lasciare la Puglia, senza avere un confronto pacifico, quando gli animi si sarebbero placati.
Traendo le tue conclusioni, che seppur affrettate, erano definitive.

Chissà se si nota che vorrei essere altrove. Pensai tra me e me, disfacendo la valigia a casa di Marta e Fabrizio.
Mi avevano riservato una stanza in piena notte, senza fare domande.

«Anche se non parli, sento addosso tutto quello che non dici.» Aveva sussurrato Marta, stringendomi in un caldo e confortante abbraccio, prima di lasciarmi riposare.

Avrei voluto raccontarle del vento che alla fine torna sempre.

Della mia pelle sottile che si ferisce facilmente, ma ha la possibilità di sentire ciò che altri non sentiranno mai.

Tentare di estrapolare un appiglio di positività da quel distacco, per non impazzire.

Il mattino dopo, speravo in un tuo pentimento. Attendevo un tuo messaggio, una tua chiamata, pronti a riportarmi alla realtà che avevamo costruito, pronta a trascinarmi via da quell'incubo che era la mia esistenza, senza di te.
Ingoia il boccone amaro del tuo disinteresse, insieme a quel caffè che di dolce non aveva nulla e disattivai i profili in cui, avevano già iniziato a domandarsi che fine avessimo fatto.

Avresti riposto tu, dando la tua versione dei fatti a cui non avrei controbattuto, se non per difendermi.
Ma ero certa che mi avresti riservato solo silenzio e, come si controbatte al silenzio?

Si combatteva con il rumore di chi non vuole arrendersi.

«Devo imparare a bastarmi. Smetterla di aspettarmi sempre qualcosa da qualcuno.»
Risposi a Marta, all'ennesima domanda in cui mi chiedeva di te.

«Sono certa che tornerà sui suoi passi.»Ribattè con sicurezza.

E io annuì, senza crederci più di tanto.

Restare a deprimermi in un posto in cui non potevo collocare la mia quotidianità non serviva a nulla, così chiesi a Fabrizio di accompagnarmi in stazione e presi il primo treno disponibile per Milano.

Mi recai nella redazione di Rolling Stone, esponendomi in prima persona, per cercare di capire perché 
fosse accaduto quel malinteso.
Dalle reazioni dei presenti e del direttore, capì che era stato tutto montato ad arte per fare scoppiare Ermal, che in questo momento ha i riflettori puntati sulla sua carriera e poteva risollevare le sorti della testata, un po penalizzata dai siti internet che nascevano come funghi.

«Perché proprio lui?» Chiesi, ingenuamente.

«Per via di te.» Rispose uno di loro, con ovvietà.

Il chiacchiericcio alimenta il clamore, le divisioni fanno vendere dischi e copie di giornali, regalano visualizzazioni.
E io come una tonta, ero caduta preda di quel tranello.
Mi avevano usata, avevano usato la mia vita, la mia professione, la mia storia d'amore.
Mi avevano appena tolto tutto.

Diedi le mie dimissioni la mattina stessa e ora vagavo per Milano, senza meta, appunto e senza lavoro.

Ricevetti decine di chiamate di giornalisti che volevano sapere di più su questa vicenda, ma non rilasciai nessuna dichiarazione, mi chiusi dentro il guscio della casa che per un breve periodo avevo condiviso con te e mi lasciai cullare dai ricordi impressi nelle pareti, tra le coperte, nel cuore.

Chiusi gli occhi, convinta che se tu fossi stato qui, adesso, li avresti aperti per me.
Avresti guardato al mio posto e avresti visto ciò che io desideravo vedere.
Avevamo gli stessi obiettivi, coperti dagli stessi orizzonti.
Ora con lo sguardo, tu tracciavi confini, barriere di separazione.
Io disegnavo orizzonti, ad occhi serrati.

Necessitavo del tuo corpo, capace di saziare la mia mente.
Della tua ruvidezza, quella giusta, che celava una timidezza con cui ti estraniavi dal mondo.

Mi hai detto le cose più belle che una donna possa sentirsi dire.
E al tempo stesso, non ti servivano parole per accartocciare le mie sicurezze e renderle brandelli come pezzi di carta.

Eravamo entrambi vittime di un sentimento su cui ci faceva comodo sfogare le nostre frustrazioni.

Eppure non riuscivo a disprezzarti, nonostante la rabbia, la tua non curanza nel manipolare la parte pulita della mia persona, macchiandola a tuo piacimento, sentendoti forte.

Con te, ero nel posto giusto, anche se per giungere a destinazione dovevo attraversare ostacoli infernali.

Restavo tua, come un dono, di cui potevi contare quando avevi bisogno. Ma senza darlo per scontato, perché un regalo quando lo conservi per tanto tempo te ne dimentichi, lo perdi, e qualcun altro è pronto a dargli il giusto valore quando ormai sembra non averne più.

L'ossigeno non è respirare {Ermal & Frida}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora