Capitolo 24

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Erano rimasti stretti in quell'abbraccio per una buona manciata di minuti, non muovendosi minimamente, non staccandosi nemmeno per sbaglio. Era come se niente avesse potuto rovinare quel momento, e nemmeno renderlo più bello. Tutto era semplicemente come doveva essere, niente di più o di meno. Hazel stretta contro il suo petto, e le braccia di Evan attorno al suo esile corpo pronte a proteggerla da qualunque cosa, fossero state le ridicole scenate di Noah, o le occhiatacce irritate della guardia giurata che continuava a mandare loro segnali indecifrabili, tentando di mandarli via.
Poi Evan ripensò a ciò che aveva detto poco prima Noah complimentandosi con Hazel, così parlò.
"Ehi prima Noah ha parlato di alcune tue foto che è venuto a vedere... Che intendeva?" le chiese, l'espressione confusa.
Hazel sollevò lo sguardo sul viso del ragazzo "Volevo che fosse una sorpresa, ma Noah sembra voler rovinare a tutti i costi ogni mio piano" rispose scocciata.
"Vieni" continuò, staccandosi da Evan e allungando una mano verso la sua, per poi afferrarla e stringerla forte.
Gli fece strada verso la sala dove l'intera mostra proseguiva col programma, attraversarono un lungo corridoio tappezzato di bellissimi quadri colorati, che ricordavano quasi dei disegni di fumetti, poi entrarono in una grande stanza dalle pareti color panna e il parquet lucido, attorno a loro alcune grandi fotografie in mostra sulle pareti.
Lo sguardo meravigliato sul volto di Evan che spaesato continuava a guardarsi intorno, mentre Hazel attendeva impaziente che le dicesse qualcosa.
Lo guidò verso la fotografia sistemata al centro della sala, tenendolo ancora per mano, e ammirando la foto davanti a lei con orgoglio e soddisfazione.
"Shelter, di Hazel Donovan" lesse incredulo Evan da un'etichetta in ottone, ammirando la fotografia di un vasto paesaggio ripreso da una grande balconata che poteva scorgere in primo piano, il sole al tramonto riflesso su uno specchio d'acqua immobile, e la figura di un ragazzo perfettamente in equilibrio sulla sua tavola da surf, che dava quasi l'impressione di poter camminare sull'acqua.
"L'hai fatta tu?" le chiese colpito, l'espressione affascinata. Hazel annuì mordendosi il labbro inferiore, fiera di se stessa.
"Quello è Ian" gli disse indicando il ragazzo in piedi sulla tavola "E quella è la spiaggia di fronte la casa dei miei nonni al mare, dove ho trascorso ogni estate da quando sono nata" aggiunse, lo sguardo puntato sulla sua foto.
"Per questo il titolo è Shelter, quel posto è il mio rifugio da quando ero soltanto una bambina" gli spiegò sorridente.
"Quelli invece sono i miei nonni intenti a ballare la loro canzone il giorno delle loro nozze di rubino" disse, indicando da lontano un'altra foto. "A beautiful love story" sussurrò Evan, lo sguardo meravigliato su un'altra incisione posta sopra la fotografia, il sorriso dolce sulle labbra.
"E quella" riprese a parlare Hazel "Quella è una foto scattata durante il mio viaggio a Parigi" disse, facendo voltare Evan sul posto e indicandogli una fotografia un po' più grande delle altre allungando un braccio. Il ragazzo fece per avvicinarsi, la mano stretta ancora in quella di Hazel, lo sguardo incantato.
Davanti ai suoi occhi la fotografia di uno splendido cielo notturno riflesso sulla Senna, scattata da un ponte affollato. Le centinaia di lanterne di carta che emanavano una luce dal tono caldo nel cielo, erano riprodotte sullo sfondo sfumato dell'acqua del fiume, mentre delle figure scure in primo piano accendevano altre lanterne, o scrivevano qualcosa sulla loro carta, nella speranza che ogni loro desiderio potesse realizzarsi quella notte. Era la notte dei desideri, la notte in cui migliaia di stelle cadevano mentre lo stesso numero di desideri giungeva in cielo. "City of stars, Parigi 2016" fu Hazel questa volta a leggere.
