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Febbraio 1917, San Pietroburgo.

"Ti capita a volte di volerti sentire diverso, Han?" aveva chiesto una notte di Febbraio il giovane soldato, stringendo a sé l'altro ragazzo. Erano seduti sul pavimento delle cucine, appoggiati alla enorme credenza che conteneva più cibo di quanto ne avesse il popolo stesso russo.

Abbracciati l'uno a l'altro, si nascondevano come ladri. Minho rinunciava persino alle poche ore che aveva per riposarsi pur di stare con Han e per ciò il pianista non poteva fare a meno di sentirsi in colpa, anche se fra le sue braccia, il peso nel cuore si alleggeriva un bel po'.

"Sempre." sussurrò in risposta, accoccolandosi sul petto del riccio. Gli abbracci erano l'unica cosa che era rimasta loro. Il Palazzo d'Inverno, da quando lo zar aveva abdicato, era caduto nella più totale depressione. Tutti erano consapevoli che la fine dell'impero zarista era vicina e che Lenin non appena fosse tornato in Russia, avrebbe preso tutto il potere. Lo sapeva Nikolaij che usciva pochissimo dalla sua stanza, lo sapeva la zarina i cui occhi erano diventati ancora più gelidi.

Lo sapevano tutte le granduchesse, che avevano anche creato un piccolo ospedale all'interno del Palazzo per curare le vittime di guerra, o almeno il più possibile.

E lo sapevano anche Han e Minho che sognavano luoghi lontani e al sole, mano nella mano, lontani da qualsiasi responsabilità. Ma uscire dal Palazzo era troppo pericoloso per sognare qualsiasi tipo di fuga romantica.

"Come vorresti essere?" chiese ancora Minho, carezzandogli i capelli e stringendo con la mano con quella libera.

"Con meno ghiacciai dentro." fu la risposta pronta di Han, che ricevette un breve bacio sulla fronte. "E tu?" aveva chiesto poi, curioso di sapere la sua risposta. Ma Minho non rispose affatto. Restò in silenzio, per minuti interi che a Han parvero anni. "Non mi parli mai di ciò che provi tu." aveva aggiunto ancora, in una mezza e celata accusa.

Minho si stacco un po' dall'altro, lanciandogli un'occhiata interrogativa. "In che senso?" aveva chiesto.

Han si era allontanato, sciogliendo le loro dita intrecciate e rispondendo alla domanda del soldato. "Minho io mi sto aprendo piano piano con te, ma tu non stai facendo lo stesso con me." aveva detto, con la voce leggermente tremante. "Sei sempre col sorriso sulle labbra, ma io lo so che c'è qualcosa che ti turba, perché non me ne vuoi parlare?".

La sua mano si avvicinò nuovamente al moro, cercando quella guancia con la fossetta che ormai era diventata la sua casa, ma Minho fu più veloce e si scostò, alzandosi in piedi. "No, non ne voglio parlare." aveva risposto rude, causando una stretta al cuore al povero pianista, che col respiro mozzato aveva chiesto il perché.

"Perché tu non lo sai quello che ho vissuto io! Tu non sai niente del mio passato quindi non puoi pretendere che io te lo racconti come se niente fosse."

Per la prima volta Han sentì la voce di Minho tremare, come se volesse piangere. Si sentì terribilmente in colpa per ciò che aveva detto e avrebbe voluto tornare tra le sue braccia per consolarlo, per dirgli che andava tutto bene.

"Io non voglio obbligarti a dire niente, Minho!" urlò il ragazzo esasperato, non curandosi di essere scoperti. "Però se davvero ci tieni a me, ti fideresti anche." continuò, concentrando lo sguardo a terra per non fare vedere al soldato che stava già piangendo.

"Non capisci niente, Han." affermò in fine il riccio, così piano che più che le parole a Han arrivò il tono d'odio con cui erano state dette. Lo lasciò lì solo con quelle parole, mentre Han si accasciava a terra in quel pavimento freddo come la sua anima, di nuovo. Accovacciato e terribilmente infreddolito, pianse tutto ciò che aveva in corpo.

Il cuore di Han non batteva più.

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