Capitolo 33

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Nonostante quella mattina si fosse svegliato sorprendentemente presto a causa di John, Evan non era nemmeno riuscito ad arrivare puntuale, figuriamoci in anticipo.
Varcò le porte dell'aeroporto a passo svelto, impaziente di allontanarsi il più possibile dallo stesso ragazzo che aveva rischiato di fare a pezzi quella mattina, che insieme a lui e al resto dei loro compagni, era appena sceso dal furgone posteggiato all'ingresso.
Non voleva nemmeno pensare a lui, men che meno averlo tra i piedi.
Ancora col suo zaino mimetico in spalla, Evan decise che se avesse dovuto sorbirsi ancora una volta la sfuriata di Cooper per il suo ennesimo ritardo, almeno sarebbe stato per un ritardo degno di esser attribuito al ritardatario cronico che era, così testardo com'era, posticipò ancora di qualche minuto l'inizio del suo turno.
Svelto si diresse verso la zona controlli, e non appena la vide in lontananza, si buttò fra la fiumana di passeggeri che avanzava verso di lui.
Attento a non inciampare sui carrelli colmi di valigie, e salutando con un cenno della mano qualche collega di suo padre a pochi passi da lui, Evan finalmente la raggiunse.
Si precipitò da lei, e senza rivolgerle nemmeno un saluto, dopo essersi assicurato che nessuno fosse lì pronto a sgridarli, la afferrò per un polso trascinandola oltre il varco prioritario.
"Evan? Che succede?" chiese preoccupata Hazel seguendolo.
Improvvisamente il moro si fermò, costringendo Hazel a fare lo stesso esattamente davanti alla caserma militare, la guardia all'ingresso che imbronciata non toglieva loro lo sguardo di dosso.
"Ci ho provato Hazel, io ho provato a parlargli, ma il risultato è stato che per poco non ci massacravamo a vicenda. Così adesso non me ne frega proprio un cazzo se perderò uno dei miei più cari amici per colpa tua, non mi dispiace nemmeno se d'ora in avanti io e John continueremo ad ignorarci a vicenda, non se si tratta solo di uno stronzo che non fa altro che provocarmi e invidiarmi!" le spiegò tutto velocemente, gesticolando agitato e guardandola fisso negli occhi.
"Ehi va bene, se è quello che vuoi, va benissimo così" il tono rassicurante nelle sue parole, la mano di Hazel che delicatamente scivolò lungo il viso di Evan.
"Hai fatto a pugni con John? Ti sei fatto male?" chiese premurosa, spostando lo sguardo sulle mani del ragazzo.
"No, sono riuscito a non cedere alle sue provocazioni. Abbiamo solo discusso, animatamente, giurandoci di non volerci mai più rivedere" spiegò, non più così turbato Evan.
"Dovevo dirti che ci ho provato, che ho fatto esattamente come mi avevi suggerito tu, ma adesso devo andare, o sarà Cooper il prossimo con cui dovrò vedermela" le spiegò.
Poi le schioccò un tenero bacio sulla tempia, e sistemandosi lo zaino sulle spalle, la salutò "A dopo!" lo splendido sorriso stampato sul suo viso.
Anche Hazel gli sorrise dolcemente, guardandolo andare via svelto.
"E non sai ancora cosa ti aspetta alla cena con i miei domani" disse poi la ragazza a bassa voce, quando Evan era ormai troppo lontano per sentirla.

