<3: Il tempo di reagire>

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IRENE
Era un sabato all'inizio di marzo quando Gabriele notò che mia sorella aveva qualcosa che non andava, che c'era qualcosa che la rendeva nervosa.
"Avanti, spara! Che succede?" le chiese, mentre camminavano a braccetto.
"La verità è che sono arrivata ad un punto in cui detesto questo posto! Detesto l'ipocrisia di alcuni professori, che chiedono rispetto, ma non ne danno. Detesto il fatto che si ricordino che non posso vedere solo quando a loro fa comodo!"
"Dimmi: che ti hanno fatto stavolta?" chiese lui.
"Direttamente a me nulla, ma... ma hanno detto cose molto spiacevoli ad una mia compagna. C'era un esercizio di biologia che non sapeva fare, e quell'idiota dell'insegnante, invece di spiegarglielo, ha perso un'ora a darle della stupida e dell'incapace... mai come oggi avrei tanto voluto saltargli addosso e..."
"Eh, che esagerata! Ti sei svegliata con i guantoni e un sacco da boxe alla mano?"
"La verità... è che a volte vorrei far scoppiare una rivoluzione... tipo... tipo quella di Masaniello, ecco!"
"E perché non lo fai?"
Gabriele stavolta non scherzava. Sapeva fin troppo bene quanto quella scuola sottovalutasse l'importanza delle pressioni psicologiche... anzi: sapeva quanto alcuni insegnanti provassero gusto nel farle, nel ridurre i loro allievi a stracci per la polvere. Questo fu il rischio corso da mia sorella, infatti lei, da un po' di tempo, diceva sempre: "Dante vede l'Inferno come un cono rovesciato diviso in nove gironi. Io vedo l'Inferno come un grande edificio fatiscente, con numerose classi e dei Guardiani accomodati dietro dei banchi alti, più comunemente detti cattedre."
"Perché non lo faccio? Perché sono una vigliacca. Non riuscirei a sopportare l'idea di prendere parte ad una rivolta."
Lui non disse nulla, ma io sono certa che sapesse che Emma era arrivata al limite della sua capacità di sopportazione... un limite abbastanza alto, per lei, e chi riusciva a farglielo raggiungere era solo una persona estremamente stupida. Ecco! Chi fa perdere la pazienza a mia sorella è un idiota! Che non si lamenti, poi, se lei, anche se senza parolacce, gli risponde con parole taglienti e gelide, e non lo aiuta se le viene richiesto.
Gabriele l'accompagnò a casa e le disse: "Senti un po', bellezza... stasera, se tu e tua sorella ne avete voglia, andremo a fare un giro. Basta che tu ti tolga questa faccia scura, perché non ti sta per niente bene."
Questo la fece ridere. Gabriele ci sapeva fare alla grande con lei.
Ora credo sia d'obbligo per me descrivere la giornata tipo di mia sorella a scuola... quindi descriverò il giorno in cui mia sorella, arrivata al culmine della sopportazione, perse le staffe.
Accadde il sabato successivo. Per fortuna in prima ora c'era il professore di scrittura creativa: un uomo splendido. Io stessa ho avuto l'opportunità di parlargli. Vuole bene a mia sorella, e non gli è sembrato tanto strano che lei, proprio quel giorno, avesse deciso di prendere parte al movimento studentesco che aveva iniziato a farsi strada nelle menti dei numerosi allievi di quella scuola infernale. E non le fece mai rimproveri. Al contrario: visto che le vie intermedie non portavano a nulla, lui stesso aiutò gli studenti a far sentire ancora più chiaramente la propria voce.
Lui aveva notato che c'era qualcosa che non andava... e quella mattina anch'io l'avevo notato. Tutti ce n'eravamo accorti. Era come se lei sentisse che quel giorno le sarebbe scattato qualcosa dentro che non avrebbe potuto frenare.
"C'è qualcosa che non va, cara?" le chiese il professore, prendendole la mano per darle ad intendere che si stava rivolgendo proprio a lei.
"No, niente." rispose lei. Le dispiaceva dirgli quanto una buona parte dei suoi colleghi fosse mentalmente indietro, incapace di porsi e di fare bene quel mestiere. Le dispiaceva tanto per lui e per pochissimi altri che la facevano sentire... non indispensabile, perché per quello, forse, soltanto Gabriele sarebbe riuscito a far qualcosa, ma almeno utile... capace.
Verso la fine dell'ora, però, prima che lui andasse via, lei gli disse qualcosa che avrebbe fatto porre qualche domanda a chiunque.
"Grazie." disse semplicemente.
"Per cosa, cara?" le chiese lui.
"Perché lei è uno dei pochi che mi fa sentire in grado di fare qualcosa, qui dentro."
"Non dire questo. Chi riesce a darti l'idea di essere brava in qualcosa, sei proprio tu." le disse lui, prima di andare via.
Nell'ora seguente ci sarebbe stata l'insegnante di inglese. Io ho visto anche lei, perché... perché anch'io ho collaborato con mia sorella.
Era una giovane donna siciliana, bionda, con occhi azzurri... come Gabriele, fisicamente. Con la differenza che lui aveva i lineamenti di un angelo, ed era un angelo per davvero... di nome e di fatto.
Quel giorno si praticava la lingua. Mia sorella non era, a detta sua, un asso, ma se la cavava quanto bastava. Una via di mezzo, diciamo... per sua fortuna. Ma una delle sue compagne faceva fatica anche per questo. Le fu fatta una domanda... una domanda alla quale, ovviamente, si dovrebbe riuscire a rispondere in quinta... ma le parole che mi riportò mia sorella in risposta all'errore della ragazza mi sorpresero non poco.
"Sei una testa dura, ragazzina! Perché invece di perdere tempo qui... non ti dai all'ippica?"
Mia sorella mi spiegò tutto e a ripensarci mi sembra quasi di essere là, di poterla vedere. Si gelò sul posto, come se quelle parole taglienti fossero state rivolte direttamente a lei. Portò una mano al cuore, che probabilmente le batteva talmente forte da provocarle dolore. Prese respiri profondi e provò a dire, timidamente: "Ma... non sarà un po' troppo?"
"Non devi intrometterti." le rispose la donna, con fare che sarebbe da definirsi teatrale, ma dato che io su questo campo sono informata, visto che studio con mia sorella e con Gabriele, attualmente lo definisco finto.
Poi disse una cosa per la quale non so come mia sorella sia riuscita a risponderle solo a parole, e neanche volgari.
"Tu vuoi diventare un'artista? Scrivere libri, stare su un palco... ma non puoi far niente, perché sei cieca!"
A quel punto mia sorella scattò in piedi come una furia, estrasse il bastone bianco da una borsa e lo sciolse dal laccio che doveva tenerlo chiuso. L'oggetto si allungò automaticamente, lei posò la rotella a terra e, stringendo il manico talmente forte da far scrocchiare le ossa delle dita, disse: "Beh, se la mette in questo modo, io mi chiedo come mai lei ed altri siate qui ad insegnare, visto che non ricordate affatto com'è trovarsi dall'altra parte dell'aula... QUESTA parte!"
Toccò il banco con un dito. La sua migliore amica scattò in piedi a sua volta, raccolse le loro cose e le corse dietro.
"Ehi! Ehi, tesoro, calmati" le disse quando vide delle lacrime scenderle lungo le guance.
"Per favore, Mary... chiama Gabriele! Ti prego!" le disse mia sorella, tra i singhiozzi.
"Certo, ma stai tranquilla! Gabriele arriverà subito, ne sono certa!"
E infatti, dopo la telefonata allarmante della migliore amica di mia sorella, che stava cercando di tranquillizzarla, Gabriele si precipitò a scuola. La vide in lacrime e comprese che era giunto il momento fatidico.
"Portala via, Gabriele! E se scrivono qualcosa su quel maledetto registro, di' ai suoi cosa le hanno combinato questi idioti!" disse Mary, alzando di proposito la voce, in modo che le persone che meritavano quell'aggettivo, potessero udire chiaramente.
"Io me la porto via, ma tu devi calmarti. Ci manca solo la seconda vittima. Va' dentro e fammi sapere se è stato scritto qualcosa." Poi si rivolse a mia sorella. "Dai, Emma Spirito Libero... vieni qui. Va tutto bene, ci sono io accanto a te. Risolveremo tutto, va bene?"
