<10: Emozioni>

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IRENE
La professoressa lasciò la classe e mia sorella rimase là dentro e si prese il viso tra le mani come se avesse un terribile mal di testa. Non mi fu necessario guardarla, perché dopo pochi secondi la sentii piangere a dirotto e mi si spezzò il cuore. Mi dispiaceva che fosse in quello stato. Non era giusto! Lei non se lo meritava!
La porta dell'aula si spalancò all'improvviso e vidi entrare Gabriele, che doveva aver ascoltato tutta la conversazione tra Emma e l'insegnante. Si avvicinò a mia sorella, posò delicatamente le mani sulle sue spalle e le disse: "È il mio segnale. Te ne ricorderai?"
"Certo che me ne ricorderò!" gli rispose lei.
"Però tu sei triste... molto triste. E questo non va per niente bene, amica mia. Vieni qui, proviamo con il metodo del koala." le disse  Gabriele, andandole un po' più vicino. "Su, coraggio!"
"Certo, ma cosa intendi con: "Metodo del koala"?" gli chiese giustamente mia sorella, non capendo cosa intendesse dire.
"Come? Non sai che i koala sono molto affettuosi?" le chiese lui. "È questo il metodo del koala." E, detto questo, le prese le mani per farla alzare dalla sedia su cui era seduta e l'attirò a sé, in un abbraccio fraterno... un abbraccio spaccaossa e riparacuori. Lei piangeva sul suo petto, per sfogarsi, e lui la stringeva a sé, accarezzandole la schiena. Sapeva che quello era il modo migliore di farla sentire più tranquilla e ogni volta che lei era triste lui faceva questo. Funzionava sempre ed io, in quel momento, mi sentii ancora più sollevata dalla presenza di quell'amico che ci stava aiutando tanto, soprattutto lei.
"Ah... questo è il metodo che intendevi... un abbraccio!" esclamò Emma, sorridendo come se le fosse accaduta la cosa più bella del mondo... e forse, in effetti, lo era.
Gabriele sorrise, la prese per mano e la portò fuori.
Non so che cosa accadde dopo, quello che so con certezza è che lei insieme a lui era felice. Non sapevo nulla, perché non volevo che Emma sapesse che stavo ascoltando tutto. Non mi sembrava affatto una bella cosa.
Sgattaiolai fuori dalla classe-refettorio, corsi a cercare Alex e gli dissi tutto.
"Ha fatto bene. Ha davvero un bel caratterino, tua sorella." disse ridendo. "Ed è giusto... con persone come quelle c'è poco da ragionare o spartire. Mi dispiace per quella povera ragazza. Devono averle fatto passare l'impossibile per riuscire ad esasperarla. So che è una ragazza paziente e tranquilla... non certo una da rivoluzioni!"
Tipo o no da rivoluzioni, che nessuno venga a dirmi che Emma è una ragazza fragile, perché non è vero, e la prova la darò in questo momento. Io chiesi a mia madre di lasciarmi restare insieme a lei. Mi mancava, non volevo tornare a casa ed ero più che certa del fatto che stare insieme avrebbe fatto davvero bene a entrambe.
"Ti prego, mamma! Lasciami stare con lei!"
"Piccola, non è il posto adatto ad una bambina. Per favore, andiamo a casa!"
"Mamma, ti prego! Lasciami restare qui, ti giuro che mi comporterò bene! Te lo giuro!" la supplicai ancora. "Voglio solo stare qui con mia sorella, farò la brava!"
"Mamma, ti prego! Lasciala stare qui! Starà sempre vicino a me, te lo giuro! E poi forse sarà lei a badare a me, e non l'inverso!"
"E poi ci sono anch'io... non sono proprio in forma, ma ho la forza di prendere in braccio questo scricciolo disse Gabriele, indicandomi, "e correre via in casi necessari."
Mia madre passò in rassegna le nostre facce, muovendosi dall'una all'altra, e alla fine disse: "D'accordo, ma state attente!"
Poi si rivolse a Gabriele e gli disse: "Gabriele, abbi cura di loro... e anche di te!"
"Lo prometto!" le rispose lui.
Mia madre ci salutò per poi allontanarsi. Le sentinelle la lasciarono uscire, perché sapevano che non avrebbe potuto denunciare una cosa che serviva anche ad Emma.
Quella giornata passò tranquillamente, ovviamente dopo tutto quello che era successo fino a poco prima che mia madre mi permettesse di rimanere in quella scuola con la mia sorella maggiore e il mio amico.
Quando giunse la notte ero stremata. Era stata una giornata davvero lunga, quindi forse non era esattamente... una cosa strana.
Il fatto è che, nonostante fossi stanca, proprio non riuscivo a chiudere occhio.
"Irene... non riesci a dormire?" mi chiese mia sorella, facendomi spazio sul suo materasso e coprendo il mio corpo con una parte della sua vecchia coperta.
"No, e a quanto pare nemmeno tu ci riesci, eh?"
"No. Proprio non ci riesco... ma sono felice che tu sia qui."
"Emma..." sussurrai. Desideravo che facesse una cosa per me, ma non sapevo se chiederglielo o no. Lei si vergognava di fare certe cose, ma desideravo che mi facesse quel favore, perché era una cosa che mi piaceva veramente molto.
"Dimmi, Irene. Che cosa c'è?"
"Potresti cantarmi quella canzone che ti piace tanto... e che piace tanto anche a me? Quella... quella scpecie di favola, dico." dissi, insicura." dico.
"Quella però è un po' triste... ne sei sicura?"
"Certo! A te piace tanto, e anche a me!" le dissi. Lei rimase in ascolto, circospetta, per capire se rischiava di disturbare qualcuno... disturbare, poi!
Poi iniziò ad intonare a bassa voce quella canzone. Mi piaceva tanto ascoltarla. Era tanto delicata, in questo come in tutto quello che faceva. Vidi che anche Gabriele era in piedi e la stava ascoltando, ma lei non ci fece caso e andò avanti, sempre a bassa voce. Io feci finta di dormire. Non mi piaceva farlo, ma volevo che lei fosse tranquilla quando lui le avrebbe parlato.
Improvvisamente, quasi si fosse accorta della presenza di qualcun'altro, sembrò gelare, abbassò la testa e nascose il viso con entrambe le mani. Mi venne da sorridere, ma rimasi ferma e cercai di starmene tranquilla il più possibile. Non volevo che lei si accorgesse del fatto che ero sveglia.
"Non sapevo che sapessi fare anche questo!" disse Gabriele.
"Infatti non so farlo! Irene a volte mi chiede di... di farlo, e io... come posso negarglielo? Anche se mi vergogno tanto."
"Hai una bella voce, invece" le disse lui, cingendole delicatamente le spalle. "Mi nasconderò più spesso dietro le porte, mi piace ascoltarti."
Vidi mia sorella arrossire e la cosa mi fece sorridere.
"Solo... non mi aspettavo che ne scegliessi una come questa. Sai, è davvero bella, però..."
"Lo so, ma non è l'unica che conosco, e credo che tu lo sappia... e poi scusa, come facevi a non sapere che mi piacesse cantare se mi hai fatta salire sul palco di un bar, Gabriele? Scusa, ma è una tesi che... non regge tanto..."
"Va bene, è vero! Te lo ricordi il giorno in cui tua madre ti ha registrata? L'ha fatto per me. Mi diceva che eri brava, ma che ti vergognavi molto di esporti, nonostante il corso che frequentiamo insieme... mi ha fatto avere la registrazione e io l'ho ascoltata con piacere. Se non sbaglio la canzone era... una religiosa, ecco!" le disse.
"Ah... forse... ho capito!" gli disse lei. "Ma le avevo chiesto di non farlo! Insomma, io... io..." La vidi incurvare le spalle. Tremava tutta e quella reazione proprio non riuscivo a capirla... ma sembrava una cosa bella, veramente bella.
"Non te la prendere, mostriciattolo!"
"Gabriele, lo sai che sono una complessata fuori dal comune... non è che potresti evitare di chiamarmi in questo modo? Potrei credermi un mostro nano, con la bava alla bocca e le guance ricoperte di pelo, tipo quello di... di un coniglietto!"
