Capitolo ventidue: Insieme.

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"Posso essere chiunque tu voglia"

Aprii gli occhi, guardai il soffitto con sguardo vitreo, mi tornavano alla mente le frasi che quel ragazzo mi aveva detto quella notte, il solo ricordo faceva male, mi sentivo nudo davanti alla mia debolezza, privo di difese.
Non vidi Levi al mio fianco, meglio così.
Mi alzai dal letto di ospedale su cui ero sdraiato e iniziai a rivestirmi molto velocemente, non sarei rimasto in quel posto un minuto di più.
Uscii dalla stanza e iniziai a correre per i corridoi lugubri di quel posto che mai mi era piaciuto, sapeva di tristezza, sembrava di poter toccare con mano il dolore della separazione dalle persone amate.
Incrociai qualche infermiera, ma nessuno disse nulla, sembravano tutti indaffarati, tanto da sembrare delle piccole e laboriose api. Molto probabilmente c'era un codice rosso e quindi si erano mobilitati in molti, provai quasi tristezza per quella persona, non sapevo chi fosse o cosa avesse subito, ma vedere quella donna in fin di vita portata chissà dove mi provocò una stretta al cuore, ma continuai a correre, senza sosta e remore.
Quando finalmente riuscii ad uscire, mi fermai qualche attimo, tirai un sospiro di sollievo per poi riprendere la mia corsa, volevo tornare a casa, dove ero al sicuro. Se lo avessi detto a Levi sicuramente non mi avrebbe portato a casa sua per tenermi "al sicuro" o sarebbe venuto con me, o ancora peggio, non mi avrebbe permesso di lasciare l'ospedale, in quel momento non desideravo altro che stare a casa mia da solo e nel silenzio della mia stanza.
Quando qualcosa non andava bene, o ero io a stare male mi rinchiudevo in camera mia come avrebbe fatto un bambino, sapevo di essere infantile e che un ragazzo della mia età avrebbe dovuto affrontare di petto le cose, ma davanti a problemi troppo grandi perdevo la mia fierezza e il mio coraggio.
Corsi a perdifiato per diversi minuti, con la stanchezza che incombeva sempre più pesantemente su di me e il freddo che penetrava sotto i vestiti pesanti che indossavo, odiavo l'inverno.
Durante la mia corsa sentii più volte il telefono squillare, ma non mi degnai nè di rispondere nè di controllare chi fosse, lo sapevo già e in quel momento non avevo la benché minima voglia di parlare con lui, non prima di aver fatto mente locale, non prima di essere tornato a casa mia, al sicuro.
Fortunatamente l'ospedale distava poco da casa, visto il lavoro di mio padre era necessario che casa nostra fosse nei pressi del posto che forse più odiavo al mondo, tanto che molto spesso mio padre andava a lavoro a piedi durante le tiepide giornate primaverili.
Quando finalmente raggiunsi casa mia a stento mi reggevo in piedi dalla stanchezza, ero madido di sudore, il respiro mi mancava e sentivo stranamente caldo, riuscii ad entrare in casa grazie alle chiavi che mio padre "nascondeva" dietro un vaso, mai fui tanto contento di quella sua stupida idea.
Mio padre era in casa, seduto in cucina mentre beveva un caffè leggendo il giornale che molto probabilmente non aveva avuto il tempo di finire quella mattina, mi guardò sorpreso e non appena notò le condizioni in cui versavo mi si avvicinò con fare apprensivo.
<Eren tutto bene? Sei tutto sudato, fammi controllare se hai la febbre...> non mi lasciò il tempo di dire nulla, poggiò la mano sulla mia fronte per pochi secondi e subito dopo mi guardò preoccupato, <Hai la febbre, vai su a riposarti, arrivo subito con le medicine> terminò abbozzando un piccolo sorriso, molto probabilmente era deformazione professionale, sorrideva sempre subito dopo aver finito una frase, come faceva a lavoro.
Senza dire nulla andai in camera mia e misi il pigiama, mi accoccolai nel mio letto e strusciai il viso sul cuscino come avrebbe fatto un gatto, in quel momento avevo quello che volevo e per cui ero scappato: la solitudine.
Ma non bastava.
Pur essendo da solo, e a casa mia, non mi sentivo appagato, mi guardavo intorno come se da un momento all'altro sarebbe potuto spuntare un pericolo, un mostro dai capelli biondi e gli occhi neri. Rabbrividii al pensiero.
Sentii la porta aprirsi con il suo consueto scricchiolio, rivelando la figura di mio padre con un bicchiere in mano, <Ti ho già sciolto la medicina nell'acqua> disse porgendomi il bicchiere, io non riuscivo proprio a mandar giù le pillole, quindi nel corso degli anni mio padre e mia madre avevano dovuto comprare sempre altri tipi di farmaci, una vera seccatura.
Una volta finito di bere passai il bicchiere vuoto a mio padre, che invece di andarsene come da prassi, prese la sedia della scrivania e si sedette vicino a me, mi spostò i capelli umidicci dalla fronte e poi si appoggiò con la schiena alla sedia sospirando, <Qualcosa non va, vero?> chiese guardando fuori dalla finestra della mia camera, il suo sguardo era abbastanza triste.
<No, va tutto bene...> era palese che stessi mentendo, ma mi sforzai di sorridere come per confermare le mie parole, peggiorai la situazione, il mio sorriso era tremante e i miei occhi sempre più lucidi. Possibile che si fosse accorto di qualcosa? Come avrebbe reagito?
Mio padre sospirò nuovamente, <Sai perché io e tua madre ci siamo separati?> chiese continuando a guardare fuori dalla finestra, come se non fosse realmente lì con me, come se fosse altrove.
<Perché non stavate più bene insieme... credo> dissi abbastanza titubante, non avevo mai chiesto troppo informazioni in merito e loro non me ne avevano mai date di loro spontanea volontà, <Tua madre non diceva mai nulla a nessuno, non diceva mai nulla che potesse far preoccupare gli altri, o che potesse in qualche modo intaccare la loro felicità. Non mi aveva mai confidato le sue paure, era sempre forte, quasi imperturbabile. Sembrava che recitasse a volte>.
Mio padre in quel momento stava navigando nel mare dei ricordi, e se pur meno di lui, riuscii anche io ad immergermi in quelle acque dolorose e al contempo colme di gioia.
<Pensa che non mi aveva neanche mai confidato della sua malattia: cancro al seno.
Era curabile se preso in tempo; ma lei si spinse fino all'ultimo, scoprii che era malata per sbaglio, sentendo la conversazione di due miei colleghi, è stato devastante. La amavo, Dio solo sa quanto amassi tua madre, e quanto la amo ancora.
Ma lei era decisa ad affrontare tutto da sola, e nonostante il profondo legame che ci unisse abbiamo deciso di lasciarci, sai, nonostante tutto il mio stupido orgoglio non mi aveva permesso di sorvolare le sue bugie. Bugie dette per proteggere la mia e la tua felicità, ma bugie che sapevo le sarebbero costate la vita, e poi, così è stato> prese un bel respiro e mi guardò con gli occhi lucidi, per la prima volta in quel discorso mi guardò, quasi supplicante, <Eren, ti prego, non ripetere lo stesso sbaglio di tua madre. Parlami, se non a me a qualcun altro, ma parla. Dimmi cosa ti preoccupa, o quali sono i tuoi problemi, io sono qui per te, qualunque sia il tuo problema, lo risolveremo insieme, perché siamo una famiglia. Parlami, ti prego> mi prese la mano mentre io lasciavo scendere le lacrime sulle guance, non avevo motivo di trattenermi.
Poggiai il braccio libero sugli occhi, mentre singhiozzavo sommessamente, <Papà è successa una cosa terribile> iniziai, tolsi il braccio da sopra gli occhi e guardandommio padre negli occhi dissi scandendo bene le parole, <Sono stato violentato>.

Raccontai a mio padre tutti gli avvenimenti di quella notte e quando finii il mio discorso, lui era bianco come un cadavere.
Deglutì a fatica per poi prendere un bel respiro, <Eren dovremmo sporgere denuncia, quello che è successo è gravissimo. Non possiamo lasciar correre> guardai da un'altra parte, <Non voglio> mi guardai le mani, <Non voglio più rivederlo, non voglio più sentir parlare di lui, voglio solo dimenticare> dissi con tono amaro, <Lo capisco, ma potrebbe essere uno stupratore seriale, potrebbe fare altre vittime, io penso che dovremmo denunciarlo, ma la scelta finale sta a te. Scegli con criterio> finì abbozzando un sorriso un po' tirato, <Ho già preso la mia decisione, non voglio più avere a che fare con lui, voglio solo... tornare ad essere quello che ero prima> terminai, mio padre annuì e poi mi passò una mano tra i capelli, <Se questa è la tua decisione allora ti appoggerò figliolo, non dimenticare che ti voglio bene> disse per poi alzarsi e rimettere la sedia al suo posto, <Ah guarda, ti sta chiamando Levi> disse porgendomi il telefono che avevo poggiato sulla scrivania.
<Non mi va di parlarci ora...> mormorai guardando lo schermo del mio telefono, <Sai basterebbe che tu gli mandassi un messaggio, deve essere molto preoccupato per te> disse avviandosi verso la porta, <E sei pregato di invitarlo a casa, devo fare due chiacchiere con lui, è o non è il tuo fidanzato?> concluse mio padre per poi uscire e chiudere la porta della mia stanza.
Guardai lo schermo del mio telefono illuminarsi per una nuova chiamata del corvino, mio padre aveva ragione, Levi era preoccupato per me e io mi stavo comportando in modo infantile.
<Pronto Levi?>
<Eren dove sei finito?! Sono rientrato in...>
Non lo lasciai finire, sorrisi anche se sapevo che lui non potesse vedermi.
<Non preoccuparti, sono a casa mia. Ti va di venire a trovarmi? Ho delle cose da dirti...>
Lo sentii tirare un sospiro di sollievo, e mi sembrò quasi di vederlo annuire.
<Certo, arrivo subito>
Dopo esserci salutati chiusi la telefonata, mi stesi meglio sul letto e guardai il soffitto bianco della mia camera, ripensai a come la nostra storia era iniziata, sentivo il petto riscaldarsi al solo ricordo, non importa cosa sarebbe successo, io e Levi lo avremmo affrontato insieme.

Tana della scrittrice (satana):
Salve! *saluta con la manina*
Ancora una volta sono in ritardo *applauso auto-celebrativo* questa settimana sono andata alla spa quindi non ho avuto il modo/tempo (diciamoci la verità ero stanca morta la sera e non avevo internet) di postare: magnifico.
Una volta tornata a casa Wattpad (che mi odia) mi ha cancellato tutti e due i capitoli che avevo scritto, volevo morire.
Vabbè poi ho riscritto di nuovo tutto in modo abbastanza fedele, e il capitolo dell'altra storia (Il grande violinista) è venuto leggermente più lungo del precedente *secondo applauso auto-celebrativo*.
Ho finito di rompere, addio.

-Beatrice.

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