Capitolo 29

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Peter e Evan erano diretti verso la zona controlli, pronti per rimettersi a lavorare.
Evan ci aveva ormai quasi fatto l'abitudine alla fastidiosissima tranquillità di quell'aeroporto, probabilmente anche grazie alla presenza di Hazel, Peter invece, non aveva mai odiato passare le sue giornate a fare test anti-droga e anti-esplosivo a tutta quella gente. In realtà adorava lavorare con i cani cinofili, e preferiva di gran lunga controllare lo schermo raggi X collegato al metal detector, che trascinare un pesante mitra in giro per la città di Baghdad.
"Tutta questa storia fa quasi ridere, non è vero?" chiese Evan, posando la sua pistola insieme al suo gilet tattico in una vaschetta blu, per poi spingerla dentro il tunnel del metal detector.
Lo attraversò, poi mostrando le mani ben aperte ad un agente della polizia, si lasciò strofinare un test anti-esplosivo su di esse, e solo quando l'agente in divisa si accertò che fosse completamente pulito, gli fece segno di passare.
"Stai parlando ancora di John?" gli chiese Peter, roteando gli occhi, e attraversando a sua volta l'arco metallico.
"Andiamo, non dovrei sentirmi preso in giro?" continuò a chiedergli il moro, rigirandosi la pistola scarica fra le mani, per poi infilarla nella sua fondina.
Peter inarcò un sopracciglio confuso "Non mi impegno con una ragazza in maniera così seria, probabilmente da prima di arruolarmi. Poi un giorno arriva Hazel, e non so nemmeno io come, riesce a farmi affezionare a lei. Tutto sembra andare per il meglio, io sono felice, Hazel sembra felice, ma ecco che arriva John, ed io non credo di conoscere nessun'altro che si sia mai anche solo avvicinato al numero di ragazze con le quali è stato John. Ci sa fare, e ha sempre avuto un grande successo con ogni genere di ragazza. Spiegami secondo quale assurdo scherzo del destino, lui avrebbe mai potuto perdere la testa proprio per Hazel: lei è la mia ragazza!" diede di matto il moro, camminando svelto nella zona sterile dell'aeroporto, e gesticolando agitato davanti agli occhi di Peter, che gli bloccò improvvisamente i polsi, innervosito da tutti quei movimenti delle mani e delle braccia.
"Vuoi darti una calmata?" lo richiamò Peter, il tono spazientito.
Evan quasi gli scoppiò a ridere in faccia "Sembri un quindicenne in preda agli ormoni, ricomponiti soldato!" disse mollandogli i larghi polsi.
"Scusa, hai ragione" disse Evan continuando a sorridere divertito, e riprendendo poi a camminare.
"Senti, non hai nulla di cui preoccuparti! Ho capito quanto tu tenga ad Hazel, ma puoi stare tranquillo, anche lei tiene a te, più di quanto immagini! John non minaccerà in alcun modo il vostro rapporto" lo rassicurò.
"Non è questo che mi preoccupa" rispose Evan, lo sguardo incerto "Almeno credo" aggiunse inarcando un sopracciglio.
"Dio Evan, quella ragazza ti adora! Ho capito che avrebbe perso la testa per te dal momento in cui ha messo le mani addosso al tuo tesserino, ricordandoti di metterlo ben in vista" si esasperò Peter, mentre Evan ricordava il momento in cui per la prima volta, lui e Hazel si rivolsero la parola. Sorrise involontariamente, mentre il suo amico continuava a camminare svelto lasciandolo incantato più indietro.
Evan si affrettò a raggiungerlo "Va bene, la pianto con l'autocommiserazione!" annunciò "Tu però vuoi dirmi che ti prende? Sei di fretta e la nostra pausa pranzo non è ancora finita" chiese confuso.
Peter lo guardò aggrottando le sopracciglia "Sono di fretta perché ho bisogno che tu veda una cosa" gli disse "È arrivato stamattina" si spiegò, ricominciando a camminare a passo svelto.
Evan lo guardò confuso e preoccupato, poi continuò a seguirlo. Giunsero nell'area riservata al controllo della polizia, così dopo aver salutato con tanto di mano alla fronte, l'agente seduto ad una scrivania all'entrata della caserma, percorsero il lungo corridoio. Attraverso il vetro unidirezionale, i due ragazzi poterono intravedere l'interno di una grande stanza semi buia, dove, un ragazzo appena più grande di loro, stava seduto in silenzio con i polsi ammanettati, mentre due agenti ai lati lo scrutavano con attenzione. Si ammutolirono ad un tratto, impegnati a capire cosa stesse accadendo all'interno di quella stanza.
"È tornato in città" realizzò poco dopo Evan, voltandosi verso Peter, lo sguardo del biondino fisso sul ragazzo sotto interrogatorio.
"E tuo padre lo sta tenendo sotto custodia" aggiunse poi Peter, non distogliendo minimamente lo sguardo. Evan ritornò a guardare attraverso il vetro, notando suo padre che stranamente calmo, diceva qualcosa al ragazzo seduto. Provò a leggere il labiale, senza però capire una sola parola.
"Sapevi stesse tornando?" gli chiese Evan "Non ho sue notizie dal giorno dell'udienza" rispose impassibile, la mascella serrata.
"Ho solo sentito che è qui per una nuova udienza" spiegò, voltandosi verso Evan "Potrebbero scontargli la pena. La sua buona condotta potrebbe giocare un punto a suo favore" fu più chiaro il giovane.
"Perché non sembri sollevato? Milkovich potrebbe uscire finalmente di prigione" realizzò Evan.
Ma potrei finirci io - pensò il ragazzo.
Julian Milkovich era il motivo per cui adesso Peter poteva vantarsi di avere un posto nell'esercito. Il ragazzo che soli pochi anni prima, aveva condannato alla prigione solo per compiacere gli sporchi interessi del giudice Johnson. Aveva sabotato le prove che avrebbero potuto provare la sua innocenza, e Milkovich ne era pienamente consapevole. Conosceva Peter, sapeva cosa gli aveva fatto, e probabilmente lo avrebbe anche fatto fuori senza troppi problemi, se adesso lo avesse visto lì fuori, a godersi quello spettacolo che lo vedeva ammanettato ad una sedia. Ma per sua fortuna, il vetro unidirezionale permetteva di vedere solo da un lato della stanza, proprio come la manomissione di Peter su quella causa, mostrava una sola versione di quella storia. Una storia nella quale Julian Milkovich non aveva alcuna colpa, se non quella di essersi ribellato alle angherie del giudice sbagliato.
Così adesso, le sole due persone a conoscenza dell'unica verità riguardo tutta quella storia, Peter e Julian Milkovich, si trovavano di nuovo ad una distanza così minima, che a Peter sarebbe bastato un solo passo falso, per mandare tutto all'aria. Julian avrebbe potuto vederlo, poi si sarebbe infuriato, e infine avrebbe raccontato tutta la verità. Proprio come aveva tentato di fare anni prima in quel tribunale il giorno della sua udienza, quando dopo il verdetto del giudice Johnson, Julian aveva tentato di chiedere aiuto all'unica persona che avrebbe mai potuto provare la sua innocenza: Peter Collins.
"Spero che riesca a ritornare presto dalla sua famiglia" disse solo impassibile Peter, allontanandosi piano da quel vetro.
"Sua madre non aspetta da anni nient'altro che il suo ritorno, rivederlo potrebbe aiutarla a ricordare" disse Evan, speranzoso che quella famiglia potesse di nuovo ritornare ad essere felice.
"La signora Milkovich è ormai molto malata, Evan" gli ricordò il ragazzo.
"Penso che lo riconoscerebbe comunque, si tratta di suo figlio" disse, lo sguardo triste fisso sul ragazzo pieno di tatuaggi ancora seduto sotto la luce flebile di una lampadina.
Peter non poté che sentirsi peggio, notando quanto in pena fosse per loro Evan. Julian era da sempre stato come un fratello maggiore per entrambi. Avevano solo poco più di 12 anni, quando con le loro biciclette, facevano a gara a chi arrivasse per prima alla casa di Julian, nel loro stesso quartiere. Julian Milkovich era stato il ragazzo con il quale erano entrambi andati alla loro prima partita di basket, colui con il quale avevano fumato la loro prima sigaretta, il ragazzo che aveva insegnato loro come guidare e come rollare una canna. Era stato quello l'ultimo insegnamento di Julian per i suoi fratelli minori. Erano gli anni del liceo, della ribellione e delle esperienze fuori legge. Fra queste, passare del tempo con il loro amico d'infanzia divenuto ormai uno spacciatore di ghetto, era senz'altro la loro preferita. Almeno fino a quando gli affari illegali del giovane Milkovich non avevano rischiato di mettere in pericolo le vite di tutti loro. Fu da quel momento in poi, che prima Evan, poi Peter, si allontanarono definitivamente da quella cattiva amicizia. Peter però, qualche anno più tardi, per un assurdo scherzo del destino, si ritrovò nuovamente immischiato con quella sua vecchia conoscenza. Spaccio di droghe leggere, aggressione a pubblico ufficiale e tentativo di estorsione: erano questi i crimini che marchiavano il nome di Julian Milkovich.
