2❁ 𝐽𝑖ℎ𝑦𝑢𝑛.

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Yoongi pov

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Yoongi pov

Le ore scolastiche, essendo la prima giornata a scuola, terminarono pressoché presto e, in seguito ad aver salutato quel piccolo ragazzino che brontolava, andai diretto verso l'ospedale. Certo, anche io avrei preferito passare ogni mio minuto di quel pomeriggio con Jimin, da qualche parte per la città, a mangiare un gelato o semplicemente camminare un po', ma non mi era stato possibile: a mio padre non si disobbedisce mai.

Raccolsi allora la poca voglia di vivere che mi era rimasta in corpo e, con lo zaino nero sulla spalla destra e le mani in tasca, arrivai all'ospedale. Mio padre, il dottor Min, era uno dei più prestigiosi medici di quell'intera struttura e tutti lo veneravano. Tutti tranne me, ovviamente.

Ero obbligato a trascorrere i pomeriggi là, a seguirlo e "imparare" il mestiere, come se guardare un medico fare una normalissima visita potesse aiutarmi ad acquisire il lavoro. Inoltre, non avevo mai covato la passione per quella disciplina, ma mio padre non aveva mai sentito ragioni e mi obbligava, dovevo fare come lui diceva se volevo tenere un tetto sulla testa ed avere da mangiare qualcosa di caldo.

Per non parlare poi della mia natura bisessuale, lui non ne era a conoscenza, tremendamente contrario ad ogni amore che non fosse quello "normale". Chiamava "malati, pazzi" le persone omosessuali e sinceramente, non lo tenevo nascosto tanto per lui, ma più per mia madre, una donna classica, dalla mentalità limitata che mi aveva sempre protetto qualsiasi disastro avessi mai combinato.

Che poi...che razza di medico è uno che ritiene pazzo una persona che ama qualcuno dello stesso sesso?

Sospirai infastidito appena giunsi al suo ufficio, restai sulla porta controllando all'interno discretamente e non lo trovai come al solito dietro la scrivania.

«Cerchi tuo padre, Yoongi?» domandò, notandomi pietrificato sulla soglia della stanzetta, un'infermiera. La riconobbi e le rivolsi un leggero sorriso per poi annuire. Lei ricambiò il sorriso, continuando poi a parlare: «Oggi è impegnato in un caso impegnativo...Non potrà portarti con sé, quindi mi ha riferito di portarti con me.»

«Ma lei...Mina, non segue dei casi completamente diversi da quelli di mio padre?» domandai, avvicinandomi ancora con le mani in tasca e nuovamente quella mia espressione impassibile in viso.

«Oh beh...» si fermò un secondo alla mia osservazione. «Sì, ma più ambiti proverai a conoscere, più probabilità hai di trovare qualcosa che realmente ti appassioni in questa struttura... E sai, c'è un piccolo mondo che nessuno ha la voglia o il tempo di conoscere.»

«Ovvero?» la incitai a continuare, leggermente incuriosito delle sue parole, nel profondo del cuore.

«Io...do una piccola speranza alle persone dimenticate qua dentro...» specificò e una risata mi venne naturale, che sembrò rabbuiare il viso della donna.

«Dei vecchi quindi?» risi, portando una mano alle labbra, cercando di non essere troppo cattivo, anche se quelle parole e pensieri mi erano venuti naturali. Non erano le persone più anziane quelle dimenticate persino da Dio?

«Oh...anche, ma non tutti sono oltre la soglia dei sesantacinque anni» rispose Mina, accennando a sua volta ad una leggera risata, che spense però la mia. "Non tutti...?" pensai, confuso. Mina stava lentamente distruggendo il mondo che conoscevo, ogni volta che parlavamo, imparavo qualcosa più da lei che dall'uomo schietto che era mio padre. "Quindi ci sono anche giovani dimenticate dalla famiglia qua...?"

Era triste pensarci, perché io avevo ogni cosa e non avevo nemmeno un giorno creduto che esistesse qualcuno che invece fosse stato portato lì e abbandonato. Esisteva davvero qualcuno da buttare via così la vita di un famigliare che non aveva fatto nulla, se non essere forse malato.

Mina, vedendomi assorto nei miei pensieri, mi prese per il braccio e mi portò verso il suo settore, con un sorriso. Iniziai poi ad aiutarla, assistendo diversi signori e signore, dando loro quello di cui avevano bisogno, ma ancora nessuna persona più giovane dei quarant'anni. Inizia allora a dubitare delle parole di Mina, forse aveva solo tentato di convincermi a seguirla.

Bussai all'ultima porta, di quella giornata, ma nessuno rispose e, sbuffando, entrai comunque, dicendo la solita frase che avevo ripetuto le ultime due ore.
«Scusi il disturbo, le ho portato le sue medicine e qualcosa da mang-» parlai, fermandomi appena notai la piccola figura seduta sul letto, con gli occhi fissi nei miei e le gambe incrociate sul letto, coperte dal sottile lenzuolo ospedaliero.

«Ecco...dicevo- Ho portato qualcosa da mangiare... Ti vanno bene una mela e dei cracker?» chiesi, avvicinandomi e quei due occhi chiari mi seguirono nei miei movimenti. Era strano. Quel viso mi era così tanto familiare quanto sconosciuto. "Wow..." pensai, una volta di fronte a lui.

«Sei un nuovo infermiere...? Dov'è Mina noona?» domandò con un fil di voce quel ragazzo e mi vennero i brividi da quanto quella voce sembrava immacolata e soave. I suoi occhi si posarono sulla mela e i cracker e tese allora le piccole mani verso di me, con un sorriso gentile.

«Sto aiutando Mina, sono il figlio del dottor Min... Piacere, Yoongi...» mi presentai e lui fece un piccolo movimento col capo per salutarmi e ringraziarmi. Prese i cracker e con cura li aprì, portandone un piccolo primo pezzetto alle labbra rosee e carnose. Erano anche quelle familiari.

"Perché mi ricordano...Jimin?" pensai curioso, indicando poi il suo letto.

«Ti do una mano a rifarlo...?» domandai cordiale, ma il ragazzo scosse la testa. Ci avrebbe pensato lui a rifarlo, anche se mancava poco all'ora di cena. «Mi spiace averti portato da mangiare solo ora...poco prima di cena» mi scusai e lui accennò a una risata, lieve e trasparente.

«E' okay! Essendo nell'ultima stanza in fondo...sono sempre l'ultimo a cui portano la cena!» mi disse, con un tono apparentemente entusiasta, quando sentivo perfettamente quanto quella situazione lo rattristasse.

«Beh...come ti chiami...?» domandai curioso, sporgendomi appena per guardare il suo viso, leggermente nascosto dal cappuccio verde scuro della pesante felpa che indossava. Si fermò un attimo. Non sapeva cosa rispondere per caso?

«Ecco... mi chiamo Jihyun...» rispose mordendosi il labbro e dandomi un'occhiata, ma non sembrava molto convinto della sua risposta. Ma decisi di non infierire e obbligarlo a rivelarmi il suo vero nome, poiché tuttavia restavo solamente uno sconosciuto.

«Sai Jihyun...assomigli molto al mio ragazzo... Si chiama Jimin» gli rivelai i miei pensieri.

Le sue mani si bloccarono e girò il viso, impedendomi così di guardare il suo.

"Ho detto qualcosa di sbagliato?" pensai dispiaciuto, forse dal fatto che lui non accettasse le persone come me. Ma prima che potessi domandare cosa non andasse, Mina entrò nella stanzetta con quel solo letto e mi richiamò.

"Perché...sembra che non sarei mai dovuto entrare qua...?" pensai, mentre lasciavo quella stanza e dei piccoli singhiozzi la riempivano, trattenuti dal tentativo del ragazzino di coprirli con la mano sulle labbra. "Aish-" 

 "Aish-" 

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Lux

𝑮𝑬𝑴𝑬𝑳𝑳𝑰: 𝑠𝑎𝑛𝑔𝑢𝑒 𝑝𝑒𝑟 𝑠𝑎𝑛𝑔𝑢𝑒〈 𝐈 〉Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora