<4: Ce la farò>

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IRENE
Mia sorella ricevette una sola risposta a quel post... era una risposta negativa. Diceva: "Non è questo... ma tu capisci che rischieresti di farti molto male, vero?" E questo le fece comprendere che avrebbero usato anche metodi che lei, nonostante tutto quello che le avevano fatto, non avrebbe approvato, per nessuna ragione.
Gabriele, che era ancora nel gruppo della scuola, aveva letto tutto. Non disse nulla a mia sorella. Venne a parlare direttamente con me, ma non tanto per farlo.
Aveva deciso di fare qualcosa per lei e mi chiese consiglio perché sapeva che io conoscevo molto bene mia sorella... tanto che a volte capisco cosa prova verso gli altri prima che lo capisca lei, da quanto mi dice. Mi chiese cosa poteva fare per lei e io pensai che lei sarebbe stata felicissima se lui avesse suonato per lei.
"Facciamo in un altro modo, allora" mi disse dopo che avevamo provato a tenere in considerazione l'ennesimo tentativo di evitare che lei potesse accorgersi di qualcosa. "Andiamo al bar in cui lavoro e voi due vi sedete ad un tavolino. Poi ci penserò io, d'accordo? Le suonerò quel brano che le piace tanto..."
"Ah! Ho capito quale!" gli dissi, al settimo cielo.
"Però... a proposito del bar, ora ci devo tornare. Ho molto lavoro, piccola. Ci vediamo stasera, d'accordo?" mi disse sorridendo come un fratello più grande farebbe con la sorellina minore. Lui è sempre stato questo per noi e mia madre l'ha accolto, proprio come se fosse un terzo figlio.
Quando giunse la sera io chiesi a mia sorella di accompagnarmi. Mi piaceva uscire insieme a lei. Ci divertivamo tanto... e lei mi diceva sempre che per lei io ero una ragazza matura per la mia età. Uscimmo insieme ed io la portai al bar in cui Gabriele lavorava. Ci sedemmo ad un tavolo e una giovane cameriera prese le nostre ordinazioni. Ma io aspettavo un'altra cosa... un'altra persona... un altro momento... quel momento in cui avrei visto mia sorella sorridere come quando era rientrata a casa dopo aver conosciuto Gabriele. Forse... sapeva di aver trovato un amico unico e inimitabile e l'aveva trovato.
Improvvisamente, mentre parlavamo del più e del meno, delle note familiari risuonarono in tutto il bar. La canzone che aveva scelto era: "Vincerò", di Annalisa. Mia sorella amava tantissimo quella canzone.
Gliela sentivo cantare molto spesso e ogni volta che lo faceva sosteneva di sentirsi più forte. Questo mi faceva davvero piacere.
Vidi mia sorella alzarsi.
Si diresse verso Gabriele, si fermò sotto il palco e rimase immobile, in attesa che si fermasse. Sapevo che voleva soltanto ringraziarlo, ma lui aveva un'idea leggermente diversa su che cosa farle fare.
Lasciò andare la chitarra, posandola su di un tavolino, prese le mani di mia sorella e l'aiutò a salire. Lei era piuttosto stordita da quell'iniziativa, ma lo lasciò fare. Anch'io mi avvicinai al palco e appoggiai le mani sulle sue spalle, per tranquillizzarla. Sapevo cosa voleva fare. O meglio: lo immaginavo. Voleva che lei lo accompagnasse in quell'esibizione poiché conosceva molto bene quel brano.
Lei tremava mentre lui le prendeva le mani, ma vidi anche un sorriso enorme spuntare sul suo volto e ne fui felice. I due iniziarono a cantare insieme: erano veramente una bella coppia. Certo, sono amici, niente di più e niente di meno, se non fratelli, ma per me fa lo stesso. Li ascoltavo, li guardavo, ed ero completamente incantata. Non chiedevo altro che veder sorridere mia sorella, e Gabriele, anche stavolta, era riuscito a renderla felice.
Una volta finito, Gabriele la fece scendere e la riportò verso di me. Lei era un fascio di nervi e brividi.