Evan nel frattempo aveva spostato lo sguardo su di lei, che orgogliosa non riusciva a smettere di ammirare la sua fotografia. Per lui però, nemmeno Parigi di notte, o un cielo stellato durante la notte dei desideri, sarebbe mai stato uno spettacolo più bello di lei.
Soltanto quando Hazel si voltò verso di lui, Evan riuscì a ricomporsi, smettendo di guardarla imbambolato, e potendo finalmente trovare le parole giuste per esprimere il suo stupore "Tutto questo è incredibile, Hazel" le disse. La mora gli sorrise emozionata, mentre lui le scostava dei capelli davanti agli occhi sistemandoglieli dietro un orecchio "Tu sei incredibile" continuò, facendola rabbrividire.
"Queste foto sono perfino più belle di quelle della signorina Reinhart!" rifletté, e non stava di certo esagerando.
"Perché sono qui nascoste dal resto della mostra?" le chiese confuso "Perché nessuno è qui a vederle?".
Hazel gli sorrise, lo sguardo intenerito "Perché io non sono una fotografa di successo, né una professoressa con un'incredibile carriera d'artista alle spalle. E se mio padre o la mia famiglia sapesse di queste foto, del fatto che io abbia acconsentito a metterle in mostra, probabilmente adesso starei qui a sentirmi dire che tutto questo è solo una grande perdita di tempo, che fare fotografie non mi porterà mai da nessuna parte, e che dovrei smetterla di giocare tanto con la mia macchina fotografica, ma piuttosto mettermi a studiare per entrare all'università di medicina prima che sia troppo tardi" rispose, gli occhi improvvisamente più tristi.
Evan continuava a guardarla, al centro di quella stanza dove nessun altro era lì con loro per apprezzare il lavoro di Hazel, e non poteva che provare una rabbia incontenibile per quello che lei aveva appena detto, per il modo in cui ormai rassegnata gli aveva spiegato cosa avrebbe potuto dire suo padre, se solo avesse visto quelle foto.
Non riusciva a capire come diavolo sarebbe mai potuto essere possibile. Chiunque davanti a quelle fotografie, davanti alla dedizione e all'impegno con cui Hazel le aveva scattate, davanti all'orgoglio con cui adesso le ammirava, avrebbe trovato tutto ciò davvero incredibile. Non poteva in alcun modo ad immaginare il padre di Hazel - qualunque aspetto avesse mai potuto avere un uomo così ingiusto -, chiamare il duro lavoro della figlia, una semplice e pura perdita di tempo. Non riusciva proprio a capire in che modo suo padre avrebbe mai potuto comportarsi in maniera totalmente indifferente, davanti alle storie affascinanti in quelle foto. Ma probabilmente non lo avrebbe mai capito, proprio come non era ancora riuscita a fare Hazel, ecco perché sembrava ormai essere rassegnata.
"Sono splendide Hazel, è davvero un peccato che nessuno adesso sia qui con noi a bere champagne e ad applaudirti" le disse, lo sguardo dispiaciuto. "Mi dispiace se la tua famiglia oggi non è qui a complimentarsi con te, ma mi dispiace più per loro, sai? È davvero un peccato che non riescano a capire quanto siano belle queste foto, non sanno proprio che spettacolo si stanno perdendo" le disse, mentre Hazel continuava a guardarlo con un sorriso tenero sulle labbra.
"Evan non m'importa" gli rispose, guardandolo fisso negli occhi.
"A me basta questo" continuò "Essere qui con te, circondati dalle mie foto, e sapere che ti piacciano, per me è già grandioso" gli spiegò, l'umiltà nelle sue parole.
"Tu ti meriti molto di più" provò a convincerla "Ma sono sicuro che un giorno in questa stanza non saremo soli. Forse i tuoi genitori continueranno a non esserci, ma la gente, quelle persone nell'altra sala, faranno cambiare idea alla tua famiglia Hazel" le disse certo delle sue parole. E fu in quel momento che Hazel si gettò fra le sue braccia, grata per le sue parole.

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