Capitolo 14

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"Buon compleanno dormiglione!" fu la prima cosa che sentì quella mattina. Ebbe giusto il tempo di decifrare quelle parole e riconoscere quella voce, per realizzare che quello era il giorno del suo ventiduesimo compleanno. Si sforzò di aprire gli occhi, e quando vide il volto del suo fratellino proprio davanti al suo, sussultò. Lo guardava con un enorme sorriso, gli occhi di un azzurro poco più chiaro dei suoi, le guance paffute e rosa, e i capelli spettinati. Sorrise, ricordando a se stesso che era venerdì, e che il suo week-end stava iniziando proprio in quel momento. Uscì le mani dalle coperte calde, poi prese per le spalle Josh, e sollevandolo si fece spazio nel suo letto, sedendosi di fronte al ragazzino. "Grazie Josh" gli disse contento, ancora un po' assonato.
"Questo è per te!" annunciò, prendendo una piccola scatola ben incartata da dietro la sua schiena e posandogliela sulle gambe. Evan lo guardava sorpreso, sorridendo. "Cosa è?" chiese il ragazzo. "Aprilo!" quasi strillò Josh. Così Evan si affrettò a scartare il suo regalo, aprì la scatola, e quando vide una collana con un plettro decorato come ciondolo, ritornò a guardare il suo fratellino, sorridendo. Ma Josh era già saltato giù dal letto, e adesso stava in piedi diritto davanti ad Evan, e sembrava voler nascondere ancora qualcosa dietro la sua schiena. In quel momento Anne, la loro madre, entrò in camera, e quando il piccolo Josh le fece segno di raggiungerlo, si precipitò accanto a lui. Evan li guardava confuso, poi sua madre parlò "Cosa aspetti ancora lì? Vieni qui!" lo invitò gesticolando emozionata.
Evan si tolse le coperte di dosso, scese dal letto e si affrettò a raggiungerli. Nel frattempo sua madre e Josh si erano già allontanati, scoprendo dietro i loro corpi un enorme pacco alto quasi quanto Josh.
Lo sguardo di Evan si accese improvvisamente, proprio come un bambino di fronte al suo regalo la notte di Natale. Prese il suo regalo fra le mani, poi si seddette per terra, e iniziò a scartarlo.
Quando finì rimase per un paio di secondi incredulo seduto davanti al suo regalo: una nuova chitarra. La accarezzò con occhi sognanti, poi disse "E' bellissima" e si alzò di scatto precipitandosi verso sua madre e Josh. Li abbracciò forte, disse "Grazie, la adoro", e poi affondò la sua testa nell'incavo del collo di sua madre, quasi soffocando il piccolo Josh, che a causa della sua altezza non ancora del tutto sviluppata, era rimasto bloccato tra i corpi di sua madre e di Evan. La madre rise, accarezzando la schienza del figlio, poi piano disse "Spero che tu possa ritornare a suonare adesso. Le tue mani non sono abili solo coi fucili" scherzò. Evan la guardò felice, sciogliendo quell'abbraccio, poi rise "Spero di non aver perso dimestichezza. E' da un po' che non ne tocco una". "Servirà solo un po' di pratica, e poi potrai tornare a far baldoria in giro per casa!" lo prese in giro orgogliosa sua madre "E adesso corri a vestirti! Peter ha chiamato, dice che ti porterà fuori nel pomeriggio, ma prima pranzo coi nonni!" gli ricordò Anne.
Evan la guardò confuso "Vengono i nonni? Sai che non mi piace festeggiare il mio compleanno" precisò.
"Non festeggeremo il tuo compleanno!" disse solo prima di uscire dalla camera del ragazzo. Evan inarcò un sopracciglio confuso, poi si sedette di nuovo sul suo letto, e con la sua nuova chitarra sulle gambe, sorrise, accarezzandola come se fosse la cosa più preziosa al mondo per lui.
Amava suonare, era l'unica cosa che gli permettesse di sentirsi libero e spensierato. Quando suonava dimenticava ogni cosa, il suo incidente a Baghdad, le persone che aveva ucciso, le cose orribili che aveva visto, perfino le pretese e i rimproveri di suo padre. Si sentiva diverso, come se solo grazie a quella chitarra riuscisse ad accettare il suo diritto di essere e sentirsi anche un ventiduenne normale, oltre che uno dei migliori soldati dell'esercito americano. Fece scivolare delicatemente le sue grosse dita lungo le corde tese di quella chitarra, poi prese il suo nuovo plettro e provò a suonare qualcosa, di nuovo dopo tanto tempo.

