1. Prologo

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La signora Finner fece scorrere il dito sullo schermo del suo smartphone, finché non trovò quel che cercava: il numero di Rita, la migliore amica di sua figlia

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La signora Finner fece scorrere il dito sullo schermo del suo smartphone, finché non trovò quel che cercava: il numero di Rita, la migliore amica di sua figlia.

Rita non si perse in convenevoli, ma appena rispose andò subito al dunque: 

«Come sta Emma?»

La signora Finner percepì la preoccupazione nella voce della ragazza. Rita ed Emma erano nella stessa classe, al terzo anno del liceo di Holess Peak. Erano amiche da un po', ormai, e trascorrevano insieme intere giornate. Se c'era qualcuno che poteva fare qualcosa per sua figlia, quella era Rita. 

«È sempre chiusa nella sua stanza, non vuole saperne di uscire, né di aprirmi la porta... Rita, prova a chiamarla, contattala, non so più che fare...sono tre giorni che non mangia...»

Rita provò a dire qualcosa, per consolare la signora Finner, ma ogni parola di conforto le si annodò in gola e le rimase solo la verità, nuda e cruda: «Ci ho provato, ma Emma si comporta in modo strano, prima ha detto che non voleva più parlarmi e ora ha spento tutto...»

La signora Finner passeggiò per casa, a passi lenti, sovrappensiero, senza una destinazione, come se quei passi potessero portarla miracolosamente a una soluzione. E invece la portarono solo in quel buio corridoio di casa, che non osava più attraversare. Solo l'idea di avvicinarsi a quella porta, in fondo al corridoio, le depositava un'angoscia nera in fondo al cuore, che non riusciva a spiegarsi. Era la stanza di sua figlia, lo era da sedici anni: in quella stanza Emma aveva spiccicato la sua prima parola e mosso i suoi primi passi,eppure solo guardare quella porta la riempiva di terrore. Continuò a fissare la porta, a pochi metri da lei, come se il suo sguardo potesse penetrarla e scoprire quel che accadeva al di là delle sottili lastre di legno che la componevano.

Quel che la signora Finner non sapeva era che anche dall'altro lato un paio di occhi terrorizzati fissavano la porta: quelli di sua figlia. Emma era seduta a terra, al centro della sua stanza, a gambe incrociate, con il pavimento che le dava brividi gelidi, sfiorando la pelle nuda che fuoriusciva dai pantaloncini. Emma guardava la porta, bianca involto, tremante. Aveva le mani all'altezza dello stomaco, stringeva qualcosa, qualcosa che continuava a sanguinare. Una ad una, gocce di sangue si infilavano tra le sue dita e poi cadevano giù in un plic. Emma continuava a fissare la porta, perché per un attimo aveva guardato quel che aveva tra le mani, e quell'attimo le era bastato per sapere che se avesse guardato ancora sarebbe impazzita... sempre che non lo fosse già. Non doveva calare gli occhi, non doveva farlo,per nessun motivo. Anche se la gelida voce alle sue spalle non smetteva di tormentarla. Non smetteva di sussurrare.

«Guarda cosa hai in mano, Emma. Abbassa la tua bella testolina, Emma!»

Una mano fredda, fetida e forte le strinse la nuca. Una mano che veniva dall'inferno.


***

Grazie per aver letto fin qui, spero che questo prologo vi sia piaciuto e messo un po' di brividi, oltre che un po' di curiosità!

Aggiornerò la storia due volte a settimana: il martedì e il venerdì.

Se questa prima parte di "Knock" vi è piaciuta, commentate, mettete una stella, mandatemi un messaggio o  iniziate a seguirmi... insomma, non vedo l'ora di sentire la vostra opinione in un modo o nell'altro! :)

P.s. Ogni parte finirà con un "gioco":
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