23. What if

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L'immagine di un neonato.

Sorrideva, mentre con le mani paffutelle provava ad afferrare l'aria e faceva scattare le gambine come un ranocchio, felice, eccitato dal solletico al pancino che suo padre gli faceva con la punta delle dita.

Ora il bambino era cresciuto, aveva cinque anni. L'erba bagnata di un campetto di calcio gli accarezzava le caviglie, mentre correva dietro a un pallone. I suoi occhi seguivano l'azione, voleva segnare, per rendere orgogliosa sua madre, che lo guardava giocare da bordo campo. Non sapeva che sua madre non avrebbe potuto essere più orgogliosa di quanto già lo fosse. Vederlo crescere era tutto ciò che aveva sempre desiderato.

A 12 anni il primo bacio. Con una bambina più alta di lui. Era successo tutto per caso, se ne stavano seduti su un muretto a parlare di ogni idiozia che gli passasse per la testa. Quando lui, che la sera prima era stato al cinema a vedere l'ultimo film di Harry Potter, stava inavvertitamente per rivelarle tutto. E l'avrebbe fatto, se lei non gli avesse tappato la bocca con un bacio. 

Sedici anni. Non ci riusciva proprio. Per quanto ci provasse, l'auto continuava a spegnersi o accelerava troppo bruscamente e subito dopo era costretto a inchiodare in una frenata sgraziata. Dopo trenta minuti di tentativi, l'auto era a soli pochi metri dal giardino di casa. Suo padre stava scendendo dall'auto, rassegnato, dicendogli che era un disastro e che ci avrebbero riprovato il giorno dopo. Quando ecco sua madre che attraversa il giardino. Il sole le illumina il viso, ancora bello nonostante le prime rughe. Sua madre con lui aveva sempre avuto pazienza. Fu lei a insegnargli a guidare.

E ora era al college. Era chino su un grosso manuale di letteratura inglese, chiuso nella biblioteca oramai da due ore. In tutto quel tempo non aveva letto una sola pagina, perché dopo tre righe aveva aperto la bocca in un grosso sbadiglio e gli era venuta un'idea per un racconto. E allora aveva afferrato carta e penna e aveva cominciato a scrivere la stramba storia di un uomo che non riusciva più a smettere di sbadigliare e ogni suo sbadiglio dava inizio a una catena di eventi dagli esiti disastrosi. Il racconto terminava, come tutti quelli che scriveva, in una sequenza senza fine di ammazzamenti. Il suo sogno era diventare uno scrittore di libri horror e si era iscritto all'università più per far contenti i suoi che altro. Fosse stato per lui, avrebbe passato le sue giornata a gironzolare per la città in cerca di ispirazione e a buttar giù interi romanzi su fogli di fortuna. "Io gli avrei dato un pugno sul muso e l'avrei finita lì". Si voltò. Di fianco a lui c'era una ragazza: immerso com'era nella scrittura, se n'era accorto a malapena. Lei aveva sbirciato il suo foglio per tutto il tempo e aveva letto il racconto parola dopo parola, mentre prendeva forma. "Bel racconto, comunque. A parte questo brutto errore qui e questo qui" disse indicando sul foglio gli errori. Lui non disse nulla, continuò solo a guardarla a bocca aperta. A lei sembrò che lui si fosse offeso per le correzzioni, invece era solo incredulo per quella ragazza che sembrava spuntata dal nulla, così curiosa, così bella, così perfetta. Per fortuna che aveva dato retta ai suoi genitori e a quel college c'era andato. Sei anni dopo, lui e quella ragazza si sposarono.

Ebbero tre figli. Due maschi e una femmina. Erano la luce dei suoi occhi.

Il suo primo libro passò in sordina. Lo stesso dicasi per il secondo. Il terzo, quando oramai era deciso a mollare quel sogno e trovarsi un lavoro vero, fu un successo planetario, ne trassero anche un film con Millie Bobby Brown come protagonista.