Aveva organizzato quella giornata in ogni minimo dettaglio. Il compleanno del suo migliore amico, di colui che considerava come un fratello minore, andava assolutamente festeggiato. Soprattutto perché sapeva benissimo che quello che diceva Evan da un paio di anni ormai, riguardo la sua poca voglia di festeggiare i suoi compleanni, fosse proprio una bugia bella e buona. Si ostinava a considerare il giorno del suo compleanno proprio come un normalissimo giorno, che se fosse stato per lui, avrebbe addirittura trascorso tutto solo alla base, allenandosi o sparando qualche colpo al poligono. Ma Peter, che probabilmente lo conosceva meglio di qualunque altra persona, sapeva che Evan mentiva, e che proprio come chiunque, anche lui avrebbe adorato una bella festa di compleanno per lui.
Per questo aveva deciso di organizzare una festa a sorpresa per il suo migliore amico. Tutto ciò che voleva per lui era vederlo di nuovo felice, spensierato e orgoglioso. Soprattutto dopo averlo visto trasformarsi in un'altra persona, al seguito di quella sparatoria. Gli era stato accanto sempre, durante il suo ricovero nell'ambulatorio della base dove anche lui era ricoverato, durante la sua convalescenza di ritorno a casa, e anche quando aveva di nuovo preso servizio. Era stato con lui nel corso delle prime pattuglie in giro per la città e in aeroporto, e cosa più importante, lo aveva assistito durante ogni attacco di panico; tutte le volte in cui Evan aveva avuto una ricaduta causata da ciò che gli era successo, Peter era stato lì, pronto ad aiutarlo. Per questo adesso sentiva l'esigenza di fare qualcosa per lui, nel tentativo di renderlo di nuovo felice dopo tutto quello che aveva passato. Così il piano per quella giornata prevedeva innanzitutto portare fuori di casa Evan, permettendo così alla signora Blake di sistemare addobbi e cibo per la festa, per poi riportarlo di nuovo a casa solo quando tutto sarebbe stato finalmente pronto, invitati inclusi.
E soltanto quando il fatidico giorno era ormai arrivato, Peter si ricordò di invitare la persona la cui presenza avrebbe probabilmente stupito più di tutte Evan. Così bussò alla porta, estremamente a disagio, e solo dopo pochi secondi, qualcuno finalmente gli aprì.
Quando vide la versione maschile della persona che si era aspettato di vedere, si irrigidì. Poche cose avrebbero potuto rovinargli la giornata, e il ragazzo con cui Caesy aveva tentato di farlo ingelosire provocandolo un paio di giorni prima, era sicuramente tra queste. Ian stava lì a fissarlo confuso e divertito allo stesso tempo, poi inarcando un sopracciglio parlò "Ciao" lo salutò "Peter giusto?" gli chiese indicandolo con l'indice.
"Sì" disse freddo il biondino "Cercavo Hazel, è in casa?" chiese.
Poi vide qualcuno scendere velocemente le scale sullo sfondo, e quando capì che si trattava della sua amica si sentì improvvisamente sollevato di non dover rimanere lì un minuto di più a parlare con Ian.
"Hazel!" la chiamò, facendola sussultare. La ragazza si voltò verso la loro direzione spaventata, poi avvicinandosi con un'espressione confusa disse "Peter?".
"Vi lascio soli" aggiunse Ian, allontandosi.
"Che ci fai qui?" gli chiese, quasi preoccupata, chiudendosi la porta d'ingresso alle spalle. Fece segno al ragazzo di seguirla, così si sedettero entrambi su una panca sul portico. "Dovevo parlarti" le rispose.
"Parlarmi? E' successo qualcosa?" chiese ancora stupita. "Sta' tranquilla, niente di grave. Ed Evan sta bene" aggiunse poi, sapendo benissimo che tutta quella preoccupazione fosse proprio indirizzata ad Evan. Hazel sbiancò quando sentì quel nome, poi sgranò gli occhi.
"Anzi, direi che sta alla grande!" continuò, e la ragazza inarcò un sopracciglio. "Oggi è il suo compleanno" finalmente le disse.
Hazel lo guardò stupita, poi accennò un sorriso "E' il compleanno di Evan?" chiese ancora per essere più sicura.
"Esatto. Ed io e la sua famiglia stiamo organizzando una festa a sorpresa per lui" il sorriso sul viso di Hazel sempre più grande e luminoso.
"Insomma, penso che lo renderebbe davvero felice se tu venissi" concluse.
"Sul serio?" chiese incredula ed emozionata Hazel.
"Be' sì, avete legato molto, no?" fu sfacciato Peter. Hazel arrossì ripensando ad Evan e ai momenti passati con lui: i fraintendimenti iniziali, la serata trascorsa a giocare a biliardino, quel giorno in cui di ritorno verso la base, aveva avuto l'occasione di intravedere quella parte più fragile di Evan. "Sì" rispose poi imbarazzata "Credo di sì".
"Perfetto, allora ci vediamo stasera. Vieni a questo indirizzo verso le 8" le spiegò, porgendole un pezzetto di carta, e alzandosi di scatto dalla panca.
"Aspetta Pet! Cosa potrei regalargli?" chiese ansiosa, alzandosi anche lei. "E' un soldato che ama il basket e suona la chitarra, oh gli piace anche cucinare! Un libro di cucina dovrebbe andare bene" scherzò, scendendo le scale del portico.
"Pet!" lo chiamò ancora "Come facevi a sapere dove abitassi?".
"Sono un soldato Donovan, ho le mie fonti!" le rispose, andando via.

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