"Dovremmo andare, se dovesse notarci-" stava per dire Peter "Non ci riconoscerebbe nemmeno. Eravamo solo due ragazzini" lo fermò Evan.
Ma Peter era stato anche colui che lo aveva mandato in galera, eliminando delle prove utili al suo scagiono, per fornirne delle altre, false e incriminanti. Ma se Julian sapeva bene cosa avesse fatto Peter con quei file per il giudice Johnson, Evan invece non ne aveva la più pallida idea.
D'improvviso la porta in vetro si spalancò, così quando i due videro il padre di Evan uscire a testa bassa fuori da quella stanza, subito si rimisero in riga, spaventati dal suo arrivo.
"Che ci fate voi due qui?" chiese loro, l'espressione severa e il sopracciglio inarcato.
Peter balbettò qualcosa, scansandosi velocemente dopo aver rischiato che Julian lo notasse da dietro le larghe spalle del signor Blake. Evan invece, provò a dire qualcosa "Dovevamo portare dell'esplosivo in caserma, ai controlli hanno fermato due uomini" mentì, mentre Peter agitato lo guardava con la coda dell'occhio.
Per anni avevano nascosto alle loro famiglie la loro amicizia con Julian, e di certo non l'avrebbero rivelata adesso che il loro amico d'infanzia stava in manette sotto la custodia del padre di Evan.
Colin Blake sospirò, "Che succede qui dentro?" azzardò Evan indicando con un pollice il vetro unidirezionale.
Peter si raddrizzò nervoso sul posto, non dicendo ancora una sola parola.
"Il ragazzo viene dalla prigione di Orange, stiamo aspettando che il suo avvocato venga a prenderlo. Avrà la libertà vigilata" spiegò loro il signor Blake.
Evan annuì attento, mentre Peter tentava di respirare soffocando nel suo senso di colpa.
"Perché era dentro?" chiese ancora Evan, potendo immaginare già la risposta che avrebbe dato suo padre.
"Tentata estorsione. Il giudice Johnson aveva in mano la sua causa" aggiunse, il tono d'improvviso triste.
Evan sgranò gli occhi sorpreso - quello era un dettaglio di quella storia di cui era totalmente all'oscuro.
"Il signor Johnson?" finse di essere sorpreso Peter, mentre il suo amico lo fissava perplesso.
L'agente Blake annuì, improvvisamente più nostalgico al ricordo del suo vecchio amico Robert Johnson, morto solo pochi anni prima.
"Adesso devo andare. L'avvocato del ragazzo deve essere arrivato" disse, ricomponendosi velocemente, e facendosi spazio fra i due ragazzi, per poi sparire dietro loro.
Evan rimase a guardare in silenzio Peter, ancora confuso alla notizia del coinvolgimento del padre di Casey in tutta quella storia.
"Tu non sapevi nulla?" chiese perplesso Evan, le sopracciglia aggrottate.
"Mh?" Peter alzò lo sguardo fingendosi calmo "Il padre di Casey ha mandato in prigione Julian, lo sapevi?" gli chiese ancora una volta.
Peter lo guardò fisso negli occhi, incapace di mentire ancora. Poi la porta in vetro si aprì di nuovo, e stavolta fu proprio Julian Milkovich ad uscire dalla stanza, scortato da due agenti armati. Peter si affrettò a reagire, spinse Evan, e coprendosi il volto, intimò al suo amico di fare lo stesso "Cammina e non girarti!" gli disse, digrignando i denti spaventato. Evan si lasciò guidare verso l'uscita di quella stazione di polizia, poi d'istinto ruotò il capo leggermente.
Scorse lo sguardo di Julian, e sentendosi d'improvviso profondamente triste e dispiaciuto per lui, si rigirò a testa bassa, continuando a camminare accanto al suo amico.

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