Peter aspettava impaziente che il poliziotto davanti a lui gli dicesse qualcosa, mentre agitato si guardava intorno, sperando che nessuno dei suoi amici lo raggiungesse lì da un momento all'altro.
"Trovato niente?" chiese nervoso.
Il poliziotto gli lanciò un'occhiata irritata, poi prendendo un fascicolo da uno schedario pieno zeppo di documenti, cominciò a leggerlo concentrato "Julian Milkovich, 30 anni, in libertà vigilata presso questo indirizzo" disse, girando il fascicolo verso Peter, il dito puntato su un indirizzo scritto in cima al foglio.
Peter sollevò lo sguardo, finse un sorriso gentile, poi si sistemò il berretto sul capo "Grazie agente, riferirò tutto al mio superiore" mentì, allontanandosi velocemente dall'agente calvo che ancora accigliato lo squadrava dalla testa ai piedi.
Sospirò, muovendosi in fretta in quell'uniforme mimetica, sollevato dalla scoperta di quella inaspettata notizia.
Julian non viveva più nella casa dove insieme erano soliti giocare da bambini, non viveva più in quella casa a pochi isolati da quella della famiglia di Peter, e non c'era più alcun pericolo di rincontrarlo, non se Julian avesse rispettato l'ordinanza del giudice che lo costringeva a vivere segregato in casa fino a data da destinarsi.
Col capo chino e la testa fra le nuvole, Peter uscì dalla caserma di polizia, le mani in tasca e l'aria stanca.
Qualcosa in lui, probabilmente il senso di colpa, lo faceva stare terribilmente male ogni qualvolta che ripensava a Julian.
Una parte di lui invece, continuava ad ignorare quello che aveva fatto, spingendolo ad andare avanti, senza alcuna voglia di anche solo provare a sistemare le cose.
Del resto, cosa avrebbe potuto fare ormai?
Non riusciva nemmeno ad essere felice per Julian e la sua famiglia adesso che aveva ottenuto la possibilità di ritornare a casa. Tutto ciò che desiderava era semplicemente non incontrarlo.
Peter era certo che se solo lo avesse rivisto, Julian lo avrebbe aggredito in preda alla rabbia, mentre lui, colpevole e pentito, sarebbe rimasto lì fermo, lasciando che Julian lo massacrasse, proprio come aveva fatto lui in quell'aula di tribunale quando aveva inveito contro Julian dichiarandolo colpevole, e gettandogli addosso accuse sopra accuse, una più falsa dell'altra.
Si fermò improvvisamente all'esterno dell'aeroporto, desiderando solo di sedersi per un attimo e provare a riprendersi.
Il volto nascosto dalle sue mani, il piede sinistro che non smetteva di battere nervoso contro il suolo, e l'irrealizzabile bisogno di ritornare indietro nel tempo e non commettere lo stesso sbaglio.
"Pet?" lo chiamò poi Evan in lontananza, raggiungendolo preoccupato "Che succede?" chiese il moro premuroso.
Peter sollevò il capo, spaventato dall'arrivo del suo amico, poi si costrinse a ricacciare dentro le lacrime.
"Mi fa solo un po' male la testa, è tutto ok" mentì, puntando lo sguardo sul viso di Evan.
Il moro inarcò un sopracciglio non del tutto convinto, poi porse una mano al suo amico invitandolo a rimettersi in piedi.
"Mio padre mi ha chiamato dalla caserma militare, credo ci sia bisogno del nostro aiuto... Finalmente un po' d'azione!" spiegò Evan, mentre fingendo un sorriso Peter gli stringeva la mano alzandosi.
"Sembrava preoccupato, sarà forse arrivato il momento di impugnare queste pistole giocattolo?" continuò entusiasta, stringendo la pistola nella sua fondina.
Peter sospirò, non poi così emozionato, poi cominciarono a muoversi diretti verso la caserma.
"Perché in questo aeroporto c'è sempre bisogno del nostro aiuto?" chiese Peter scocciato "Non possono semplicemente sbrigarsela da soli?" continuò a lamentarsi.
Evan sorrise divertito, circondando le spalle del suo amico con un braccio "Siamo un po' come dei supereroi: chiamano noi ogni volta che qualcosa si mette male, perché siamo noi qui gli unici in grado di ristabilire l'ordine" gli ricordò, guardando la folla di gente attorno a loro, mentre svelti si dirigevano verso la caserma militare.
"Non si corre in aeroporto" esordì ad un tratto Evan, rimproverando un ragazzino che correndo si trascinava dietro un trolley alto quasi quanto a lui.
Peter sorrise guardando il suo migliore amico "Sembra quasi che lavorare qui cominci a piacerti" gli fece notare.
Evan sfoggiò un sorriso a trentadue denti "Non lo avresti mai immaginato, eh?" chiese.
Così Peter cominciò ad allontanare pian piano dalla sua mente quell'enorme problema chiamato Julian Milkovich, e sorpreso di notare quanto Evan sembrasse felice adesso, ritornò a scherzare in breve tempo.
"Nemmeno due settimane fa ti pregavo di non firmare per una nuova missione, e adesso sembri esserti dimenticato dell'Iraq!" disse Peter colpito.
"Non mi sono dimenticato dell'Iraq, e non ho mai detto di non voler ripartire più. Solo che qualcosa, o meglio qualcuno, sembra sia riuscito a far scendere di posizione la partenza per l'Iraq, nella classifica delle mie priorità. È come se adesso considerassi più importante il mio contributo qui, piuttosto che in Iraq" riuscì ad ammettere Evan per la prima volta negli ultimi tre anni.
Peter lo guardò sconvolto, il sopracciglio inarcato e lo sguardo confuso "Stai parlando di Hazel, vero? È lei adesso la tua priorità, non più la tua missione, nè tanto meno questo aeroporto. È lei che ti sta trattenendo qui?" gli chiese incredulo.
Evan sorrise, "Qualcuno poco tempo fa aveva già capito tutto. Descrisse Hazel come l'unica in grado di fare breccia nel mio impenetrabile cuore di pietra, ricordi?" Peter annuì fiero, ricordandosi di essere proprio lui quel qualcuno.
"Sei riuscito a sopravvivere a quel proiettile ma non al tiro di Hazel, forse non sei così forte e apatico come fingi di essere" pensò Peter.
"Forse" disse poi Evan facendo spallucce, e scomparendo oltre le porte della caserma militare.

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