IRENE
Per i primi giorni non accadde nulla di troppo pericoloso, ma i ragazzi non si rilassarono. C'era sempre il rischio di un'incursione della polizia, e degli studenti, riunendosi in piccoli gruppi per evitare che uno di loro che faceva da sentinella da solo potesse essere colto di sorpresa, sorvegliavano tutte le porte d'ingresso. Evitarono di mettersi a sorvegliare le finestre, perché quelle erano sbarrate come le finestre di una prigione. Alcuni studenti, ovviamente sempre in gruppo, uscivano dall'unica porta lasciata socchiusa per comperare da mangiare in caso di necessità, ma ci si affidava sostanzialmente alle provviste già fatte, e queste dovevano essere razionate perché potessero durare per più tempo, in modo da evitare di spendere tutto il denaro che tutti avevano portato con sé in una sola volta. Non sapevano quanto tempo sarebbe durato quel moto studentesco, quindi dovevano cercare di conservare tutto quello che potevano. Erano essenzialmente persone che ci tenevano all'igiene, quindi, dopo aver disinfettato i bagni, era là che si lavavano.
Mia sorella, quando mi racconta di come dovevano muoversi per lavarsi, mi fa sempre ridere. Era un'impresa, come la chiama lei... titanica!
Dovevano mettere a terra i tappetini della palestra, sovrapposti, perché c'era il rischio di cadere se qualcuno avesse preso l'iniziativa di prendere qualche sedia e lavarsi in quel modo. Bisognava fare torri alte per raggiungere il lavandino, o riempire dei secchi nei quali strofinare le parti del corpo da pulire. L'acqua non era stata staccata, né tantomeno la corrente elettrica, quindi da questo punto di vista erano a posto. Alla fine alcuni, dato il gran numero di studenti, arrivavano a lavarsi la sera.
Per la testa soltanto un certo numero di persone aveva portato gli asciugacapelli: lo stesso numero di prese elettriche presenti nella scuola. Per le varie aule era stata fatta una chiave universale da un fabbro ferraio, inoltre le cattedre erano state messe tutte, l'una sull'altra, in una stanza: l'Aula Magna, e in più erano stati rimossi anche alcuni dei banchi. I pochi banchi restanti venivano attaccati l'uno all'altro, per formare un unico tavolo, e vi venivano disposte intorno le sedie presenti. Era là che i ragazzi erano soliti mangiare: in varie aule, e i piatti venivano lavati in due dei bagni degli insegnanti visto che non c'erano lavandini da cucina. Di certo non è che in una scuola ci s'impegni per rendere la vita più facile agli studenti, ancor meno se ribelli.
In alternativa, piatti e posate in plastica, e arrivederci e grazie, diciamo.
Ma loro erano disposti a tutto pur di evitare che le persone che li avevano fatti stare tanto male potessero entrare e continuare. Se si fossero arresi allora, serebbe stato ancora peggio, Emma lo sapeva.
Io all'epoca non conoscevo i suoi insegnanti.
So solo che, dopo una settimana, l'insegnante di scrittura creativa iniziò a fornire ai ragazzi le provviste necessarie e ad informarli su tutto quello che accadeva all'esterno. In più era lui stesso ad accompagnare gli studenti che, a turno, potevano tornare a casa.
Anche la professoressa di spagnolo faceva questo, e lo stesso quella di letteratura italiana. Anche loro avevano capito che c'era ben poco da fare con delle teste dure come i loro colleghi.
Gabriele continuava a proteggere mia sorella, ma senza starle addosso. Sapeva che lei, da qualche giorno, era un po' giù di corda, ma lei non voleva parlarne, specialmente con lui che le voleva bene come solo un vero amico potrebbe fare. Anzi: come un fratello. Lui è a tutti gli effetti come nostro fratello!
Lui la osservava circospetto, non voleva che lei lo notasse. La notte la vedeva girarsi e rigirarsi sotto la sua coperta, ma nulla di più.
Almeno fino alla settima notte. Dopo l'ennesimo rapporto della giornata, che mia sorella provvedeva a scrivere, alcuni andarono a dormire e altri, poiché il turno di guardia andava a rotazione, si appostarono agli ingressi, a mo' di sentinelle. Non era il turno di Emma, quel giorno. Anzi: il suo turno non era ancora arrivato.
Gabriele rimase a fissarla per un bel po' prima di decidersi ad andarle vicino.
Lei era voltata su un fianco, verso la porta di un'aula, ed era tanto persa nei suoi pensieri da non sentirlo arrivare. Un singhiozzo la scosse e lei si accorse di una mano grande e calda che toccava delicatamente la sua schiena. Sussultò e si voltò di scatto.
"Calma, sono io." disse sottovoce. "Che cos'hai, Emma? Cosa succede?"
Emma non ebbe la forza di rispondere. Le lacrime sembravano farle male alla gola.
Gabriele non sapeva con certezza cosa le prendesse, ma la lasciò sfogare, facendole posare la testa sul suo petto. Spostò il suo materasso accanto a quello di Emma e la strinse in un abbraccio fraterno, coccolandole la testa e dandole dei leggeri baci su una guancia.
"Forse Alex ha ragione! Sono una rammollita!"
"Alex non ti ha mai chiamata in questo modo, anche perché non sarebbe sopravvissuto abbastanza a lungo per raccontarlo." scherzò lui. "Alex ti chiama fiore delicato, Emma, e non è la stessa cosa."
"E invece ti dico che è lo stesso, solo che non me lo dice in modo diretto. Fiore delicato e rammollita sono due modi diversi di dire la stessa cosa!"
"Assolutamente no! Una rammollita fin qui non ci sarebbe mai arrivata, Emma. Fiore delicato è un soprannome carino. Vuol dire che sei molto importante per lui. I fiori molto delicati vanno accuditi, perché per chi li cura sono preziosi e per questo motivo Alex ti chiama in questo modo. Ma ora mi vuoi spiegare perché ti vengono certi complessi all'improvviso?"
"Perché sono stanca di lottare, Gabriele! Mi manca la mia casa, mi manca la posizione familiare dei miei oggetti personali, mi mancano i miei genitori... mi manca Irene..."
"È normale. Anche a me manca tanto quella bambolina! Mi manca la tua famiglia e mi manca la mia, non immagini quanto mi manca. Ma la nostalgia non è indice di debolezza, altrimenti non saremmo qui. Va tutto bene, Emma, te l'ho già detto. È normale. Vieni qui, sorellina!"
"Davvero mi consideri come una... una... sorellina?" chiese lei, anche se non riuscii a decifrare il sentimento che voleva esprimere attraverso quelle parole.
"Certo, tesoro. Su, vieni qui" disse avvicinandola a sé e stringendola un po' più forte.
"Ti è mai successo di sentirti fuori posto... di sentirti sbagliato?" chiese Emma.
"Potrei scrivere un libro sull'argomento!"
"Lo prendo come un sì" disse lei, sorridendo.
"Lo prendi nel modo giusto, allora!"
"Beh... il fatto è che quando parlo con te... mi sento tranquilla. Non mi sento sbagliata... voglio dire... sei un amico speciale, ecco!"
"Anche tu lo sei per me!" disse lui, con dolcezza, mentre faceva scorrere una mano su e giù per la schiena di mia sorella. Lo fece fino a quando lei, cullata da quel movimento delicato e ritmico, non si fu addormentata.
Ma non la lasciò andare. Non l'avrebbe mai fatto, perché sembrava che gli piacesse abbracciarla. Non so quale fosse il motivo, ma gli piaceva.
Però sapevo che a ognuna delle persone che conoscono bene mia sorella, piace abbracciarla per motivi diversi.
Mi sarebbe piaciuto leggere di più di quell'abbraccio, ma lei scrisse poco a riguardo.
Gabriele sembrava tranquillo vicino a lei... magari non come lo era lei quando stava con lui, ma in ogni caso era tranquilla e questo è uno dei motivi per cui gli voglio bene.
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La rivoluzione di mia sorella
Ficção AdolescenteIrene, una ragazzina di tredici anni, per il suo esame di terza media sceglie un soggetto insolito... tanto insolito da portar i professori a convocare la sua famiglia. In particolare è richiesta la presenza della sorella maggiore: Emma, che è il pe...