Si avvicinò a lui e gli disse: "Grazie mille, Gabriele! Grazie di tutto, davvero!"
"Ma questo non lo devi dire a me, amica mia... questo al massimo puoi dirlo ad Irene. Ha fatto tutto lei" disse lui.
Mi venne quasi da ridere. Gabriele i meriti non se li prendeva spesso e sotto questo aspetto, lui ed Emma si somigliavano incredibilmente.
Tornammo a casa e capii che mia sorella si sentiva meglio, aveva più forza.
Quando tornò a scuola, infatti, nonostante non le avessero permesso di prendere parte al movimento studentesco, decise che ne avrebbe volentieri fatto a meno dato che aveva sempre dovuto fare a meno della maggior parte degli altri studenti. Visto che la nostra amica ci accompagnava a scuola, lei mi disse che aveva intenzione di registrare le lezioni dei professori che tendevano maggiormente a sfruttare troppo il loro potere.
Capii che nessuno l'avrebbe più fermata, e quando ci arrivai io a scuola, le schioccai un bacio sulla guancia, che lei definì un modo per augurarle buona fortuna. Infatti ebbe parecchie cose di cui parlare alla preside... anche se ci fu ben poco da parlare. Di certo lei non era migliore di loro... ma forse di questo mi converrà parlare dopo aver detto quello che ho sentito nelle registrazioni di mia sorella, perché io stessa avevo voluto ascoltarle, per capire il grado di cattiveria, stupidità e mancanza d'attenzione di quei professori.
Lei andò a sedere al solito posto, accanto alla sua migliore amica. Le spiegò tutto e disse che avrebbe approfittato del fatto che doveva "tradurre le spiegazioni di alcuni di loro per poterle capire". Mary, incoraggiante, le fece un sorriso. Lei lo notò, dall'inflessione della sua voce.
O almeno credo che si chiami con questo nome.
In prima ora il suo insegnante era quello di biologia: un uomo che tecnicamente era lucano, anche se l'accento faceva pensare che abitasse da tutt'altra parte ed io, ascoltando le registrazioni di Emma, lo posso confermare. A volte nemmeno lo capivo quando parlava... ma se il problema fosse stato solo quello, sarebbe stato un ottimo insegnante. Era uno di quelli che pensano di aver spiegato tutto a meraviglia, e quando ti chiedono di mettere in atto i loro insegnamenti e tu non sai farlo proprio perché si sono spiegati come libri stracciati, ti sbraitano contro fino a provocarti una rabbia tale che ti verrebbe voglia di lanciare loro qualcosa addosso. Beh... è ovvio che mia sorella si sia sempre contenuta, ma la rabbia la pervase in breve tempo ed era arrivata a corroderla a tal punto da portarla ad avere il secondo scatto di nervi in tre giorni. Lei provò a controllarsi, ma senza successo.
Ecco: durante uno di quegli odiosi esercizi, chiamò un'altra ragazza per farle svolgere quell'esercitazione. La ragazza era in crisi, perché ovviamente non ci capiva nulla.
Anche mia sorella, dopo aver scritto una sequenza di numeri e lettere che non capivo, si portò una mano alla testa.
"Non ci capisco niente!" disse, esasperata, a mezza voce. Peccato che quell'uomo ascoltasse attentamente solo quello che gli conveniva, e anche in modo distorto, sfortunatamente.
"Non devi dare suggerimenti alla tua compagna!" disse con astio... e mia sorella ebbe il secondo scatto di nervi.
"Non ho suggerito niente alla mia compagna... professore!" disse, marcando di proposito sull'ultima parola, come per prenderlo in giro. "Non sono tanto idiota da mettermi a suggerire, soprattutto in una materia in cui... niente! E se vuole saperlo...  Ho detto che... che non... non ci capisco niente!"
"Tesoro, stai calma." le disse con dolcezza la professoressa che era con lei.
Mia sorella era sulla soglia delle lacrime.
"Tranquilla" le disse sottovoce la sua amica. "Stai calma..."
"Allora? Hai combinato qualcosa?" le chiese l'insegnante, con un tono da bestia rabbiosa.
"Io... io non capisco! Non... non capisco..."
"Ecco! Perché non presti mai attenzione, stupida ragazzina! Tutti uguali, voi ragazzi! Non avete mai voglia di far niente! Siete sempre i soliti! Ai miei tempi le cose non funzionavano in questo modo! Io stavo ore ed ore sui libri!"
Mia sorella stringeva i pugni sotto il banco talmente forte che la sua amica, nonostante fosse infuriata quanto o forse più di lei, dovette prendere le sue mani e tenerle strette.
Lui continuò a sproloquiare con cantilene come quella e l'ora terminò. Mia sorella attese che uscisse, poi si fece accompagnare in presidenza dalla sua amica visto che conosceva solo l'essenziale di quell'edificio orribile.
Raggiunse la presidenza e la donna seduta dietro la scrivania, volle che Emma entrasse da sola.
"Grazie dell'aiuto, Mary." le disse mia sorella. "Dopo ti farò sapere, d'accordo?"
La ragazza lasciò l'ufficio e la donna le disse: "Cara... ho notato che sei cambiata molto. È successo qualcosa che ti ha portata ad avere dei facili scatti d'ira?"
"Certo che è successo qualcosa!" le rispose mia sorella. "Ecco cos'è successo!"
La donna non si sarebbe mai aspettata una risposta simile.
Dopo aver ascoltato quelle registrazioni, però, il suo atteggiamento diventò odioso. Non verso i professori... verso mia sorella.
"M'informerò sul portale di psicologia della scuola." disse.
"Per cosa? Che vuole fare?"
"Tesoro, tu non stai bene. Dovrai curarti, capisci?"
"Io? Curarmi?"
"Ma certo, mia cara... converrai con me sul fatto che il tuo modo di fare è cambiato, non è normale!"
"Certo... sono io quella strana, l'anomala, l'anormale, l'extraterrestre! Sono io quella che non va! È impossibile che a sbagliare sia un insegnante... loro non sono esseri umani, che possono sbagliare! Loro sono perfetti!"
La rabbia tornò prepotentemente a farsi spazio nel suo corpo e nel suo spirito.
"Non fraintendermi, mia cara. Tu prima non davi certe risposte!"
"Ma ci sarà una ragione per la quale ho iniziato a darle. Certe cose non vengono fuori dal nulla. Io una psicologa che mi ha seguita l'ho già avuta e mi ha insegnato a non soffocare i miei sentimenti... e i miei sentimenti verso queste persone, verso questo posto, quei banchi, quelle sedie fatte di ferro, quella cattedra orribile, spaventosa... è puro disprezzo!"
"Senti: tu sei una ragazzina. Noi siamo più grandi, dobbiamo insegnarti e devi portarci rispetto, hai capito?"
"Rispetto incondizionato."
"Sì."
"Quindi lei mi sta dicendo che dovrei rispettare chi non porta rispetto a me, giusto?"
"Non essere sciocca! I tuoi insegnanti ti portano molto rispetto, piccola ingrata che non sei altro! Tua madre avrebbe dovuto essere più dura con te, sai?"
"Ah, davvero? E pensare che fino a un mese fa non avrebbe detto niente del genere. E comunque: sono poche le persone che qui dentro rispettano me e i miei compagni. È questa la realtà. Una realtà che a lei non piace, ma esiste. E non mi faccia dire per quale motivo non le piace. L'ha detto lei: rispetto incondizionato... quindi se l'insegnante di turno mi urla contro perché ha frainteso una cosa che ho detto, va tutto bene; se perde un'ora ad accusarmi di negligenza invece di provare a spiegare meglio un argomento, va tutto bene; se mi sgrida perché non ha un maledetto sacco da boxe su cui sfogare le sue frustrazioni, va tutto bene. Se m'insulta facendomi sentire inutile, sbagliata o non so cosa, va tutto bene... se un giorno si alzasse con la luna di traverso e mi picchiasse andrebbe bene."
