Verità.

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I giorni passarono e sulle mie labbra avevo ancora impresso il ricordo delle sue, ogni tanto mi sembrava di chiudere gli occhi e di risentire quel dolce momento in cui me ne fregai di tutto e tutti, presi il suo viso e lo baciai.
Ci ripensavo quella sera calda di settembre distesa sul mio letto, avevo concluso un po' di fisioterapia per riprendermi da quel corpo atrofizzato.

Andavo avanti con i giorni e man mano miglioravo, mi riprendevo, il mio corpo sembrava esser nuovo e con esso anche le mie idee, la mia mente.
Adesso ero più decisa, ero più sicura e motivata a vivere. Un coma non è per nulla una bella cosa, ma ho avuto del tempo da sola con me stessa e spesso, questo, è tutto ciò che serve.

Quel che mi serviva era riprendere quel discorso che Niccolò stava introducendo all'ospedale, per quanto mi misi in testa di fregarmene degli altri la curiosità di capire cosa fosse successo ed a cosa dovessi essere attenta c'era sempre.

[Giusy]
Peter?
[11:01pm]

[Niccolò]
Peter padella a rapporto, credevo dormissi
[11:05pm]

[Giusy]
no.. pensavo. puoi venire da me?
[11:06pm]

[Niccolò]
solo se mi offri qualche schifezza
[11:06pm]

[Giusy]
il solito, muoviti
[11:07pm]

[Niccolò]
mica prendo ordini, allora non vengo
[11:07pm]

[Giusy]
allora ti ordino di non venire e di non rompermi le scatole
[11:08pm]

[Niccolò]
corro, scema
[11:08pm]

A quel punto non mi rimase che aspettare e sorridere come una scema mentre osservavo i vecchi messaggi, inclusi i primi che ci mandammo. Amo i ricordi, ricapultarmi in essi e ri-immaginare le emozioni di quella sera.
Mentre ero coinvolta tra i vari messaggi ed i nostri selfie sentii bussare alla finestra, con un riflesso sobbalzai e presi immediatamente la lampada dalla scrivania.
Non capivo chi potesse essere, poi la finestra si aprì e sì, era quel cretino di Niccolò.

"Peter padella mica bussava alla porta"
"Ma sei matto, stavo per mandarti io in ospedale" e posai la lampada dov'era prima
"Come mai volevi venissi qui?"
"Avevo bisogno di parlarti" mi avvicinai al letto, mi sedetti e feci segno a Niccolò di fare lo stesso battendo la mano sul materasso.
"Dimmi, sono tutt'orecchi"
"Ricordi il discorso che mi stavi facendo all'ospedale?"
"Beh.. sì.."
"Ecco.. perché piangevi?"

Cadde il silenzio. Lui sembrava esser andato in trance ed io cercavo dai suoi piccoli movimenti qualche risposta. Dopo un po', lo ripresi.
"Niccolò, allora?"
"Non sono parole che mi va di dirti.."
"Ti sto chiedendo di dirmele, sei pregato di esser sincero."
"Non voglio ferirti.."
"Dimmi la cazzo di verità, Niccolò."
"Tuo padre"

Colpita, affondata.
Rimasi con lo sguardo fisso nel vuoto, non riuscivo a muovere nessuna parte del mio corpo.
La mia voce si racchiuse in un groppo in gola, i miei gesti in una specie di paralisi da cui non riuscivo a liberarmi.
Allora è così che ci si sente quando il mondo ti cade addosso.
Ma.. cosa voleva dire?

Giusy. // UltimoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora