Mia nipote confidava ad una lettera i suoi pensieri.
Con profondo orgoglio, denotavo che era una di quelle bambine figlia di una generazione che anestetizza le emozioni, ma lei sembrava non appartenere a quella massa.
Si lascia andare in quelle poche righe in inglese, una scrittura pulita e ordinata, colma di racconti di quello che per lei è stato un giorno felice.
Ascoltare Ermal, alleviava anche le sue ferite.
Riusciva a guarire l'anima spezzata di una bambina che aveva perso tutto in un istante.
Tutte le volte che avrebbe avuto dubbi sull'incidenza che ha la sua musica nella vita delle persone, mia nipote sarebbe stata una degli esempi lampanti di quanto fosse bassa la considerazione che aveva di se stesso.
Quella stessa musica, era diventata linfa vitale per me da più di un anno.
Davo per scontata la sua presenza nella mia vita, così come quella di Ermal, che quando mi sono resa conto di non possederla più, mi ero fiondata a riceverne qualche accenno in un club, accerchiata da gente in fermento, come una di loro.
Ma io non ero una di loro, quella location a Trezzo d'Adda era talmente intima che qualcuna delle mille mila persone che avevo avuto modo di incrociare ai concerti di Ermal, mi aveva a sua volta riconosciuto e riferito della mia presenza a lui, che aveva reagito presentandosi sotto quella che era stata la nostra casa, qualche ora più tardi.In piena notte, aveva atteso che aprissi la porta sigillata a chiave, avevo sempre quell'abitudine data la mia indole da fifona.
Aveva acceso una sigaretta, i capelli erano ancora legati da un mezza coda che gli scopriva il viso scavato e la barba incurata ma altamente sensuale.
Indossava la giacca di finto pitone gialla che tanto avevo apprezzato mentre stava sul palco, se quella sera mi avesse chiesto se desideravo tenerla, non avrei esitato ad afferrarla, ma non accadde.
Ermal non si scompose, fece una visita di cortesia, o almeno era quello che io stavo percependo dal suo modo distaccato di esprimersi.
La sensazione, un enorme peso che voleva scrollarsi di dosso.«Non volevo confonderti o crearti problemi. Avevo solo bisogno di sentirti cantare...»
«Ho apprezzato la tua visita, solo che non ha avuto senso nasconderti e fuggire ...»
« Non volevo le attenzioni di tutti addosso. Non volevo rispondere alle loro domande. Volevo solo sentirti cantare.»
«Ti sono piaciuto?»
«Tu mi piaci sempre...»
Un sorriso beffardo e carico di soddisfazione apparve sul suo volto, fu l'unica immagine che mi regalò quella sera.
L'imbarazzo prese il sopravvento, come se non trovasse, nonostante ci mettesse tutto l'impegno del mondo, un motivo per trattenersi a fare semplicemente quattro chiacchiere.
Non ci riusciva.Quello che capì da quella inutile visita, fu che lui adesso mi dava per scontata.
Io che fin dall'inizio della storia ero sfuggente, impaurita, incostante, mi ero tramutata in una di quelle donne che ti aspettano a riva, mettendo in pausa la loro esistenza.
Ero questa agli occhi di Ermal e più tentavo di dargli torto con i miei silenzi, più le mie azioni alimentavano le sue certezze.Smisi di cercarlo, e lui di conseguenza fece lo stesso.
Cercai un altro appartamento in affitto, senza dirgli che avevo lasciato casa nostra.
Doveva capire già da quel gesto, che non poteva trovarmi a sua disposizione ogni volta che si sentiva di aver superato le sue crisi esistenziali.
Iniziai ad accettare gli inviti dei colleghi di cui non mi ero mai curata, ampliando i miei orizzonti, tentando di mutare la mia abitudine introversa.
Sorrisi di ogni uscita di cui mi ero privata, mi divertí a recitare il ruolo della fidanzata di Carl Brave, nel suo ultimo video in cui mi aveva voluto come protagonista.
Nemmeno quegli atteggiamenti intimi, quei baci finti ma comunque piacevoli, avevamo smosso un po della sua sicurezza.
La reazione pacata e comprensiva di ogni membro della sua famiglia a quelle scene spiattellate sui social, dalla madre alla sorella, non mi aiutarono a detestare tutto ciò che lo circondava.
Mi resi ben presto conto che quello di cui si contornava lui, era stata la mia seconda pelle.
I suoi amici, erano i miei, la sua famiglia, mi amava quasi quanto faceva lui.
Riusciva a perdonarmi le sbandate, i passi falsi, eppure lui no.
Non era riuscito ad amarmi persino quando ero la personificazione della sua donna ideale, a che serviva continuare ad esserlo?
Meglio tramutarmi in una di quelle donne da cui si sarebbe tenuto alla larga, una tutta festini e poca sostanza.
Mi chiamerà, mi urlerà che non sono degna di stare con lui, e io gli risponderò che era tutta una messa in scena per farmi notare, che mi ero ridotta ad usare i mezzucci di una adolescente inviperita, vendicativa, pur di sortire una reazione in lui.
Non avvenne nulla di tutto ciò.
Il cellulare non si illuminò al suono del suo nome.