"Tu sei pazza!"
"Sono pazza, non lo nego... ma se lo sono è soltanto perché purtroppo ho avuto la malsana idea di riporre fiducia in lei, nei sâuoi collaboratori di grado inferiore e in quest'istituzione errata che è la scuola... che professa libertà d'opinione, spirito critico, decisione, e poi zittisce chiunque provi a dissentire sulle sue idee sugli studenti!"
"Ne parlerò con i tuoi genitori!"
"No! Ci parlerò io con i miei, e se lei vorrà farlo dovrà parlare davanti a me! Ripeta in mia presenza quello che ha detto! Ripeta esattamente le stesse parole! Ripeta che sono pazza!"
Mia sorella lasciò precipitosamente la stanza dopo quella frase, ma prima di uscire pronunciò un: "Con permesso", che più che una forma di cortesia indicava rabbia.
Una volta fuori dalla presidenza, interruppe l'ennesima registrazione. Infilò il cellulare nel fidato bauletto che portava sempre appeso al braccio. Un'idea mia , diGabriele e di altri compagni di un corso esterno alla scuola. Si lasciò scivolare con le spalle contro il muro, all'angolo, e si coprì la faccia con entrambe le mani. Dopo un po' fu costretta a tirar fuori un fazzoletto.
Un ragazzo si diresse verso di lei a grandi falcate e si chinò su di lei.
"Su, bambina... alzati dal pavimento." le disse afferrando le sue mani. "Le rivoluzioni fanno piangere tutti, i rivoltosi e quelli contro i quali avviene la ribellione."
"Chi sei?" chiese Emma.
"Quello che ha risposto al post su Facebook, bimba."
"Non chiamarmi bimba! Non ti conosco, e poi solo adesso ti ricordi di venire a parlare con me? Non sono più... quella strana?" chiese lei. Il suo tono era adirato. Nessuno si era mai preoccupato di conoscerla davvero. Nessuno... tranne Mary, Denise, (un'altra compagna di classe), delle ragazze che abbiamo conosciuto tramite le nostre attività, e naturalmente Gabriele.. Esattamente quattro persone.
"Vedo che hai un bel caratterino, eh? Forse mi sbagliavo nel giudicarti in quella maniera."
"Che vuoi dire, estraneo?"
Il ragazzo non si offese, anzi: scoppiò in una risata.
"Credevo tu fossi... un fiore fin troppo delicato per questo genere di cose. Per questo non volevo coinvolgerti, ma sembra che anche la tua classe sia in fermento. Cominceremo domani stesso a farci sentire, se sei ancora disposta a partecipare... e ho chiamato anche un ragazzo esterno, in modo che tu sia più tranquilla."
"Senti, se non l'avessi capito, io non sono né un fiorellino delicato, come dici tu, né una squallida bulletta di quartiere!" gli disse lei, con rabbia. "Comunque loro non devono più occupare quei posti! Chissà quanti poveri ragazzi faranno soffrire con le loro idee di superiorità, tra l'altro assurde ed incoerenti!"
"Molto bene. Oggi ti farò conoscere l'esterno... e per domani, bellezza, ti converrà portare coperte, abiti e set da bagno."
Lei non disse niente.
"Va bene. So che attualmente non riuscirai a fidarti di me... è meglio che io chiami il ragazzo. Dirò che non stai bene, cosa che, con questo faccino pallido, non sembrerà affatto assurda. Il ragazzo verrà a prenderti e ti porterà a casa."
Lei continuò a stare in silenzio. Dopo un po' arrivò anche uno dei pochi insegnanti di cui mia sorella si fidava.
"Che ci fai là, tesoro?" chiese gentilmente, aiutandola ad alzarsi.
"Io... io..." balbettò lei.
Lui sembrò capire.
"Ho parlato con i tuoi compagni e con la preside. Tu hai provato a farti sentire, ma non ha funzionato."
Lei annuì soltanto.
"Mi perdoni. Io non mi riferivo a lei."
"Questo me l'ha fatto capire il modo in cui mi stai parlando, non ti devi preoccupare. L'unica cosa che ti chiedo è di non farti prendere troppo da questa..." E a quel punto il professore le si avvicinò e le parlò sottovoce, all'orecchio: "Rivoluzione. Finché richiedi giustizia va bene, ma non farti coinvolgere. I tuoi compagni potrebbero ricorrere a cose che sono più grandi di loro."
"Lo farò" disse lei. "Quello che intende lei non è proprio nei miei standard."
"Ah... ecco! È arrivato il tuo amico, tesoro!"
Lei fece qualche passo incerto. Gabriele la raggiunse e lei, sicura che lui avesse portato la sua cartella, allungò la mano destra per sfilargliela, ma lui, capendola, le fermò delicatamente il braccio. Non le avrebbe certo permesso di portarla viste le condizioni in cui era, per la seconda volta in pochi giorni.
Gabriele aveva la patente e mia madre gli aveva prestato l'auto perché era certa che con lui si sarebbe confidata.
"Non riesco più a contenermi... ogni cosa mi porta a scattare dalla rabbia... io... io non... non ne posso più... di loro."
"Lo so. Lo so, Emma. Non c'è bisogno che mi spieghi niente!"
Lui l'abbracciò stretta, coccolandole la testa con una mano, e sorrise.
"Se sali in auto ti darò una notizia che spero possa renderti felice" le disse, avvicinandola all'auto, con delicatezza. Lei non perse tempo, si posizionò sul sedile del passeggero e chiuse la portiera. Gabriele fece il giro dell'auto e si mise a sedere vicino a lei per poi allacciare la cintura, Lo stesso fece lei.
"Non so se hai parlato con un ragazzo... un po' duro, diciamo." mi disse. "Si chiama Alessandro, ma tutti lo chiamano Alex."
"Ho parlato con un tizio che sembrava il classico bellimbusto." gli rispose lei.
"È proprio lui, allora. Non era convinto di prenderti, ma poco fa, quando mi ha detto di venire a prenderti, mi ha anche spiegato che ti ha sentita parlare con la preside."
"Quindi... se ho capito quello che intendi, tu sei l'esterno."
"Precisamente."
Lei fu contenta di quella notizia. Insomma: era ora che avesse una buona notizia!
Quando tornò a casa mia madre si diresse subito verso di lei. Non era arrabbiata, sapeva che c'era qualcosa che non andava per il verso giusto.
Quella donna l'aveva chiamata davvero. Io ero vicino a lei e avevo sentito che diceva che mia sorella si era rivolta a lei in modo inappropriato. Avevo paura che mia madre, dopo quella chiamata, facesse la faccia scura, ma al contrario la vidi rattristarsi.
"Gabriele, grazie di tutto" disse con gentilezza. "Se devi andare, puoi farlo, non ti preoccupare."
"No, non ti preoccupare. Mi fa sempre piacere stare con le mie due amiche e la più grandicella è triste. Io in queste condizioni non la lascio" disse in tono scherzoso, ma sapevo che era sincero.
"Emma! Tesoro, dimmi cos'è successo! Perché la preside mi ha detto che... che... che avete avuto una conversazione... un po' forte?"
"Perché sono pazza, mamma! Ecco perché! Io sono la tessera del gioco ad incastro che è stata messa nel posto sbagliato! Io sono il colore non abbinato di un abbigliamento perfetto, la nota stonata del coro, il segno rosso su una stupida verifica di biologia!" disse lei. Lasciò il cellulare a mia madre, che ascoltò tutte le registrazioni Audio.
"Piccola, posso passare queste cose su un dischetto e... e consegnarle a chi di dovere... va bene?"
"Non serve! Non mi daranno mai retta, mai!"
"Che cosa vuoi fare?"
"Voglio impedir loro di lavorare, come loro mi hanno sempre impedito di esprimermi... Mamma, ci sarà un'occupazione ed io ci andrò."

La rivoluzione di mia sorellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora