<17: I dubbi di un'anima tormentata>

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IRENE
Il tempo passava e tutti noi eravamo ormai sfiniti. Non era certo piacevole stare tutto il tempo chiusi in quella vecchia scuola.
Una volta Emma chiese a Gabriele se gli dispiacesse descrivergliela.
Lui, per tutta risposta, disse: "A me non crea nessun disturbo tenendo anche conto del fatto che a te non dispiace... ma sei proprio sicura sicura di voler sapere com'è la scuola? Sei l'unica che ancora resiste e ho paura che descrivendotela potrei far venire una crisi di nervi anche a te, tesoro..."
"Dopo quello che loro mi hanno fatto passare credo che saperlo non cambierà le cose più del dovuto, Gabriele." gli rispose lei. "Anzi: ne sono più che sicura!"
"Se la metti in questi termini, invece di descrivertela te la farò vedere. Vieni con me."
E detto questo Gabriele prese per mano Emma e la fece girare per la scuola, cercando di spiegarle in modo simpatico quello che vedeva, cosa che, nonostante ci sapesse fare, con la scuola gli risultò un po' più difficile del solito, ma lei apprezzò lo sforzo, anzi: ne rimase stupita.
"Ecco... è tutta dipinta di grigio. Sembra un cielo pieno di nuvole, e direi che questo colore è adatto allo stile di vita che ci si ritrova a condurre una volta entrati dal portone principale o da una delle entrate posteriori, tra cui l'unica rimasta aperta."
La portò vicino ad una delle pareti e le prese la mano destra, delicatamente. "Ora ti faccio vedere che disastro sono le pareti, ma stai attenta a metterci le dita e non le unghie, altrimenti avrai i brividi. Ecco, brava, in questo modo. È tutta scrostata perché l'ultima volta che le pareti sono state ritoccate, forse il fondatore della scuola, Carlo Magno, era ancora in vita!"
Mia sorella ritrasse la mano di scatto, pur essendo stata molto attenta a non grattare la superficie della parete. Non sembrava piacerle granché quello che Gabriele le aveva mostrato, ma in fin dei conti l'aveva chiesto lei di essere resa partecipe delle caratteristiche di quell'edificio, quindi non disse nulla in merito alla sensazione che il contatto con quella parete le aveva trasmesso.
"E poi...?" chiese esitante.
"E poi... i bagni del pianterreno sono rotti, ma questo lo sai già da un pezzo. Le persiane sono rotte a loro volta e ogni singola finestra è chiusa con delle sbarre, per evitare che qualche studente in crisi possa avere l'idea di correre ad una finestra, aprirla e buttarsi di sotto... tutte tranne quelle all'ultimo piano, perché chi ha avuto questa splendida idea non ha tenuto conto del fatto che uno studente in crisi potrebbe tranquillamente decidere di tentare il suicidio anche dal terzo piano. Poi... non so se l'hai notato, ma anche i banchi sono rotti e ci sono alcune classi che... ehm... affacciano sugli scarichi e sui posti in cui ci sono i lavori in corso... non è proprio il massimo, né come visuale né come nient'altro..."
"Ah..." sospirò lei, piuttosto amareggiata, ma si sforzò di sorridere. In fondo le piaceva il modo in cui lui le raccontava tutto quello che vedeva.
"Praticamente è un posto abbandonato a se stesso, giusto? Beh... un po' come noi, direi" si lasciò sfuggire Emma.
"Forse avrei fatto meglio ad inventare un po' di particolari, piccola." le disse Gabriele.
"Oh no, no, per niente" rispose lei. "Credimi: hai fatto bene. Sarà un motivo in più per lottare... e magari... magari visto che praticamente ora noi viviamo qui potremmo occuparci noi stessi di rendere questo posto... come posso dire: un po' più vivace."
Gabriele scoppiò a ridere, perché a pensarci la situazione era alquanto comica.
"Il bello è che sei tu che ti prendi la briga di fare una cosa del genere!" le disse.
"Lo so che è un paradosso, però è il caso che qualcuno inizi."
"Non hai tutti i torti, Emma!"
"Però... dovrei parlarne anche con gli altri, no?" disse lei. "Anche perché... non posso certo fare tutto da sola!"
"Certo, ma sono sicuro che anche a loro farà piacere dare un tocco di vita a questo posto deprimente quanto un ospedale!" disse lui dolcemente.
Detto questo la portò in una delle aule che fungevano da refettorio, nella quale ci riunimmo tutti. Certo, eravamo schiacciati come sardine tutti in un'unica classe, ma dovevamo esserci tutti per ascoltare la proposta. Vidi mia sorella torturarsi nervosamente le mani. Non amava esporre le proprie idee, le sembrava quasi di disturbare esponendo anche solo un minimo il suo pensiero.
"Ehi! Tranquilla. È solo una proposta." le disse Gabriele, posando entrambe le mani sulle sue spalle per farle sentire che era accanto a lei per qualsiasi cosa le occorresse. Lei non tardò a prendergli una mano e stringerla forte nella sua, e altrettanto fece con me. Io non sapevo che cosa volesse fare, ma sapevo che aveva un disperato bisogno di sentirsi sicura.
"Ecco... avevo pensato di ridipingere le pareti della scuola, se a voi fa piacere. Ho chiesto a Gabriele di descrivermele e mi sono sembrate un po' tristi."
Alex sorrise: "Aspetta... ma perché vorresti fare una cosa simile?"
"Perché a me non farà nessun effetto, ma magari le pareti ritoccate aiuteranno un po' voialtri. E poi... se a voi non dispiacesse qualche schizzo potrei farlo anch'io... un po' casuale, ma mi piacerebbe veramente tanto contribuire."
"E che prova daremmo facendo questa cosa?" le domandò Alex. "La prova che non siamo altro che dei bambini che si sono messi in una situazione più grande di loro?"
"E tu che prova stai dando nel momento in cui aggredisci una persona che si è limitata a fare una proposta?" chiese Gabriele. "La prova tangibile del tuo esaurimento nervoso e della tua mancanza di pazienza, forse? Ah, e tanto per fartelo sapere: anche questo è un modo per provare che le cose possono cambiare. Ridipingere questo posto è un modo di sperare in un nuovo inizio. Anche questo è far rivoluzione, ma senza fare male a nessuno."
"Io voglio farlo!" disse Mary. "Ed è bello che l'idea sia venuta ad Emma, nonostante il fatto che a lei importi ben poco dei colori. In più, come dice Gabriele, anche questo è un modo per fare rivoluzione... e proprio perché vogliamo ribellarci, possiamo sfogarci ritinteggiando un po' le pareti invece di urlarci contro a vicenda per tutto il giorno. Le cose non si risolvono scannandosi l'uno con l'altro, ma restando uniti."
"Anch'io voglio farlo!" aggiunse Chiara e altrettanto fece Denise. Mia sorella si era guadagnata la stima di un'intera scolaresca, forse perché non si era imposta, ma aveva proposto alcune cose. L'unica cosa per cui aveva lottato imponendosi era stata la sua intenzione di prendere parte a quel moto di ribellione. Però avevo notato che c'era qualcosa che non andava come doveva andare. Alex aveva una strana espressione dipinta in viso.
"Alex, non sei costretto a fare niente, se non vuoi." gli disse mia sorella, con un tono gentile che forse nemmeno lo stesso Alex si sarebbe aspettato dopo quello che le aveva detto, senza riserve. "Abbiamo stabilito che nessuno di noi avrebbe costretto un compagno a fare qualcosa che non voleva fare, se ben ricordo..."
"Ma che cosa ne vuoi sapere tu, eh, ragazzina?"
"Proprio niente visto che tu apri bocca solo per alzare la voce!" rispose mia sorella, cercando di mantenere la calma. Gabriele aveva una faccia talmente scura che ebbi paura che tra lui ed Alex potesse esserci uno scontro improvviso. Ma non accadde nulla del genere, perché Alex si allontanò di corsa. Vidi mia sorella cercare nervosamente qualcosa e capii che quello che le occorreva era il suo bastone.
Andai a prenderlo dall'angolo all'entrata e lo misi nella sua mano destra.
"Vuoi andare da lui?" le chiesi esitante.
"Precisamente."
Si girò verso Gabriele: "Spero solo di non perdermi..."
"Tranquilla. Vedrai che non accadrà, e se anche dovesse succedere verremo a cercarti io e Irene, d'accordo?"
Io sorrisi e gli feci l'occhiolino.
Mia sorella si allontanò e dopo un po' raggiunse Alex.
La cosa che la scosse molto, però, fu trovarlo inginocchiato sul pavimento, in lacrime. Comprese che era inginocchiato perché arrivò quasi a toccarlo e dalla direzione del suono comprese in che posizione era.
"Vuoi dirmi cos'è successo?"
Alex si girò, ma non rispose.
"Alex, ti prego, di' qualcosa, forse posso aiutarti!"
"Non puoi fare niente! Io sono semplicemente un disastro, un incapace nel portare a termine qualsiasi obiettivo possa prefiggermi... è tutto inutile!"
"Perché stai dicendo questo?"
"Perché i professori hanno puntato me non avendola spuntata con te. Mi hanno promesso di aiutarmi, in modo che i miei genitori possano finalmente essere orgogliosi di me. La verità è che m'importava poco di quello che dicevano i professori, ma i miei familiari mi distruggevano a livello psicologico... almeno ad una delle due pressioni dovevo porre rimedio!"
"Cosa?"

La rivoluzione di mia sorellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora