18. Senza fiato

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Sei bambole intrise di sangue.

Una non aveva la testa. Un'altra non aveva le braccia. Una squartata nel ventre. Di un'altra non rimaneva che un pezzo di plastica indistinguibile, forse un polpaccio o forse un braccio. Della quinta, la parte di sopra era separata da quella di sotto, una al primo piano di quella casa di bambole, l'altra al piano di sopra. E, infine, la sesta bambola: le gambe le erano state staccate ed era stata crocifissa a una parete della casa di bambole con due schegge di plastica che ricordavano delle ossa.

Le sei ragazze uccise. 

Non poteva essere vero, non poteva essere andata così. Non poteva esistere nel mondo reale tanta efferatezza. Fu ciò che si disse Emma.

La luce che pendeva dal soffitto sopra la sua testa si spense con uno scatto e le tenebre la circondarono.

Contro ogni legge della natura, contro ogni regola della morale, qualcuno in grado di quello scempio di sangue invece esisteva... ed era in quella stessa stanza, con Emma: rideva nel buio.

«Ciao, Emma»

Era la voce gracchiante di Naomi. 

Era tornata.

Per un istante, Emma s'irrigidì. Naomi era davanti a lei, non poteva vederla, ma la voce proveniva da lì. Si voltò di scatto e fuggì, verso la porta. Ma quando allungò la mano verso il pomello, un'altra mano afferrò il suo polso e a testa bassa Emma urtò contro un corpo. Le gambe le divennero deboli, cadde a terra. Naomi incombeva su di lei. Emma la guardò, incredula: aveva attraversato la stanza con una rapidità che sfuggiva a ogni logica, quasi come se fosse scomparsa da un punto e ricomparsa in un altro.

Emma caricò i polmoni di fiato. Le bastavano un paio di secondi, non di più, per spalancare la bocca e chiamare a squarciagola sua madre al piano di sotto. Naomi fu più veloce. Era come se leggesse la sua mente. Era come se fosse più rapida dei suoi stessi pensieri. Emma si ritrovò con la mano di Naomi piantata sulla bocca. In ginocchio, il volto putrefatto di Naomi e quello terrorizzato di Emma erano a pochi centimetri l'uno dall'altro. Su uno si apriva un sorriso beffardo, sull'altro si spalancavano occhi terrorizzati.

«Fate tutte la stessa faccia. Anche quelle sgualdrine hanno provato a chiamare la mammina quando mi hanno visto. Qualcuna poi ha invocato Dio, chissà se a quest'ora l'ha già trovato.» Naomi spalancò la bocca sdentata e rise, sputacchiando gocce di saliva. «E a proposito di tua madre»

Emma sentì un tonfo venire dal piano di sotto.

«In questo momento si sta pisciando sotto dalla paura e non riesce più a rimettersi in piedi. Forse domani riuscirà a spiccicare qualche parola, ma non ci spererei troppo.»

Emma si dimenò e afferrò il polso di Naomi. Usò tutta la sua forza per spiantare quella mano dalle sue labbra: non riuscì a muoverla di un millimetro. E per reazione, Naomi strinse con maggior forza. Poi Naomi si rimise in piedi, senza mollare la presa su Emma. Presto i piedi di Emma non riuscirono più nemmeno a sfiorare il pavimento. Era sospesa a pochi centimetri da terra, tenuta dalla forza bruta di quella che era stata la sua amica. Era più forte, più veloce, più grossa. 

«Le hai uccise tu, Emma»

Emma scosse la testa, in segno di protesta. Non era vero!

«Sì che le hai uccise tu. Con il tuo comportamento da stronzetta. Perché l'hai fatto venire qui?»

Il dubbio prese possesso degli occhi di Emma. Nonostante il buio, Naomi lo percepì ugualmente.

«Quello che chiami Maikus... sei solo una stronzetta, una sgualdrina come tutte le altre. Io volevo solo stare con te, tornare ad essere quello che eravamo un tempo. Ti ho perdonata per quel che mi hai fatto. Non ti ho mai torto un capello... e tu mi ripaghi in questo modo? Mettendo il Reietto sulle mie tracce...»

Emma emise un lamento: le dita di Naomi premevano nelle sue guance, facendo oramai pressione contro i denti. Era furiosa.

«Sei solo una sgualdrina, come tutte le altre... pronta a voltarmi le spalle come tutte le altre. E anche se ti credi innocente, sei sporca... del mio sangue...»

La luce scattò di nuovo e si riaccese. Ora Emma poté vedere che non erano solo pochi centimetri a separarla dal pavimento. Il collo era teso e le faceva male, il sangue faticava ad arrivare al cervello. Naomi l'aveva tirata su, a mezzo metro sopra il letto.

«E del sangue di quelle sei luride vigliacche»

Naomi scaraventò Emma sul letto, con tutta la sua forza disumana. La testa di Emma sfondò la casa di bambole nel centro. Il mondo le girò intorno per qualche istante, poi tornò ad essere dritto. Naomi la osservava maestosa dai piedi del letto. Schegge di plastica erano sparpagliate sul suo volto. Poi qualcosa di caldo le bagnò la guancia. Naomi tasto con le dita: era sangue. Le bambole avevano ripreso a sanguinare dalle loro ferite. Emma voltò il capo da una parte e dall'altra, ma fu inutile, era ovunque: da ogni lato il sangue spruzzava da quei pezzi di plastica sul suo viso. Poi, la mano di Naomi calò dall'alto e le schiacciò la testa contro il materasso, rivoltandola su una guancia. Di fronte a sé Emma aveva la bambola senza testa. Serrò le palpebre e le labbra, per evitare che il sangue le entrasse negli occhi o nella bocca. Ma Naomi aveva in mente altro. Afferrò la mascella di Emma e la tirò giù. Il sangue che schizzava dalla bambola finì giù per la gola di Emma. Emma tossì, sputò, provò a cacciarne fuori quanto più possibile... ma era inutile, il sangue continuava a sgorgare, a entrarle in gola, a scenderle giù, a toglierle il fiato. E così, tra un colpo di tosse e l'altro. Tra un tentativo di liberarsi e l'altro, ognuno più debole e vano di quello precedente. Emma trasse il suo ultimo respiro.


***

A sabato prossimo. 

(nuovo giorno per l'aggiornamento)

Per oggi non dico altro, tranne che la prossima volta ho un mucchio di cose da dirvi.

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