<2: Incontro.>

39 2 0
                                    

[Nota Autrice: Irene sarà vista come narratrice onnisciente tramite i racconti della sorella e altre fonti.]
...TRE MESI PRIMA...
IRENE
La rivoluzione di mia sorella non è avvenuta molto tempo fa. Sono passati tre mesi da allora, ma io credo sia giusto renderle giustizia. Fin dal principio della scuola c'erano stati degli intoppi, ai quali, però, mia sorella non aveva fatto troppo caso. Un'insegnante le aveva proposto un programma speciale, con il quale, se le fosse andata proprio di lusso, sarebbe finita a lavorare dietro una scrivania, con un telefono.
Però la scuola una cosa buona per mia sorella la fece: le permise d'incontrare una ragazza meravigliosa nella sua classe e un amico con il quale, dopo la scuola, ha studiato anche altre cose. Lei era al primo anno, mentre lui era al quinto. S'incontrarono in corridoio. C'era tantissima gente e lei si sentiva piuttosto disorientata, ma non volle chiedere aiuto a nessuno, nemmeno agli insegnanti che erano con lei. Non le piaceva.
I ragazzi che uscivano di corsa spingevano e scalpitavano, sbattendola da una parte all'altra come un sonaglio, senza rendersene conto. Questo la fece finire addosso ad un ragazzo. Lei cercò di tirarsi indietro poiché non voleva fargli male, ma lui la trattenne per sostenerla.
"Tutto bene?" le chiese tranquillamente.
Lei è molto timida per natura. Abbassò drasticamente il viso, che doveva essere tutto rosso.
"Sì... no... il fatto è che..."
"Hai perso alcune parole per strada... insieme a questo" le disse lui, scherzando, per poi rimetterle tra le mani il bastone, che era caduto a terra.
"Grazie." disse mia sorella. "Scusa, non volevo caderti addosso come..."
"Come una che viene sbattuta da una parte all'altra come se niente fosse." rispose lui. "Ma dimmi una cosa: sei da sola?"
"Certo. Gli unici che mi accompagnano sono gli insegnanti e io... sai... io non... non mi sento a mio agio se... va beh... comunque le poche amiche che ho non ci sono, e per gli altri a quanto pare è troppo difficile condurre... una come me." spiegò lei amaramente.
"Vediamo." le disse lui, di punto in bianco.
"Come, scusa?" chiese lei, che, giustamente, era già molto in imbarazzo per conto suo per capire una parola che sembrava messa a caso, ma che poi tanto casuale non era.
"Voglio vedere quanto può essere difficile guidare... una come te" rispose lui, che sembrava non approvare il fatto che lei fosse vista come una creatura di una razza a parte. "Non vedo antenne né microchip sul tuo corpo. Dovresti essere umana anche tu, no?" Lei capì che lui stava scherzando... forse aveva capito che era il modo migliore per metterla a suo agio.
"Aspetta. Questo te lo tengo io. Qui è un po' pericoloso." le disse gentilmente. E poi, da quello che mi raccontò, perché lei si fida di me e per questo motivo mi dice tutto, fu tutto naturale. Era come se quel ragazzo sapesse bene come muoversi, parlare, far capire a lei come spostarsi e dove spostarsi.
Una volta arrivati in cortile, lei si fermò di colpo e chiese: "Non è mai capitato che qualcuno, al primo incontro, fosse tanto sciolto con me."
"Perché? In fondo basta capire dove mettere le mani e dove farle mettere a te. Non è... difficile. Anzi: è stato divertente urlare: "Permesso? Permesso?", a quella folla di scalmanati!" le disse lui, marcando molto su un accento da aristocratico, come lo aveva definito mia sorella. "Ma... prima che me ne dimentichi... come ti chiami?"
"Emma." rispose lei. "E tu?"
"Io sono Gabriele. Senti... visto che mi sembra che la scuola ti stia un pochino stretta... vorrei darti un soprannome."
"Beh, se lo userai soltanto tu... ci sto!" gli rispose lei.
Lui rimase per qualche attimo fermo a pensare.
"Aspetta... ecco! Trovato!"
Lei scoppiò a ridere. Le piaceva l'entusiasmo di quel ragazzo e conoscendolo sono stata completamente d'accordo.
"Emma Spirito Libero! Ti piace?" chiese.
"Eccome! Sembra il nome di una donna indiana, di quelle dei film! Ora posso darlo io a te un soprannome?"
"Certo, dai! Sono pronto!"
Lei non dovette neanche riflettere tanto prima di rispondergli: "Gabriele Cuore D'Oro!"
"Cosa? Perché?"
"Non lo immagini?" gli chiese lei, semplicemente.
Lui le sorrise.
Quando una nostra amica venne a prendere mia sorella e la vide con lui, ne fu contenta.
Si presentarono velocemente e lei gli chiese: "Hai bisogno di uno strappo, Gabriele?"
"Io veramente vado dalla parte opposta... devo arrivare alla stazione."
"Dai, per oggi fa lo stesso. Sei stato gentile, sarebbe il minimo."
E percorsero un altro tratto insieme. Da quella volta lui andò sempre a prendere mia sorella finché ebbe scuola, e divenne letteralmente uno di famiglia.
A distanza di quattro anni, poiché Gabriele aveva trovato un lavoro, poteva andare a prendere mia sorella soltanto il sabato ed era uno dei pochi giorni in cui lei era contenta di andare a scuola.

La rivoluzione di mia sorellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora