ROMA E LUCI

152 3 3
                                    

La mattina di Santo Stefano Ermal era sotto casa di Silvia con uno zaino in spalla. Si stringeva nel suo giubbotto e da qualche parte, tra la sciarpa e il berretto, ci doveva essere il suo viso. Silvia stava scendendo, ma aveva un bagaglio molto meno essenziale di quello di Ermal. Trascinò il trolley fino alla sua macchina, più confortevole di quella vissuta di Ermal, e lasciò che fosse lui a riempire il bagagliaio. Si misero in viaggio dopo i riti di saluto, ascoltando i Beatles. Notando che Ermal non cantava però, come era solito fare quando ascoltava in macchina canzoni di suo gradimento, Silvia gli chiese: "Dormito male stanotte?"

"Un po'."

"Troppo pandoro eh?"

"Penso che quello abbia fatto la sua parte, la mia pancia ieri avrebbe fatto invidia a Babbo Natale."

"Puoi riposarti un po' adesso se vuoi, ci sono Beatles a farmi compagnia" disse lei strizzando l'occhio.

"Grazie, ma sarebbe inutile"

"Inutile?"

"INUTILE. Prefisso in- che indica negazione seguito da utile, che viene da utor, usare. Inutile."

"Inutile." sentenziò Silvia stringendosi nelle spalle. Sapeva che Ermal stanco voleva dire Ermal nervoso. Stettero un po' in silenzio. Silvia guardava la strada che ormai conosceva a memoria e Ermal guardava fuori dal finestrino il paesaggio desolato dall'inverno. A un certo punto, mentre sostituiva l'album esausto dei Beatles con uno dei Massive Attack, chiese a Silvia:

"Secondo te piacerò ai tuoi?"

"Penso di sì, amore, ma lo scopriremo insieme"

Ermal non sembrava rassicurato da quelle parole, nonostante il tono dolce di Silvia. Non rispose e si concentrò nuovamente sui Massive Attack.

"Cosa ti preoccupa?" lo interrogò Silvia.

"Non so.. ad esempio il fatto che sono albanese? E un musicista poco più che squattrinato? Ogni genitore desidera il meglio per i propri figli, secondo loro io sarò il meglio per te?"

Silvia era costernata. "Ma da quando ti fai tutte queste paranoie Ermal?". Lui si strinse nelle spalle, senza guardarla. "E comunque" c'era una sfumatura di rabbia nella sua voce "I miei non sono razzisti. Che importa se 16 anni fa vivevi in Albania? Sei ridicolo. Secondo te ti porterei da loro se ci fossero rischi di questo tipo? "

E stavolta fu lei a chiudersi nel silenzio. Erano passate due, tre canzoni quando finalmente Ermal bisbigliò: "Scusa. Non volevo insinuare niente sui tuoi. Ho solo paura di non essere all'altezza, tutto qui."

"Se provi a dirmi meriti di meglio ti abbandono al primo Autogrill" disse lei ridendo. "Sai in quanti mi hanno lasciata con questa frase? Decido io cosa è meglio per me. Ti amo, quindi sei all'altezza. Fine del discorso."

Di lì a poco fecero veramente una sosta in Autogrill, e prima di risalire in auto Ermal cercò le labbra di Silvia, per farle capire che sì, insomma, anche lui la amava.

Fecero in tempo solo ad ascoltare l'album di Jeff Buckley prima di arrivare nella città eterna. Era tradizione che il giorno di Santo Stefano si ritrovasse per pranzo tutta la famiglia Notargiacomo, perciò i due erano a Roma e con l'occasione ci sarebbero rimasti fino a Capodanno. Per non approfittare dell'ospitalità dei suoi genitori, che erano impegnati ad accogliere altri due figli, decisero di restare in un bed and breakfast per quelle notti. Dopo aver lasciato lì i bagagli andarono per le vie affollate del centro, dove si vedevano ogni tanto vicino ai marciapiedi gli avanzi della nevicata dei giorni precedenti. L'atmosfera era più accogliente di quanto Ermal avrebbe avuto il coraggio di immaginare. C'era il caminetto acceso e sotto l'albero di Natale non troppo distante c'erano i regali che ciascun ospite aveva lasciato. C'erano i bambini del fratello maggiore di Silvia che giocavano con i loro cugini sotto la tavola imbandita. Seduta su una poltrona, in un angolo, c'era la nonna di Silvia, che dava ordini a tutti: diceva a sua figlia come apparecchiare, a sua nipote come pettinarsi, ai suoi bisnipoti di stare fermi e smetterla di schiamazzare, ma sembrava che fossero tutti sordi. Ermal riuscì a conversare piacevolmente con il fratello di Silvia e il fidanzato di sua sorella, dalla politica al calcio. Di musica poco, ma per quello c'era Silvia. Il padre di Silvia invece era abbastanza taciturno, se ne stava seduto a braccia conserte beandosi della gioia che lo circondava, guardando con benevolenza i giochi dei suoi nipoti. Quello che non diceva lui, però, era compensato dalla parlantina di sua moglie, che cercava di intrattenere tutti gli ospiti. Dopo le presentazioni iniziali non era più riuscita a parlare con Ermal, il quale si era accorto del fatto che non fosse l'unica new entry di quella tavolata. Quando al momento del panettone Ermal e Silvia riuscirono a parlare con i suoi genitori, Ermal si rese conto di quanto fossero sciocche le sue paure e di quanto invece si sentisse a suo agio in quella famiglia. D'altra parte non gli furono poste le classiche domande: "Di cosa ti occupi?" "E i tuoi genitori invece?" "Come mai questo nome particolare?" e via dicendo, probabilmente c'era lo zampino di Silvia che aveva già anticipato un po' di cose. Al contrario gli chiesero cosa ne pensasse della città, se ci era già stato e quando disse che ci aveva suonato cominciarono a chiedergli quali altri luoghi avesse avuto la fortuna di visitare grazie alla musica. E poi gli dissero: "Siccome sei un musicista potresti cantarci qualche canzone di Natale", e tra l'entusiasmo generale si trovò in mano una chitarra, troppo piccola per lui perché era il regalo di Natale di uno dei nipotini di Silvia. Cantarono tutti insieme Jingle Bells e Astro del ciel (quest'ultima su richiesta della nonna) e poi il fratello di Silvia disse: "Abbiamo un professionista fra noi, perché non lo ascoltiamo? Cantaci quello che vuoi" con un sorriso. "No ma che quello che vuoi? Quello che vuoi ma di Natale" intervenne la nonna di Silvia, ancora sulla poltrona. Ermal cercò di dimenticare l'apprensione data da tutti quei grandi occhi puntati su di lui ( Quanto è più facile suonare ai concerti davanti a centinaia di persone!) cercando la canzone giusta tra quelle piccole corde. Nel frattempo il legittimo proprietario dello strumento reclamava la sua chitarra aggrappandosi ai pantaloni di Ermal. Alla fine trovò la canzone migliore per quella occasione. Quando la finì, il suo falsetto e la sua interpretazione di Hallelujah di Cohen avevano lasciato tutti a bocca aperta. Perfino i bambini avevano smesso per un attimo di fari i dispetti, incantati da quella melodia, come se si trattasse del pifferaio magico. La nonna di Silvia era stizzita perché non riusciva a trovare niente da correggere. Gli adulti erano letteralmente senza parole. Gli occhi della sorella di Silvia erano bagnati. Quelli di sua madre brillavano di orgoglio. Il momento di surreale silenzio fu spezzato dal bambino ai piedi di Ermal che disse: "Mi insegni? Voglio fare anche io queste magie!". Tutti risero, Ermal lo sollevò appoggiandolo sulla gamba dove non c'era la chitarra e lo tenne lì tutto il pomeriggio, cercando di spiegargli i segreti di quell'ovale con le corde, che poteva diventare una porta per l'infinito. Dopo un po' i giocattoli nuovi persero il loro fascino e anche gli altri bambini volevano imparare a suonare, litigando per essere i primi.

Ermal e Silvia ricordarono quei momenti ridendo, mentre tornavano dal concertone di Capodanno al Colosseo. Avevano appena assistito, quasi per caso, ad un concerto gratuito di Antonello Venditti. Ermal non riusciva a contenere la gioia. Aveva una sorta di adorazione per quell'uomo, le sue canzoni erano state gli appigli a cui si era stretto negli anni 90, quando era alle prese con l'apprendimento dell'italiano e l'esplosione dell'adolescenza. Non avrebbe mai potuto ringraziare quell'uomo abbastanza, non avrebbe mai potuto fargli sapere quanto fosse stato importante per lui, il piccolo, sconosciuto, Ermal Meta, umile cantante della rock-band sconosciuta più famosa d'Italia, come li aveva definiti una rivista qualche tempo prima. Silvia paragonò lo sguardo incantato di Ermal a quello di suo nipote con la chitarra. "Aveva ragione lui, la musica è proprio una magia." Ermal rise. Erano praticamente soli a passeggiare tra i fori imperiali. Erano passate le due, e chi non era a dormire era al caldo, al coperto. La luce dei lampioni colorava d'oro il marmo e il travertino che testimoniavano la gloria passata dell'Urbe. Il Colosseo illuminato sembrava l'altra faccia della luna, che brillava orgogliosa in cielo, colorando le nubi che cercavano di nasconderla. Le luci della città, quelle delle poche finestre ancora accese, dei monumenti, dei fanali degli autobus e dei taxi, delle moto, che si vedevano dalla terrazza del Pincio su cui erano andati i due, sembravano il riflesso delle stelle. Passeggiarono così, in quel silenzio surreale, tra le luci di Roma, leggermente brilli, ridendo per ogni cosa, a partire dal ricordo della rocambolesca lezione di chitarra di Ermal ai bambini, per arrivare alle battute i Venditti al concerto, alla derisione di quelli intorno a loro durante quel concerto e la loro imitazione, alla bontà di quel vino che avevano bevuto per festeggiare il 2011, indipendentemente dallo spread, dalla crisi, la disoccupazione, alla faccia di tutto, avevano svuotato la bottiglia. E stavano lì, per strada, abbracciati. Tornarono al bed and breakfast solo dopo aver visto l'alba. Solo in quel momento lessero i messaggi di auguri che avevano ricevuto. Tra tutti quelli di Ermal, ce n'era uno di quel pomeriggio, da parte di Lele: "Giovanni è in ospedale. Quando puoi vallo a trovare."

Spazio autrice: Non ho idea di come sia formata la famiglia di Silvia, se abbia veramente un fratello, una sorella e dei nipotini. E' pura immaginazione. Viceversa, Venditti ha fatto veramente un concerto gratuito al Colosseo nel 2010... che coincidenze!

9 PrimavereDove le storie prendono vita. Scoprilo ora