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Una notte a metà Dicembre, Han si era appena svegliato dopo un orribile incubo. Le immagini che aveva visto passare davanti mentre dormiva erano ancora fresche e vivide nella sua mente, mentre il respiro cercava di regolarizzarsi.

Aveva sognato le sue sorelle e sua madre nella sua vecchia casa a Mosca. Era piccolina ma accogliente, e tutte e cinque le donne della sua vita erano sedute in salotto. Poi un boato che Han poteva ancora benissimo sentire risuonare nelle sue orecchie. Finestre che si rompono, la stanza si riempie di rosso.

Poi il nulla, poi il risveglio.

Il giovane madido di sudore si mise a sedere, facendo leva sulle mani ancora leggermente tremanti. Strinse fra le dita le lenzuola bianche, provando in tutti i modi a calmarsi. La gola era secca e gli bruciava, gli occhi pieni di lacrime: aveva bisogno di una boccata d'aria fresca e di un bicchiere d'acqua.

Si alzò dal letto con fatica, poiché le gambe sembravano esser appena schiacciate da un tir. Indossò una vestaglia qualunque sopra il pigiama e infilò i piedi freddi dentro le ciabatte, prima di uscire dalla sua camera. A quell'ora il palazzo era quasi deserto. Vi era qualche servo sveglio per eventuali richiami da parte della famiglia imperiale, qualche guardia in giro e nessun altro. Han puntava di andare dritto in cucina, a recuperare una qualsiasi bevanda idratante, ma a circa metà tragitto si sentì chiamare.

"Han!" ripeté ancora la voce che costrinse il pianista a voltarsi. In fondo al corridoio, poco prima delle scale si situava la stanza di Anastasija e Marija. Quella notte, Minho era di guardia.

"Che ci fai sveglio?" chiese, abbassando questa volta la voce poiché tutto il Palazzo dormiva. Han si avvicinò con passi lenti al soldato, facendo scivolare sul pavimento le ciabatte per non fare rumore.

"Brutta nottata." disse solamente, passandosi una mano tra i capelli e sospirando pesantemente.

"Di nuovo una notte insonne e tormentosa : io provo questo sentimento -" cominciò Minho a citare, prima di essere interrotto da Han e dalla sua voce bassa , che soffiava in un sussurro effimero."-io, che ridevo delle sofferenze degl'innamorati. Quello di cui ti ridi è poi quello che servi." concluse il pianista.

"Mi piace quando cogli le citazioni di Tolstoj." mormorò Minho, guardando la finestra del corridoio davanti a sé. La divisa stretta ai fianchi e i soliti stivaletti neri lo rendevano ancora più bello, pensò Han che di conseguenza arrossì.

O probabilmente era già arrossito per quella frase sugli innamorati, sulle notti insonni e tormentata dalla figura di chi si ama e che popola la mente e i sogni.

Han non aveva mai conosciuto l'amore.

L'aveva sempre osservato dall'esterno, stando molto attento a non avvicinarsi troppo per non scottarsi. Ne aveva visti così tanti di innamorati che ormai quasi non gli facevano più effetto. Erano ovunque, ballavano sulla sua musica, si baciavano di nascosto alle feste da ballo in cui suonava, si abbracciavano ai suoi concerti.

Ma dentro di sé lo sentiva che qualcosa stava cambiando. Anche perché altrimenti una semplice frase di Tolstoj sull'amore non gli avrebbe fatto un certo effetto.

O era forse la voce di Minho?

"La tua notte insonne e tormentosa è causa di una sofferenza da innamorato?" chiese Minho dopo qualche istante di silenzio. Si sedette per terra, appoggiato allo stipite della porta della stanza delle granduchesse, con lo sguardo più scuro del solito, nonostante la luce della luna che filtrava dalla finestra.

Han arrossì leggermente, ma per fortuna la semi oscurità gli permetteva di celare il suo imbarazzo. "Hai qualcuno Han? Qualcuno che ti ami intendo, qualcuno che aspetta il tuo ritorno a casa." continuò il moro, senza neanche guardarlo negli occhi, trovando più interessante osservare le sue mani bianchissime.

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