4) Ero ad un passo dal perdere te

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Avevo bisogno di silenzio.
Sano.
Vitale.
Necessario.

La soluzione a volte è la distanza.
Avere un'amica fidata, un rifugio in cui rimarginare le ferite.
Per tornare a respirare, ritrovando se stessi.
Ritrovare noi, che avevamo celato le nostre anime confuse nei nostri corpi integri.

Dovevamo essere smossi, per recuperare il meglio che giaceva sempre sul fondo del nostro io.

Fermi in un punto di non ritorno in cui le nostre parole, rimpicciolivano le nostre emozioni.

La notte mi era appena passata davanti, insieme alle sue interminabili ore di buio, che stavano lasciando spazio ai primi raggi di sole che illuminavano il mattino.

Marta aveva accolto il mio vagare e mi aveva offerto un letto in cui tentare di dormire.
Infilai le scarpe, non avevo nemmeno trovato la forza di togliermi il vestito della sera prima di dosso.
Mi urgeva un restauro, un parrucchiere, oltre a qualche intruglio per il mal di cuore.

Scesi le scale che portavano dalla camera, alla sala intrattenimento o salone, o come qualsivoglia chiamarlo, che era adiacente alla cucina in cui Marta stava preparando la colazione.

«Buongiorno pulce.» Esclamò accogliendomi con un sorriso.
Speravo solo di non incrociare Fabrizio per non sorbirmi le sue domande e la consegutiva paternale.
In realtà mi attendeva un incontro in giardino con qualcuno di più impegnativo.
Che era poi la causa della mia fuga notturna.

Deglutì un boccone amaro del mio umore, insieme a quel caffè zuccherato che non lo aveva migliorato per nulla.
Dopo aver affogato il mio viso nell'acqua del rubinetto e tirato in su con una coda i capelli, mi diressi verso l'uomo dai capelli ricci che mi attendeva fuori da svariati minuti.

«Non dovresti essere qui!» Fu quello il mio saluto.

«Voglio solo sapere se stai bene.»

«Non lo so nemmeno io come sto. Credevo che allontanarmi da te mi avrebbe dato qualche risposta, quando invece sono sorte ulteriori domande.»

«Che tipo di domande?»

«Sei venuto a cercarmi, perché lo hai fatto?»

«Voglio che torni a casa con me.»

«Sai che lo farò. Il problema è che forse per te è meglio che non lo faccia...»

«Sai che sono un disastro nel convincere la gente.»

«Potrei dire lo stesso di me... È che, insomma, credo che in tutto questo ci stia credendo solo io...»

«Ho bisogno di stimoli. Mi sembra di impazzire, non riesco a provare emozioni, è come se non venissi più toccato da nulla, se fossi immune al calore umano.»

«Allergico a qualsiasi tipo di approccio...»

«Qualcosa del genere...»

«Ci sono passata anche io...»

«Come si esce da questa precarietà?»

«È sempre quella la domanda: scrivi canzoni per perderti o per ritrovarti?»

Non rispondesti. Ti catapultasti con tutto il peso della tua inquietudine sopra quella panchina di legno in cui avresti voluto nascondere le tue fragilità.
Ma non ci riuscisti.
Non con me.
Non eri solo un uomo piacevole.
Eri sensualità.
Intelligenza.
Ma anche umiltà.
Pazienza.
Saper ascoltare.
Infondere coraggio.
Apprezzare i pregi.
Ed amarne i difetti.
Davi luce all'altro, senza spegnere te.
Eppure avevi perso di vista la rotta che ti aveva sempre guidato in quella direzione di benevolenza, mista ad altruismo, che però ti dava di fondo tutto lo spazio per muovere i fili della tua stessa vita.
Adesso, eri un burattino, nelle mani della tua esistenza ricca d'impegni ma povera di significato.

L'ossigeno non è respirare {Ermal & Frida}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora