19. Inversione a U

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Si svegliò e il buio l'avvolgeva.

Come sempre.

Neanche più nei suoi sogni era libera. Tirò la catena che le avvolgeva la caviglia. Erano venti anni che faceva quel gesto ogni volta che si svegliava, che fosse mattina o che fosse sera, in quel luogo non c'era differenza. Continuava a farlo, nonostante la catena non fosse più fissata al muro da tempo. Ogni volta la catena tintinnava, strisciando a terra come un serpente di ferro. Non sapeva perché continuasse a farlo: forse perché l'aveva fatto così tante volte da trasformarlo in un'abitudine o forse perché quel tintinnio era diventato una specie di amico.

Le ricordava la voce acuta di sua madre. Il campanello della bicicletta di quand'era piccola, quella col fiore disegnato sul cestello. Il cinguettio di un uccellino al parco in una bella giornata di sole, prima di trasferirsi nella metropoli. Il tintinnio di quella catena era tutto ciò che ancora le ricordava e la legava al mondo che c'era fuori, al di là delle tenebre in cui era prigioniera. Qualche volta la sua immaginazione era volata in là e aveva immaginato un mondo ridotto in macerie, come quelli nei film fantascienza. Aveva immaginato di riuscire finalmente a fuggire dalla sua gabbia, di mettere il piede fuori, di sentire l'aria fredda sulla sua pelle, di guardarsi intorno e non trovare altro che distruzione. Sarebbe stata di nuovo sola, sarebbe stato come fuggire da una piccola gabbia per ritrovarsi in una più grande. Più di ogni altra cosa le mancava una persona con cui parlare, anche di cose inutili, anche una stupida chiacchierata in ascensore su quello strano caldo d'autunno, qualsiasi cosa. Non ne poteva più di parlare con se stessa, di lasciarsi andare all'immaginazione, che troppo spesso la conduceva in territori inquietanti, in scenari da brividi. 

Un brontolio.

Sembrava uno di quelli che emetteva suo nonno, quando la nonna gli metteva davanti un piatto di verdure bollite, mentre agli altri dava una bistecca alta due dita. "Niente carne per te, ricordi no quello che ha detto il dottore?"

La barba del nonno: cosa avrebbe dato per essere ancora piccola e toccarla ancora, per passarci dentro le dita, seduta sulle sue ginocchia e fingere che la manina le era rimasta intrappolata. "Sono il mostro mangiamanine!" avrebbe ringhiato il nonno.

Ma no, non era suo nonno. Quel brontolio era solo il suo stomaco. Ecco che l'immaginazione l'aveva fregata ancora: ora stava piangendo, pensando a suo nonno.

O forse piangeva pensando alle bistecche della nonna. Quelle sì che erano buone. Non come il cibo per cani. Anche se, a dirla tutta, avrebbe dato un braccio per una ciotola di croccantini. Li aveva finiti da un po', forse tre o quattro giorni o forse una settimana. Non avrebbe saputo dirlo, ciò di cui era certa era che non aveva mai avuto tanta fame. 

Allungò una mano e immerse le dita nella ciotola dell'acqua: ne aveva ancora un po', per fortuna. 

Chissà quando si sarebbe deciso a tornare. Non era mai stato lontano per tutto quel tempo. Dal piano di sopra non provenivano rumori da un po'. E se fosse morto?

Non può morire, ricordi?

Ed ecco di nuovo quell'odiosa vocina dell'immaginazione. Certo che può morire, tutti possono morire. Quello che aveva visto vent'anni fa era solo un'allucinazione, era solo la roba che ancora le girava in vena. Qualcuno l'aveva catturata e rinchiusa lì, qualcuno di normale, non un morto... eppure ogni volta che dall'ombra si staccava la figura del suo carceriere, illuminata dalla debole luce della lampadina che pendeva dal soffitto, le tremavano le gambe come quella notte. La vigilia di Natale del 1998.

Scosse la testa, per scacciare i pensieri. Doveva tornare, prima o poi sarebbe tornato... prima di cinque giorni. Una volta aveva letto che un uomo può sopravvivere tre giorni senz'acqua prima di morire. Bevendo una goccia alla volta, poteva farsi bastare l'acqua nella ciotola per altri due giorni. Poi sarebbe iniziato il contro alla rovescia. A meno che... guardò in basso, nel buio, puntando con gli occhi la macchia umida che si allargava tra le sue gambe... quella volta aveva anche letto che alcuni erano sopravvissuti bevendo la propria urina...

Scacciò quel pensiero disgustoso e poggiò la testa contro il muro. Non voleva pensare. Certe volte riusciva a svuotare del tutto la testa. Chiuse gli occhi e sperò di riuscirci anche quella volta. Serena Bishop si addormentò, senza sapere che quella sarebbe stata l'ultima volta che avrebbe visto quella cantina.


In quello stesso istante, altrove. La porta di una stamberga invasa dai fiumi dell'alcool si apriva. Un uomo al bancone col viso invaso da una lunga barba sorrideva, mentre un altro si avvicinava a lui.

In quello stesso istante, altrove. Un paio di occhi si aprivano: sopra di loro e intorno a loro, le rovine di una casa e un cielo notturno color cenere. 


***

Rieccoci!

Capitolo un po' breve e di transizione, lo so! Ma fidatevi in futuro vi renderete conto di quanto sia importante!

Spero che vi sia piaciuto lo stesso: nel caso, ditemelo con un commento, una stella o un messaggio.

Come sempre vi ringrazio per aver letto fin qui e ora 

*rullo di tamburi*

ecco la notizia che ho da darvi da più di una settimana:

sono stato contattato da una casa editrice! Mi hanno contattato attraverso Wattpad dal profilo della casa editrice: Resh_Stories

Sono stati molto gentili e al momento stanno valutando Knock per una pubblicazione nel 2019... incrociamo le dita e speriamo bene!

Io sono stato contattato da loro, ma da quel che ho visto accettano anche proposte. Ho pensato di dirvelo perché magari qualcuno di voi ha un romanzo da proporgli. La procedura da seguire è indicata sia sul loro profilo qui su Wattpad che sul loro sito www.reshstories.com

Mi raccomando, incrociate anche voi le dita per Knock! :D

Appuntamento a sabato prossimo con il 20esimo capitolo e forse una sorpresa (se faccio in tempo)   ;)

KnockDove le storie prendono vita. Scoprilo ora