Il bambino era oramai divenuto vecchio. Tutti i giorni al tramonto, lui e sua moglie si tenevano per mano e facevano lunghe passeggiate. Spesso stavano in silenzio, perché gli bastava anche solo guardarsi per dirsi tutto. A lei bastava fermarsi un istante e poggiare la testa sulla spalla di lui, per ricordargli quanto lo amasse. A lui bastava raccogliere un fiore da terra, nonostante la vecchia schiena che scricchiolava sempre più, e sistemarglielo fra i capelli, per ricordarle quanto la considerasse bella, anche dopo sessant'anni insieme.

Dopo la loro passeggiata, rientravano a casa e uno dopo l'altro chiamavano i loro figli e i loro nipoti, sparsi per la nazione e qualcuno anche per il mondo, e ogni telefonata iniziava sempre con la stessa domanda: "come è andata la giornata?" Ascoltavano le storie di ognuno, le raccoglievano nel loro cuore come un vecchio fiume che si riempie dei tanti affluenti incontrati lungo la strada.

Anche quando morì, la vita fu benevola con lui. Se ne andò nel sonno, senza soffrire, prima di tutti quelli che aveva amato, senza dover affrontare la loro perdita, lasciando nel cuore di tutti quelli che lo avevano conosciuto un ricordo caloroso.

Era stato un lungo viaggio. Ne era valsa la pena.

Maikus sentì una lacrima colargli giù per la guancia. Nella stamberga del vecchio Abe, impalato davanti a quello strano specchio, aveva visto la sua anima. In molti credono che l'anima sia qualcosa di inafferrabile, qualcosa di lontano, forse inesistente. Ma quelli come Maikus, morti e tornati tra i vivi sanno la verità: l'anima è tutte le possibilità che ogni uomo e donna possiede, quel che può fare, quel che può divenire, quel che perso, quel che avrebbe potuto trovare. In quello specchio, aveva visto cosa sarebbe stata la sua vita se sua madre non fosse stata Serena Bishop: una tossica, una donna che aveva dimenticato cosa fosse l'amore lungo la sua strada di dolore. 

Il vecchio Abe era rimasto stupito alla richiesta di Maikus. Nel corso dei tanti secoli che aveva vissuto, ben pochi avevano voluto guardare in quello specchio, vivere il dolore dei rimorsi, dei rimpianti, le beffe del destino.

Maikus aveva voluto vedere, ne aveva bisogno per fare ciò che doveva... doveva scendere in quello scantinato e uccidere sua madre e per farlo aveva bisogno di odiarla nel profondo. Proprio come stava facendo in quel momento, mentre rimpiangeva la vita semplice e meravigliosa che lei gli aveva negato.


***

Scusate il ritardo!

Lo so che oramai è una cosa che dico sempre più spesso e non riesco a essere tanto puntuale negli aggiornamenti, ma vi giuro che oramai la mia vita è più instabile che mai XD Pensate che oggi sono riuscito a scrivere solo perché ho la febbre e quindi ho mollato ogni altro impegno XD

Spero che nonostante la febbre il capitolo non sia tanto male. Il mio scopo è certamente quello di incuriosirvi con la trama, mettervi paura e tutto il resto, ma vorrei anche creare un legame tra voi e i personaggi e soprattutto il mio intento è scrivere Knock in "tanti modi", con capitoli di puro orrore e tensione e altri più "delicati", diciamo così, come spero che sia questo.

Beh, non so se mi sono spiegato, devo ammettere che forse sta parlando più la febbre che io XD

Ad ogni modo, spero che il capitolo vi sia piaciuto, fatemelo sapere con un commento, una stella o un messaggio.

Grazie come sempre per aver letto fin qui!

Se tutto va bene, il prossimo appuntamento è per sabato. 

KnockDove le storie prendono vita. Scoprilo ora