Rottura

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La mezzanotte è passata da un pezzo e io sono ancora alla finestra.
Guardo la sua stanza, dall'altro lato della strada, con la luce spenta.
È fuori con Grace, come ogni altra sera.
Di solito mi unisco al gruppo, ma questa sera non ne ho avuto voglia.

Ho finito i compiti, ho lavato i piatti della cena; mi sono lavata e poi... Me ne sono rimasta qui, per ore, a fissare il nulla e a riflettere.

So che il pensiero di tutti, almeno di quelli che sanno, è che sono gelosa. Ma non è così. È che soffro per il modo in cui lo tratta: come se fosse il suo valletto e non il suo ragazzo.
Nonostante Pete si faccia in quattro per lei. Ed è qui che sbaglia, per me.

Qualunque cosa lei chieda, lui gliela dà senza remore, senza risparmiarsi.
E a causa della bontà del mio amico lei ne approfitta.
Mi sono arrivate alcune voci riportanti commenti poco carini, espressi da lei nei confronti di Peter.

Prima di fare qualunque cosa, affrontarla e strapparle i capelli, o dirlo al mio amico, ho preferito aspettare e sentire direttamente con le mie orecchie.
Purtroppo non ho avuto fortuna; lei è molto furba, ha giocato bene le sue carte.
E la loro relazione è proseguita nel solito modo.

Ma non è solo a questo che penso.
Ricordo gli anni in cui eravamo sempre insieme: le risate, gli scherzi, le giornate passate a studiare, con me che non capivo un piffero di matematica (la odio nel profondo), e lui che pazientemente mi spiegava tutto daccapo, diverse volte.

Il sorriso obliquo quando si rendeva conto che avevo capito.
Le battute, più frecciatine direi, che mi faceva. O il semplice portarmi il tè freddo alla pesca, per staccare un po'.
È così lui, buono e altruista. Sempre pronto ad aiutare gli altri.
Ed è questo che mi fa sentire come se mi pugnalassero al cuore: perché Pete si merita il meglio, e invece riceve solo il peggio.

Un SMS mi distrae: mi ha inviato una sua foto, mentre fa il muso lungo, con scritto: miss you.
Mi manchi, se solo sapesse quanto lui manca a me.
Gli invio un emoticon; so che è squallido, ma non riesco a scrivere altro, troppo terrorizzata dal pensiero concreto di poter sbottare da un momento all'altro.

Non voglio aggiungere altro peso a quello che ha già. Nonostante la distanza che si è venuta a creare, lui è sempre il mio unico amico. E di conseguenza lo voglio sostenere, devo farlo.
Un ultimo sospiro, chiudo le tende e mi metto a letto.
Accendo il mio mp3, imposto la riproduzione automatica e mi lascio andare.
The best is yet to come, di un gruppo pressoché sconosciuto, è la canzone che amo di più. Quella che ballavamo come matti ogni volta che superavamo un ostacolo, qualunque esso fosse.

Spengo tutto, lasciando la traccia a metà, stringo il cuscino e mi lascio andare al sonno. Devo riposare, per non sembrare uscita da un film di zombie l'indomani.
Mi sistemo in una posizione comoda e inizio a contare all'indietro partendo da 100.
Poco dopo mi addormento, mettendo da parte tutto, perfino lui.

***

Un rumore ripetitivo e fastidioso mi sveglia.
Mi metto seduta, sperando che non sia di nuovo il vicino, con le sue manie del bricolage notturno.
Sbadiglio, ed ecco di nuovo quel rumore.
Capisco che proviene da fuori.
Vado alla finestra, la spalanco e quasi urlo.
Un tipo incappucciato se ne sta lì, a testa bassa.
«Chiamo la polizia, vattene!» minaccio.
«Sono io» la sua voce è ombrosa, incrinata.
«Pete? Che ci fai qui, sono le...» guardo la sveglia, «sono le tre del mattino!»
«Lo so. Lei...» vedo la schiena sussultare, lo prendo per la manica della felpa e lo tiro dentro.
«Lei cosa, Pete?» domino a fatica l'istinto omicida; deve averne combinata una delle sue, tra le quali spero non ci sia il tradimento.
«Mi ha lasciato. Era da un po' che si vedeva con un altro» l'annientamento nella sua voce mi arriva come un fiume di aghi, che si conficcano nel mio petto.
«Io... Non so che cosa dire. Vai in bagno e datti una sistemata. Vado di sotto e ti preparo la cioccolata calda.
Poi mi racconterai tutto, e domani salteremo la scuola.
O meglio, oggi salteremo la scuola» non perdo tempo, vado giù e mi metto in moto.

Le mani mi tremano, deduco sia il nervoso, ma cerco di darmi una calmata. Devo mostrarmi tranquilla e pacata, perfettamente predisposta ad ascoltare senza giudicare, anche se dentro...
Il timer del microonde suona, tolgo la tazza e metto un po' di panna spray.

Lo raggiungo trovandolo seduto sul letto, senza scarpe e con le gambe incrociate.
Le spalle piegate, il corpo teso.

«Tieni» passo la tazza e mi siedo di fronte a lui.
«Mi ero accorto che era strana, cambiata, già da un po'. Ma ho preferito fingere, piuttosto che affrontare la verità.
Comunque sia, è rimasta per tutta la sera con le ragazze, ignorandomi del tutto.
Poi è sparita, nascondendosi in una zona appartata.
L'ho seguita, volevo capire che cosa stesse accadendo.
Parlava con lui, gli diceva che mi avrebbe lasciato dopo la festa» prende un respiro, «e non è stato questo il peggio: rideva di me, Didi».

Faccio finta di non volerla uccidere, dando a lui del tempo, ed a me l'opportunità di non perderlo definitivamente.

«Ho sempre fatto quello che voleva, come lo voleva e nei tempi in cui lo desiderava.
Ti ho anche messa da parte, perché non le piacevi» mi rivolge uno sguardo così addolorato che mi spezza in due.
«L'amavo, l'avevo messa al centro di tutto, e lei se la intendeva con un altro. Chissà quanto hanno riso di me, in queste settimane.
Mentre il povero Pete giocava a fare il cavalier servente».
Se la prende con se stesso, senza motivo.

«Ascolta: non hai sbagliato tu! Metterla al primo posto è stata una cosa naturale. Non mi sarei aspettata niente di meno da te.
Il fatto che tu sia un ragazzo buono e generoso non è un difetto.
Quando ami lo fai a tutto tondo, il che ti rende speciale. Il più speciale di tutti.
E per quanto riguarda me, non hai da rammaricarti. Ti conosco da sempre e so come sei fatto.
Sei sempre Petie, il mio migliore amico.
Ed è per questo che adesso ci faremo una bella dormita, marineremo la scuola e ci inventeremo qualcosa, giusto per farle capire che perla rara si è persa. Le faremo mangiare le mani.
Ma ora, sotto le coperte, di corsa».

Abbozza una specie di sorriso e scivola sotto le lenzuola.
Sento il suo respiro affannato; sta per piangere.
Mi volto per non metterlo ancor di più in imbarazzo.

«Didi?» mi chiama.
«Sì?»
«Ti voglio bene».
«Lo so. Te ne voglio anche io. Dormi, devi rimetterti in forze. Buonanotte».

Fingo uno sbadiglio, di modo che pensi mi stia addormentando.
Ma non è così: non chiudo occhio per tutta la notte, ascoltando il pianto disperato del mio amico, e del suo cuore calpestato e frantumato.

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