Prologo - Il ritorno dei titani

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"I'm criticized, but all your bullets ricochet,
You shoot me down, but I get up.

I'm bulletproof, nothing to lose.
Fire away,  fire away!
Ricochet, you take your aim.
Fire away,  fire away!

You shoot me down, but I won't fall,
I am titanium"
Titanium, David Guetta ft. Sia

Gennaio 2017,villaggio di Ba'quba, Iraq

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Gennaio 2017,
villaggio di Ba'quba, Iraq.

Quando finalmente si svegliò, nella testa di Evan tutto sembrava eccessivamente rumoroso e confuso.
Le voci delle infermiere che a bassa voce parlavano in arabo di lui e della sua condizione attuale, si mescolavano a quelle dei ribelli iracheni che nei suoi ricordi gridavano ancora mentre il fuoco si apriva su lui e i suoi compagni.
Sentiva gli spari, l'acquedotto crollare sopra la sua testa, i lamenti dei suoi amici sanguinanti stesi per terra, poi il suono della macchina attaccata al suo petto che segnalava la frequenza dei battiti del suo cuore.
A fatica tentò di aprire gli occhi, mentre le sue pupille provavano a mettere a fuoco attraverso le folte ciglia nere, il viso dell'infermiera che adesso china su di lui, controllava i suoi parametri vitali.
Evan non capiva una sola parola di quello che stava dicendo, ma qualcosa gli suggeriva che se finalmente era sveglio, allora la sua situazione non era poi così grave.
Tutto ciò che riconobbe sul viso dell'infermiera, fu solo il colore della pelle mulatta. Non riuscì a vedere i suoi occhi, né la sua bocca, ma la sentì dire qualcosa quasi strillando, così ecco che un forte rumore invase la sua testa, graffiante, acuto e insopportabile.
Evan strizzò gli occhi per il forte dolore, poi improvvisamente la vide smettere di urlare, così quando sollevò di nuovo le palpebre, un volto ben diverso da quello femminile e scuro dell'infermiera di prima, gli si parò davanti.
Si trattava di un uomo, la pelle un po' più chiara, la barba sul viso, gli occhiali sul naso, e una cuffietta verde stretta sul capo.
Anche lui parlava in arabo, quella lingua dal suono così insopportabile per Evan.
Insopportabile quasi quanto la luce bianca che adesso l'uomo davanti a lui gli puntava dritto negli occhi, posandogli una mano sul viso e sollevandogli ancora di più le palpebre semichiuse.
Evan emise un lamento, ritraendosi dalla sua presa, poi l'elastico della mascherina dell'ossigeno sul suo viso gli tirò la pelle, i punti sul suo petto tirarono più forte, e un dolore lancinante gli fece incurvare la schiena, lì su quel letto d'ospedale.
Quando finalmente la piccola torcia bianca puntata sul suo viso venne spenta, Evan scorse un'altra figura alla sua sinistra, che china su di lui, adesso lo chiamava preoccupato.
"Evan, va tutto bene" gli disse, posando una mano sul suo braccio, pieno di graffi e medicazioni.
Poi quando il ragazzo steso sul letto, sentì quella voce così familiare parlargli finalmente in una lingua a lui comprensibile, sgranò gli occhi sorpreso smettendo di agitarsi, lì circondato da tutte quella macchine.
Provò a mettere a fuoco il viso davanti al suo, e quando finalmente quella macchia rosa chiaro che continuava a parlargli, assunse le sembianze dell'uomo che ricordava perfettamente averlo convinto a venire fin lì, Evan, benché non riuscisse proprio a sopportarla la maggior parte delle volte, fu inspiegabilmente felice di sentire la sua voce.
Dischiuse le labbra provando a dire qualcosa, ma l'uomo lo bloccò in tempo, ricominciando a parlare "Sono il sergente Cooper, e siamo in ospedale".
Evan tentò di togliersi la mascherina dell'ossigeno, poi quello che adesso immaginava fosse il suo medico, lo precedette spostandogliela via dal viso.
Strinse i denti, sentendo i graffi e i lividi sul suo viso bruciare, poi il sergente Cooper riprese a parlare "Sei stato vittima di un attacco nemico: hanno dato inizio ad una sparatoria mentre tu e i tuoi compagni eravate impegnati a ricostruire quell'aquedotto. Ti hanno sparato al petto, ma il dottor Hakìm ti ha operato, sei rimasto in sala intensiva per un paio di giorni, e adesso sei ufficialmente fuori pericolo" gli spiegò, mentre quello che in realtà era il suo chirurgo, e non un semplice infermiere, controllava la flebo appesa ad un'asta sopra la sua testa.
Evan si guardò intorno confuso, mentre il mal di testa rendeva sempre più difficile per lui distinguere la voce di Cooper, da quelle dei suoi compagni, che strillando, chiamavano ancora il suo aiuto nei frammenti di ricordi che stava rivivendo fin dal momento in cui si era finalmente risvegliato dall'effetto dell'anestesia.
Continuava a girare vorticosamente gli occhi, incredulo e spaventato, poi il dottor Hakìm riprese a parlare, stavolta, in un terribile inglese dall'accento forte.
"Evàn" lo chiamò, storpiando la pronuncia del suo nome "Sai dirmi qual è il tuo cognome?" gli chiese, il tono preoccupato.
Il ragazzo deglutì, si bagnò le labbra, poi provò a rispondere "Blake" disse con voce roca "Mi chiamo Evan William Blake".
Vide Cooper accennare un sorriso fiero, poi spostò lo sguardo sul dottor Hakìm, impegnato ad appuntare qualcosa su una cartella.
"Bene Evàn, sai anche dirmi quanti anni hai?" continuò col suo esame Hakìm.
"Venti-" fece una pausa, mentre Cooper e il dottore si scambiarono delle occhiate preoccupate "Ventuno, ho ventun anni" rispose infine il ragazzo, tossendo per schiarirsi la voce.
Il dottor Hakìm annuì, "E qual è il tuo lavoro Evàn?" chiese ancora.
Evan lo guardò confuso, poi rispose sicuro di sè "Sono un soldato dell'esercito americano, signore".
Hakìm gli sorrise, chiuse la cartella di Evan con decisione, poi la passò all'infermiera dalla pelle scura accanto a lui "Bene Evàn, sei stato molto fortunato ed io ho delle buone notizie per te: il proiettile stava quasi per conficcarsi nel pericardio, ma per pochi millimetri non ha colpito il cuore. Tu sei sopravvissuto a quel colpo di fucile, e anche ad un lungo e rischioso intervento. Non mostri danni cerebrali di alcun tipo, nonostante la commozione cerebrale che hai subito, e la tua memoria è perfettamente intatta" gli spiegò il dottor Hakìm con lo stesso accento forte di prima, il tono soddisfatto e sorpreso.
Evan tossì ancora, non del tutto interessato al resoconto del suo stato di salute, poi puntò lo sguardo su Cooper "Dov'è Peter, signore? Sta bene? Prima di svenire l'ho visto per terra in una pozza di sangue" chiese notizie sul suo migliore amico in preda al panico.
"Peter sta bene: è immobilizzato a letto, non riesce ancora a muovere le gambe, ma è vivo" gli rispose il suo sergente.
"Dovresti riposare adesso Evàn, sei ancora molto debole" disse Hakìm.
Evan strizzò gli occhi, mentre gli spari e le grida nella sua testa non gli permettevano nemmeno di rilassare i suoi muscoli.
La sparatoria continuava ancora nella sua mente: i soldati cadevano uno dopo l'altro ai piedi delle macerie - che erano tutto ciò che rimaneva dell'acquedotto -, mentre i ribelli iracheni senza alcuna esitazione, non cessavano di sparare nemmeno contro i corpi già morti dei soldati immobili sul terreno.
"Il fuoco non è ancora cessato, dottore. Combattono ancora lì fuori, non posso riposare, io li sento" disse Evan, gli occhi blu spalancati, terrorizzati e sconvolti.
Cooper guardò spaventato prima la finestra al fianco del letto, poi il dottor Hakìm, che turbato, fissava Evan senza dire una parola.
"Evan, l'ospedale è in una zona protetta, tu sei al sicuro. Non c'è nessuno lì fuori, i tuoi amici non stanno più combattendo" provò a spiegargli Cooper, preoccupato.
"Ma io li sento sergente, loro stanno ancora cercando di uccidere i nostri" disse Evan, lo sguardo terrorizzato fisso sul viso del suo sergente.

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