"No! Tu sei fuori dal comune e basta!" le rispose lui. "E se ti ho chiamata in questo modo è perché sei piccolina di statura, ma sai fare delle cose di cui non riesco proprio a capacitarmi..."
"Come vuoi, ma io..."
"Attenta a quello che dici, birbantella, o potrei darti una botta in testa per rimetterti a posto il cervello!" le disse lui, sorridendo. Non c'era bisogno che facesse qualcosa per farle capire che lo faceva... e se devo essere sincera... neanche io capivo certe cose di mia sorella, come lei non ne capiva alcune che avevano a che fare con me.
Non riesco a dimenticare una volta in cui lei stringeva tra le mani un libro in Braille e io le avevo chiesto di che libro si trattasse. Lei mi disse il titolo, ma una frase che le venne fuori dopo mi lasciò completamente senza parole... e c'era anche lui. Era venuto a trovarmi perché stavo poco bene e aveva assistito.
"Vorrei tanto sapere com'è..."
"Com'è che cosa?" le aveva chiesto lui.
"Riconoscere un oggetto senza toccarlo... senza che emetta un suono... riconoscere una persona... dalla faccia... senza che si debba toccarla o lasciare che si avvicini e ti parli o ti faccia notare la sua presenza toccandoti un punto a caso del corpo. Com'è?"
"Com'è...?" si disse Gabriele, passandosi le mani sulla fronte, come per riflettere. "È esattamente il contrario di quello che fai tu. È come chiedere: come si fa a riconoscere un oggetto o un volto solo al tatto, per esempio? Vedila in questo modo: quello che capita a noi è praticamente un processo inverso rispetto a quello che vivi tu ogni giorno."
Loro ci stavano pensando, perché se lo dissero a bassa voce.
"E grazie a questo ho avuto un'alta opinione di te." gli disse lei. "Dopo la volta in cui hai voluto guidarmi praticamente senza conoscermi, naturalmente..."
Improvvisamente cambiarono argomento.
"Come ti senti, adesso?" chiese mia sorella.
"Oltre a un bernoccolo che mi fa un po' male... sto abbastanza bene, piccola. Tu e tua madre siete delle sante. Aspetta. Dammi la mano" le disse.
"Che cosa vuoi fare?"
"Se non ti fa senso te lo faccio vedere il mio bernoccolo" rispose lui, portando la mano di Emma vicino alla sua testa.
"Ma sei matto o cosa? Hai appena detto che ti fa male!" ribatté lei.
"Tu hai il pass per farmi male, altrimenti avrai bisogno di un telecronista che ti spieghi nel dettaglio le mie condizioni, e so per certo che è una cosa che t'infastidisce."
E detto questo le fece passare in rassegna il grosso bernoccolo viola che aveva sulla testa. Lo vidi irrigidire di poco i muscoli del viso, ma non disse niente. In ogni caso, neanche l'avesse visto, lei strattonò la mano dalla sua presa e la passò sulla sua faccia, centrandolo come se avesse visto dov'era la guancia, per fargli rilassare i muscoli.
"Hai giocato al tiro al bersaglio da piccola o cosa?"
"Che?" chiese lei. "Non è che la botta che hai preso ti fa fare delle domande strane?"
"No, è che... non fa niente, tanto già so che ti metterai semplicemente a ridere e non mi rivelerai il tuo segreto, vero?"
La vidi coprirsi la bocca con entrambe le mani, come se stesse cercando di non scoppiare a ridere.
"Esatto! Intendevo esattamente questo" le disse lui, mettendole un braccio attorno alle spalle. "Comunque ci conviene raggiungere Irene, altrimenti domani potremo valere ben poco. Ecco, vieni!" Lei si spostò un po' più avanti, verso il lato destro del materasso, ma perse l'equilibrio. "Ehm... non era esattamente questo che intendevo per: "Metterci a letto", però..."
"Però dovresti sapere bene che sono imbranata!"

La rivoluzione di mia sorellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora