17. Bambole

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Il telefono di Emma vibrò.

Era un messaggio. Emma lo ignorò, i pop corn cominciavano a scoppiettare e bisognava toglierli dalla fiamma, prima che diventassero chicchi di carbone.

Le sue amiche sarebbero arrivate di lì a poco. Emma era emozionata: non era certo una festa né nulla di speciale, sarebbero state solo in quattro e non avrebbero fatto altro che vedere un film e ingozzarsi di schifezze... ma dopo tutto quello che aveva passato quel barlume di normalità le sembrava assumere un valore immenso. Sette giorni da quando l'incubo era finito: alcune volte ogni minimo rumore al piano di sopra la faceva sobbalzare; altre volte invece le sembrava fosse passata un'eternità, che fosse stato solo una stupida fantasia.

Sistemò la ciotola dei pop corn sul tavolino davanti al divano, dove già c'erano la Coca Cola e tre tipi diversi di patatine.

Poi, prese il telefono che aveva sentito vibrare ma che aveva volutamente ignorato.

Era un messaggio di Jessie Grossberg, una ragazza che frequentava il secondo anno.

"È da un sacco che non ci vediamo. Come va?"

Emma era stupita. Lei e Jessie si conoscevano, ma non erano poi tanto amiche. Era certa che dietro quella domanda gentile, si nascondesse probabilmente un favore da chiederle. 

"Tutto ok... a te?"

Lasciò il telefono sulla prima mensola e andò a badare allo sformato nel forno. Quello non era certo opera sua, le sue abilità culinarie impallidivano di fronte a qualsiasi cosa andasse oltre "infila nel microonde e mangia". Era stata sua madre a prepararlo. Quella sera le toccava riprendere i turni di notte. Emma la sentiva armeggiare in bagno, mentre si preparava prima di andare a lavoro.

Il telefono squillò. All'inizio lo ignorò, ma poi si rese conto che non era il suo, ma quello di sua madre. 

"Mamma è il tuooooooo" urlò mentre provava a togliere il vassoio dal forno senza scottarsi.

La signora Finner corse dal bagno per non perdere la chiamata.

Emma vide il suo volto, i suoi occhi, la sua voce cambiare gradualmente, mentre ascoltava la persona dall'altra parte della linea.

Poi, con lo sguardo perso, sua madre le disse: «Accendi la tv... metti il tg...»

La voce di sua madre era scossa, Emma obbedì senza chiedere nessuna spiegazione. Girò i canali, velocemente, guardando solo il logo in basso a destra di ognuno, finché non trovò quella che cercava. Era un'edizione straordinaria: c'era una giornalista per strada, circondata dalla folla. Stava dicendo qualcosa, ma Emma era concentrata sulle immagini. Alle spalle della giornalista, c'era una casa. Emma fece mente locale, come se stesse sorvolando con la mente la piccola città di Holess Peak, e alla fine riuscì a capire di chi fosse quella casa: Jessie Grossberg.

Si fiondò a prendere il telefono. C'era nuovo messaggio di Jesse. Emma posò il dito sull'icona della faccia di Jessie e lesse il messaggio che apparve sullo schermo:

"Sono in tv!"

Ad Emma mancò il respiro. Tornò nel salone, davanti alla tv, dove c'era sua madre: aveva bisogno di stare con qualcuno. Trovò sua madre in piedi, dove l'aveva lasciata, pietrificata, con gli occhi fissi alla tv e il telefono che squillava tra le sue mani. Emma lesse il messaggio che scivolava in basso sullo schermo, riassumendo la notizia: "Jessie Grossberg, 16 anni, trovata decapitata nella sua casa"

Emma ebbe un conato di vomito. Era a stomaco vuoto e sputacchiò fuori solo un po' di saliva. Poi il telefono che stringeva vibrò ancora. Un nuovo messaggio.

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