Stava bene, andava avanti come me, accettando però quella sua decisione con più lucidità, fu quello che appresi dai nostri famosi amici in comune.Quella fase di ribellione solitaria durò un paio di settimane, il tempo di capire che era inutile macchiare la mia persona di crimini che non le appartenevano solo per far traboccare quel vaso che Ermal e solo lui possedeva.
La sua ombra mi aveva accompagnato per un po', il suo respiro mi aveva accarezzato, lo stesso vento ci aveva fatto navigare in mari sconosciuti.
Poi ci siamo persi, con la stessa facilità con cui ci siamo trovati.
Un solo uomo, prima di lui mi aveva sfiorato mostrandomi un barlume di quella che poteva essere la mia bellezza, di cui ero insicura dopo l'ennesimo tradimento.
Una piccola luce, qualche clamore, poi tanto fumo.
Un fuoco d'artificio che ammiri con timore, ma di cui ricordo ti scalda il cuore.
Qualsiasi fosse il nostro destino, sembrava affacciarsi allo stesso orizzonte, sullo stesso scenario di guerra.
Apprendo da Marta che anche tra lei e Fabrizio è finita, che lui l'ha mollata perché non era degno del suo modo di amarlo.
Troppo avanti rispetto a lui, che invece voleva limitarsi a vivere una storia che non comprendeva progetti a lungo termine.
Fabrizio era certo di non poter rendere Marta una moglie, madre fiera.
Lui aveva già vissuto tutto quello che lei sognava di vivere e l'aveva resa libera di farlo, ma senza di lui.
Altruista, penso io dal lato opposto, un terribile egoista, pensa lei che ci sta dentro.
Un copione già visto.Quei racconti, mi danno la forza di compiere l'ennesimo passo, quello di confessare ad Ermal il mio nuovo indirizzo.
Mi affido ad un messaggio, ma non ricevo apparentemente una risposta.
Qualche ora dopo, si presenta lui, in carne ed ossa all'uscio di una nuova porta.
Non gli permetteró di entrare, non farò in modo che renda anche questo luogo un museo delle nostre vecchie gioie, su cui versare qualche lacrima.
Questo è un posto in cui tra le pareti spiccano ritratti dei miei famigliari, di cui è mia nipote la protagonista assoluta, nessun accenno alla nostra relazione.
Come se avessi volutamente cancellarti dalla mia memoria visiva per non impazzire.Prendo un capotto, uno a caso tra quelli appesi e mi rendo conto poco dopo che è uno dei suoi preferiti.
«Lui chi è?»
Come uno sciocco scherzo del fato, uno dei miei colleghi è venuto a portarmi del materiale a cui dovrò lavorare, per evitare che io vada nuovamente in ufficio, risparmiandomi soldi di benzina e fatica per trovare parcheggio.
È una benedizione che avrei preferito ricevere in assenza di Ermal.
Faccio segno ad Ermal di attendere e liquido il mio collega frettolosamente.«Non credo tu sia in dovere di saperlo...»
Lo rimprovero, con un fascicolo di fogli in mano.
Gli occhiali da sole gli coprono lo sguardo e le emozioni.«Un altro uomo che è impazzito per te...» Schernisce.
«Al di là del modo incomprensibile in cui mi sono comportata in questo periodo, non c'è nessuno nella mia vita.»
«Non devi giustificarti!»
«Saresti pronto ad accettare con nonchalance che io abbia un altro?»
Passo al contrattacco.
«No. Ma sono consapevole del fatto che può succedere, che me lo meriterei...»
«E per te, andrebbe bene lo stesso?»
«Andrò in America con Rinald questa estate.»
«Sei venuto a dirmi addio?»
«Sono venuto a dirti che non pretendo che tu mi aspetti...»
«Mi ami ancora?»
Esclamo come un pensiero ad alta voce, sofferente, tutta d'un fiato.«Sì, ma non basta. Non basterà mai.»
Risponde con rassegnazione e continua:
«Ho bisogno di dimenticarmi...»Il ché significava dimenticare me.
Noi.
Un finale che aveva il sapore di un ricordo amaro.
Come faccio a dimenticare i suoi baci dal gusto ribelle, i muri abbattuti in cui avevamo innalzato palazzi in cui nascondere il nostro amore.
Sulla coscienza aveva una donna che si era arresa al fascino dei suoi capelli e affidata ai tocchi vellutati delle sue mani.
Che si meravigliava al suono dei suoi occhi e che nelle sue canzoni scovava parole per cui sopravvivere.
Sono cresciuta fondando il mio cammino su un solo mantra: "L'unica magia che esiste è dimostrare ciò che senti."
E tutto il chiarore, quell'aura austera, che lo innalzava rendendolo incanto, rispetto al grigiore che gli faceva da contorno, si era spezzato insieme al suo incantesimo.
STAI LEGGENDO
L'ossigeno non è respirare {Ermal & Frida}
Fanfiction[CONCLUSA] Avevano smesso di contare i giorni, ma non le stelle. Inalato ossigeno, senza respirare davvero. Rendendo il cielo un contorno indefinito a cui appigliarsi. In cui ritrovare loro stessi, ingoiati dalle loro stesse mancanze. Divorati da d...