Uscirono dalla scuola e mia sorella êenne riportata a casa ancora in lacrime, ridotta uno straccio, con lui che le teneva la cartella e la sorreggeva per evitare che finisse a terra.
"Piccola, che cos'hai?" chiese mia madre, stupita nel vederla rientrare dopo così poco tempo.
"Tutto... tutto è meglio di quell'inferno... chiunque è meglio di loro!"
Mia madre, naturalmente, non ci aveva capito molto. Erano parole confuse... ma io una mezza idea ce l'avevo. Le andai incontro e mi aggregai all'abraccio tra lei e Gabry perché volevo che lei sapesse fin da subito che, qualunque scelta lei avesse fatto, io sarei stata dalla sua parte.
Quando si fu finalmente calmata, ci raccontò tutto e disse qualcosa che non ci saremmo mai aspettati... e che forse nemmeno lei avrebbe mai lontanamente immaginato di fare.
"Io non ce la faccio più. Non permetterò mai più a nessuno di loro di farmi del male, mai più!" disse. "Io farò di tutto per mandarli dove meritano di stare... a costo di dover dormire sul pavimento di quell'Inferno!"
"E io ti aiuterò ad ottenere la tua vittoria, amica mia!" le promise Gabriele.
"Che cosa vuoi fare, tesoro?" chiese la mamma.
"Voglio ribellarmi. Voglio far ricordare a quei superumani dei miei stivali com'è stare dall'altra parte e sentirsi costantemente dire: "Non vali niente!", o peggio: "Non riuscirai mai a realizzare i tuoi sogni!" Ecco cosa voglio fare!"
Lei comprese subito che tutti stavamo guardando nella sua direzione. Lo sguardo dei miei era indecifrabile... Gabriele la guardava con un ampio sorriso, come se sapesse che prima o poi sarebbe successo questo... e poi c'ero io. Ammiro tanto mia sorella. È la mia eroina e dice sempre che io sono la sua. In quel momento ero più che mai certa del fatto che fosse molto coraggiosa. Le presi la mano, stringendola forte, e le dissi: "Io sarò sempre con te."
Lei mi rivolse un sorriso, si asciugò gli occhi con l'altra mano e mi strinse a sé.
Dopo un po' ci staccammo e lei mi sussurrò un: "Grazie Irene" prima di andare verso la sua stanza. Io andai con lei ed entrai cercando di non far rumore. Lei di solito si accorge delle persone che entrano, o almeno del fatto che non è sola.
Ma questa volta, fortunatamente, non ci fece caso e la cosa mi permise di vedere che cosa faceva. La vidi prendere il cellulare e la sua macchinetta per scrivere in Braille. Non aveva coperto lo schermo e questo mi permise di vedere che aveva aperto Facebook. Di solito non entrava nel gruppo della scuola, ma questa volta lo fece. Cercai di stare attenta a non farmi notare, allungai un po' il collo e vidi che cosa stava scrivendo.
"Probabilmente mi considererete un peso più che un aiuto nel vostro movimento studentesco, ma la verità è che io non ne posso più di loro. Consideratemi come volete, prendetemi anche in giro, se volete, non m'importa... ma permettetemi di rendermi utile!"
In quel momento il mio proposito di non farmi notare andò letteralmente in fumo, perché le sue parole mi fecero scoppiare in lacrime. Davvero i suoi compagni la consideravano in quel modo? Davvero non sapevano quanto lei potesse essere loro d'aiuto? Davvero erano tanto sciocchi da non capirlo? Non potevo crederci. Non volevo crederci!
"Irene!" La vidi mettere le sue cose sulla scrivania e venirmi incontro. "Mi dispiace che tu abbia letto. Mi dispiace veramente molto, piccola. Sei tanto buona, dovevo stare attenta! Ma non preoccuparti... i pochi, veri amici che ho, mi vogliono davvero bene e anch'io gliene voglio. Tanto!"
"Anch'io ti voglio bene!" le dissi stringendomi forte a lei. Stavolta fu lei a lasciare che mi sfogassi. Giuro che se qualcuno si fosse azzardato a respingere la sua richiesta d'inclusion_e nel movimento studentesco, gli avrei gridato contro fino a perdere la voce.
Ma forse non sarebbe stato necessario: se ne sarebbe pentito da solo.

La rivoluzione di mia sorellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora