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La mattina seguente, Han si preparò con un'estrema cura, pettinando i capelli per bene, mettendosi il suo vestito più elegante e utilizzando il suo profumo preferito. E dire che doveva andare solo a colazione.

Era circa un mese che saltava quel pasto importante, ma da quel giorno voleva fare il possibile per non evitare Minho, anche se il suo cuore continuava a giocargli brutti scherzi. Han aveva paura del suo cuore. Spesso quest'ultimo era in contrasto con la mente, più razionale, più attenta a non cadere nelle trappole della vita. Ma il cuore invece decideva per sé e Han avrebbe voluto strapparselo pur di non provare emozioni che gli facevano paura, come quella che provava quando era chiuso nel labirinto degli occhi di Minho.

Han aveva paura del suo cuore, ma quella mattina lo accontentò e scese nella sala della colazione.

Nonostante fosse presto, la sala era già piena come ogni mattina. Il pianista non era abituato a tutta quella confusione, aveva dimenticato quanto fosse fastidiosa la gente appena alzata. Il suo sguardo si perdeva tra la folla, in cerca di una divisa verde militare e di capelli ricci che continuava a sognare ogni notte.

"Buongiorno Han.". Sentì la sua presenza alle spalle e balzò per lo spavento, senza voltarsi. "Buongiorno Minho." sussurrò piano, cercando di calmarsi con respiri profondi. Si girò lentamente verso di lui e il suo sorriso lo colpì come un mare in tempesta, come una lama tagliente dentro al petto. Faceva male da morire quel sorriso, però Han sapeva già dentro di sé che non poteva farne a meno.

Le labbra carnose di Minho si schiusero ancora di più, rendendo il sorriso ancora più luminoso. Han cercò di ricambiare, ma la sua anima era troppo scombussolata per mostrarsi in un gesto così semplice, così dovette limitarsi ad un mezzo sorriso che probabilmente sembrava più una smorfia.

"Tutto bene?" chiese il soldato, spegnendo quel sorriso e corrugando la fronte.

"Sì." mormorò Han, ritentando un sorriso decente.

Minho si rilassò e ricambiò, con gli occhi che brillavano più del solito. "Ho troppa fame! Hai già mangiato?" domandò all'altro, stiracchiando le braccia e sbadigliando apertamente.

Han lo guardò quasi intenerito, scuotendo la testa in risposta.

"Allora andiamo a cercare qualcosa da mettere sotto i denti, dai."

Il soldato afferrò la manica della giacca di Han, trascinandolo attraverso quella folla, tentando di avvicinarsi ai tavoli sovraffollati.

"Aspettami qui." sussurrò all'orecchio del pianista, prima di scomparire tra la gente.

Han ebbe un tremito per la posizione ravvicinata in cui Minho aveva pronunciato quelle due parole, ma anche perché quella mattina, il soldato era maledettamente bello. Mentre lo aspettava si ritrovò a pensare a quanto gli stesse bene quell'uniforme verde che faceva risaltare i suoi occhi. Si ritrovò a pensare ai suoi ricci disordinati che lo attiravano così tanto. Si ritrovò a pensare alle sue labbra, rosse come una mela da mordere, succhiare, assaporare.

In fine, si ritrovò a pensare al fatto che tutte quelle cose, le pensava ogni santa notte.

Lo vide rispuntare con un piatto e due bicchieri dall'ammasso di servi e soldati che lottavano per avvicinarsi al tavolo. "Andiamocene." pronunciò svelto, sorridendo a Han che faticò ad obbedire immediatamente. "Forza andiamo!" lo incitò ancora Minho, muovendo il capo in direzione della porta d'uscita.

E Han lo seguì, anche se dopo tutto, non aveva per nulla fame.

Il Palazzo d'Inverno era enorme, infinito. C'erano 1057 stanze, 1786 porte e 1945 finestre, un labirinto di mosaici, oro e quadri spettacolari.

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