19) Un'altra volta da rischiare {Prima Parte}

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Non dimentico mai la bambina che sono stata.
E il Natale è sempre stata una lente di ingrandimento sulle mie mancanze.
Un abile dilatatore di vuoti.

Mi sembra un'offesa, pensare di essere serena in quei giorni di festa, quest'anno più che mai.
Sarà il primo anno senza mio fratello.
Per mia madre sarà il primo anno senza un figlio.
Per Rebecca, il primo da orfana.
C'è davvero poco da festeggiare.

Eppure, dentro quelle calde mura di una dimora pugliese, tutto il freddo che c'è fuori e dentro di me, sembra per un attimo un ricordo lontano.
Il possente albero di Natale invade parte del salone di casa di tua madre, la tua, fino a qualche anno fa.
Ero già stata qui, seduta proprio dove sono adesso, solo qualche mese fa, ma sembra essere mutato tutto da allora, io per prima.

Le voci che si susseguono, una dopo l'altra, tra giochi e canzoni, allontanano ogni mia esigenza di ritagliarmi un angolo di solitudine in cui sprofondare.
Sento che mi stringi la mano, avvicini il tuo capo al mio collo e sussurri al mio orecchio, "va tutto bene?".
A volte mi sorprende il modo in cui mi conosci, in cui conosci ogni mia incertezza e sei sempre pronto a colmarla, con speciale dedizione.
Ti risponderei che è la prima volta che non voglio sparire, tra gli addobbi di una casa troppo piccola per accogliere il peso di ciò che ho perso, ma mi limito a baciarti e ad annuire con la testa.

Mi trascini con te, via da quel piacevole chiasso, mi porti di nuovo nella camera che ha accolto i tuoi di tormenti e mi sento capita da quelle mura.
Quasi fossero terapeutiche, come lo sono state in primis per te.

«Lo scorso anno ho composto una canzone qui dentro.» Dici, sfiorando la scrivania.

«Chiedevi di essere salvato per caso?» Ti chiedo, tentando di sdrammatizzare.

«Qualcosa del genere. »
Sembri confuso.

«Non ho la presunzione di credere che ci sono riuscita...»

«A fare cosa?»

«A salvarti...»
Da chissà cosa, poi.

«Oh, si che lo hai fatto. In tanti modi, e mi chiedo perché io non riesca a fare lo stesso con te.»

«Ermal, tu...»

«C'è sempre un velo impenetrabile nel tuo sguardo, nel tuo modo di affrontare ciò che ti è successo. »
Mi interrompi.
«Se non mi permetti di scorgere quello che c'è, sotto l'apatia che mostri come fosse uno scudo per proteggerti, io non potrò mai sapere esattamente cosa ti passa per la testa, e agire di conseguenza.»

«Quello non succederà mai.»

«Perché?»

«Perché forse è proprio quell'alone di mistero che ti tiene ancorato a me.»

Mia madre mi ha sempre detto: non lasciare che la gente sappia molto di te.
E che non conosci davvero una persona finché non ti ama più.
Ma non ti butterò fra la mischia dei fallimenti umani con cui ho avuto a che fare prima di te.
Tu occupi  piedistallo immaginario abilmente eretto da me.

È così tra di noi, da sempre.
Io ti parlo delle mie paure delle mie ansie e tu mi parli della vita, della tua storia, della fede.
Io cerco di seguire i tuoi discorsi, ma alla fine mi perdo sempre nel tuo volto, nel fascino del tuo pensiero, nel modo in cui ponderi le  parole, parole che diventano musica, sottofondo ai miei pensieri, e alla fine forse ascolto solo un quarto di quello che vuoi spiegarmi.

"La vita non l’ affronti con la paura delle delusioni che hai avuto, ma con la consapevolezza della tua forza.”

Mi abbracci, deponiamo le armi di fronte a quello che sembrava presagire uno scontro.

L'ossigeno non è respirare {Ermal & Frida}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora