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Han stava preparando il suo bagaglio proprio in quell'esatto momento. Era una decisione già presa qualche giorno prima, poiché non riusciva più a sopportare di dover ignorare Minho e i suoi occhi, di non dovergli parlare.

Non sapeva dove sarebbe andato. Non gli importava più che altro. Ma sarebbe fuggito via con la coda tra le gambe da quel Palazzo che era stato luogo di mille emozioni, sia belle che brutte. Han non aveva mai provato così tante emozioni diverse. E tutto grazie a Minho. Nonostante lo stesse per abbandonare per sempre, lo avrebbe ringraziato ogni giorno della sua vita. Per avergli fatto capire cos'era l'amore, o quella cosa che provava per lui ogni volta che lo vedeva. Per avergli fatto capire in che tempo musicale batteva il suo cuore, per aver sciolto i ghiacciai e parte delle fobie che regnavano dentro la sua anima.

Minho quel giorno però non si servì di nessun cameriere per entrare nella stanza. Non si premurò neanche di bussare, scivolò nella stanza in silenzio, appoggiandosi alla porta con le mani dietro la schiena. "Non puoi andartene." disse semplicemente. Han lo aveva sentito arrivare. Lo sentiva sempre, nella sua mente, nelle sue mani e lo aveva sentito anche mentre entrava in camera senza permesso. Non lo guardò neanche però, concentrandosi solo sulla sua valigia.

"Da quando decidi tu della mia vita?" aveva detto acidamente, o almeno così voleva apparire, ma con scarsi risultati.

"Non puoi uscire da questo Palazzo. C'è la guerra là fuori, non capisci?"

Minho si era staccato dalla porta, avvicinandosi all'altro ragazzo che non fece una piega, continuando a sistemare i suoi vestiti. "Già, io non capisco niente." aveva aggiunto Han, riprendendo le parole del soldato che tanto gli avevano fatto male.

E a quel punto Minho non ce la fece più. Iniziò a sbottonarsi la giacca della divisa verde militare con una calma estrema e un'espressione impassibile sul volto. Han lo guardò sconcertato, iniziando ad avere un po' di paura. "C- Che stai facendo?" chiese il pianista, con la voce che gli tremava. Minho non rispose, sfilandosi anche la canotta bianca che era rimasta sul suo busto.

A Han mancò il fiato. La pelle candida del riccio risaltava ancora di più con quella poca luce che filtrava dalle tapparelle e dal tendaggio bianco. Le spalle e il petto muscoloso erano solo una parte di ciò che a Han fece mancare l'aria.

All'altezza della pancia piatta, leggermente a destra, si situava la cosa più brutta che il pianista avesse mai visto. Era una cicatrice, orrenda, ormai parte integrante della pelle candida del moro, che la deturpava e la stuprava in un gesto violento che gli occhi di Han non riuscirono più a sopportare, quindi dovette distogliere lo sguardo. "Minho.." chiamò, in un gemito di dolore mentre si portava le mani davanti la bocca, cercando di non piangere.

"Vedi perché non ti posso dire che cosa ho passato?" iniziò il moro, sedendosi sul letto a baldacchino dalle lenzuola verdi e bianche. "Non voglio condividere questo dolore con te. La guerra è una cosa troppo grande per tutti. Persino per me che sono un soldato."

Han lo vide nascondere il volto tra le mani, e poi lo vide anche muoversi scosso da diversi sussulti. Non lo aveva mai visto piangere e questa cosa lo devastò come un uragano. Subito si sedette accanto a lui, carezzandogli la schiena tremante, mentre anche il suo volto si rigava di lacrime di dolore.

"Han, ho visto cose che.." Minho non riuscì neanche a finire la frase che Han lo stava già abbracciando, più stretto che poteva, coccolandolo e prendendosene cura come di solito faceva Minho con lui.

I fantasmi della guerra vivevano con il moro, in ogni istante, in ogni momento. In quella cicatrice risiedevano tutti i brutti ricordi e tutte le brutte esperienze che aveva vissuto. L'unica cosa che Han poteva farlo era abbracciarlo e curarlo da quelle ferite indelebili dell'anima, che bruciavano più della cicatrice stessa.

"Non andartene ti prego." aveva detto poi il moro, alzando lo sguardo e incastrando i suoi occhi pieni di lacrime in quelli di Han, che erano diventati un mare in tempesta. Il pianista scosse la testa, devastato da quel volto addolorato. "Volevo andarmene perché non faccio altro che farti del male Minho." spiegò Han, non preoccupandosi più delle lacrime che cadevano giù come un fiume in piena, bagnando i suoi vestiti e bagnando la pelle di Minho. "Ogni cosa che dico e che faccio è sbagliata, ti rattrista e ti addolora e non ce la faccio più a ferirti." confessò con la voce rotta dall'emozione. Non riusciva neanche a respirare bene, faceva fatica a tirare fuori le parole da quell'anima e dal cuore troppo addolorati per le lacrime versate dal riccio.

"Siamo due idioti." disse semplicemente Minho, portando le sue dita sulla guancia bagnata di Han, come la prima volta e quella successiva, come sempre.

Han sorrise un po' a quell'affermazione, appoggiando la fronte contro quella di Minho, aggiungendo uno "Scusa", come sempre faceva.

"Han non devi scusarti di niente. Sei la cosa più bella che mi sia mai capitata. Non devi neanche azzardarti a dire che mi fai del male, perché non è vero. Tu sei la mia cura, la mia medicina a queste cicatrici che ho dentro e fuori." disse, ricominciando a piangere, ma questa volta perché troppo emozionato dalle parole d'amore che stava regalando a Han. Quest'ultimo lo strinse a sé, incapace di trovare qualsiasi parola che potesse esprimere quanto ci tenesse a quel ragazzo. Lo fece sdraiare nel letto, togliendogli gli stivali e facendolo infilare sotto le coperte. Restarono così a piangere insieme per molto tempo, Minho a petto nudo e con i pantaloni della divisa e Han con il suo maglione preferito grigio, a riscaldare i cuori e le pelli.

Iniziarono ad amare quel silenzio, perché qualsiasi parola sarebbe stata superflua. Si accontentavano di dolci carezze, di abbracci, di baci sulle guance, sulla fronte, di mani incastrate e gambe incrociate, in un puzzle perfetto.

Han sfiorava il petto di Minho, facendo finta di suonare tasti di pianoforte invisibili, mentre l'altro gli carezzava i capelli beandosi di quel tocco. Ma poi le dita di Han scesero, esitando un po', fino alla cicatrice. "Ti fa male se la tocco?" chiese titubante. Il riccio scosse la testa in segno di diniego. "Non più."

Il pianista toccò quella pelle deturpata, la sfiorò piano per paura di fargli del male. Minho però non lo fermò, così decise di continuare a sfregare i suoi polpastrelli su quella ferita, appoggiando la testa sul petto dell'altro per sentire a che tempo musicale batteva il suo cuore. Poi scese un po' più giù con il capo, sfiorando quella brutta cicatrice con le labbra e poggiandogli un bacio leggero.

I cuori di Han e Minho battevano in 'vivacissimo'.

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