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26 Ottobre 1917, San Pietroburgo. Ore 00:30.

Camminando tra i lunghi corridoi del Palazzo che sembravano labirinti, Minho notò che era successo qualcosa. Di solito a quell'ora della notte c'erano solo poche persone in giro, solo qualche cameriere e qualche guardia di turno. Quella notte invece c'era un via vai di servi e soldati, chi correva, chi portava tra le mani una quantità enorme di vestiti. Senza pensarci più di tanto, il soldato corse verso la camera delle piccole granduchesse, sperando che Anastasija fosse ancora sveglia.

Ma la verità era che in quella stanza, tutta la famiglia Romanov, meno lo zar, era riunita in un religioso silenzio che spaventò Minho. Nell'enorme stanza affollata dalla famiglia imperiale e da qualche guardia, c'era così tanta tensione che il soldato riccio non poté fare a meno di sentirsi male.

La prima persona che notò fu la zarina, affacciata alla finestra della camera con gli occhi spalancati e la bocca semiaperta, in un'espressione di stupore che mai prima d'allora aveva solcato il suo volto. Minho chiuse gli occhi, forse era solo un incubo quel volto di dolore della zarina. Ma poi guardò in faccia i suoi figli e non poté fare a meno di pensare a Han che aveva lasciato solo.

Anastasija corse ad abbracciarlo, bagnandogli la camicia di lacrime.

"Oh Minho, sei tu." aveva detto la piccola Marija, con il suo abitino bianco tutto stropicciato dalle sue mani che per l'ansia non riuscivano a stare ferme.

Minho abbracciò forte la piccola granduchessa, chiedendole cosa fosse successo. Fu Ol'ga a rispondere, tenendo sulle ginocchia il piccolo Aleksej che poche volte il soldato aveva visto fuori dalla sua personale stanza, di solito sempre chiusa.

"Hanno preso San Pietroburgo." aveva risposto la più grande, dai capelli lunghissimi color nero corvino, attorcigliati in una grande treccia.

Minho non comprese subito quelle semplici parole. Continuando ad accarezzare la schiena di Anastasija che piangeva a dirotto senza accennare a smettere, si chiese se Han avesse fatto la valigia, se Han avesse già saputo dell'orrenda notizia, se Han stesse bene.

Han, Han, Han solo lui nei suoi pensieri.

Avrebbe voluto piangere però. Non solo perché doveva dire addio a quella ragazza che aveva tra le braccia, ma anche perché con la presa di San Pietroburgo, la fuga d'amore con Han si sarebbe complicata drasticamente.

Non era più sicuro di niente, non era più sicuro di farcela. Sapeva solo che avrebbe preso la mano del suo ragazzo e l'avrebbe trascinato fuori da quella città, dal dolore, dalla guerra. Avrebbero attraversato strade con in nemici armati, con i feriti urlanti, con le vittime di quel massacro che avrebbe segnato per sempre la storia della Russia.

Rabbrividì a quel pensiero, ma Minho non poteva permettersi di perdere la lucidità in quel momento. Tenendola stretta, portò la piccola Anya in un angolo della stanza, asciugandole le lacrime e cercando di non farla piangere più.

"Han dice che ti vuole bene sai?" le disse, sforzandosi di sorridere anche se non era proprio il momento. "Ti saluta tanto." aggiunse, cercando di farla distrarre dai pensieri sulla guerra. Anastasija si asciugò gli occhi col dorso della mano, tirando su con il naso. "Ma io l'ho sempre trattato male." confessò, sorpresa da quella dichiarazione.

Minho le lasciò un bacio in fronte, abbracciandola di nuovo. "Non gli importa, ti vuole bene lo stesso."

E Anastasija pianse più forte pentendosi di ogni momento di gelosia provato, di ogni istante in cui aveva cercato di separare quei due che sembravano nati per stare insieme. Pianse perché la fine era vicina, lo sentiva nelle ossa e nelle membra, pianse perché lei non aveva mai avuto occasione di innamorarsi.

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