<24: Libertà!>

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IRENE
Non feci che pensare alle parole di mia sorella, durante tutta la notte, ma mi ci volle tanto per capire a chi facesse riferimento, chi fosse la persona che le aveva sconvolto completamente la vita. In ogni caso, decisi di non farne parola con lei, ed è un pensiero che ho tenuto per me fino ad oggi. Non voglio che si senta obbligata a parlarmene. Se costretta a fare qualcosa, lei lo fa molto male o si ribella, e soprattutto non è giusto che anche la sua famiglia la obblighi a fare quello che non vuole, per nessuna ragione.
In ogni caso quella notte non ci fu niente da fare. Non fummo in grado di chiudere occhio, neanche per cinque minuti scarsi, soprattutto lei, nonostante ci fossimo proposti di provare a riposare un po'.
Vidi Gabriele muoversi tra i materassi, silenziosamente, e sistemare le coperte di altri studenti, specie di quelli del primo anno.
Sembrava davvero un fratello maggiore, per loro e per me... quando si avvicinò a me, muovendo appena le labbra nel tentativo di non rompere quel silenzio che faceva pensare che tutti dormissero anche se non era vero, sussurrai: "Grazie di tutto, Gabry."
"Per che cosa?"
"Perché sei qui con noi, perché ti preoccupi di come stiamo, perché ci dai coraggio e ci spingi ad andare fino in fondo."
"Come? Finisce tua sorella e inizi tu con questa storia? Mi sembra di aver fatto capire in maniera molto esplicita quanto mi renda felice sapere che voi siete felici." disse Gabriele.
"Te lo sto dicendo proprio per questo. Mia sorella non aveva tutti i torti quando ti ringraziava mille e più volte... anche a me pesa questa situazione. Non quanto può pesare a lei, ma mi pesa, e anche parecchio. Eppure vedo lei, che anche se ha gli occhi pieni di lacrime va avanti, e vedo te che ogni tanto la fai ridere a îodo tuo e dirle di credere in quello che fa, a prescindere dal risultato. Non so perché, ma penso che solo un migliore amico molto speciale possa fare tutto questo per qualcuno, e mia sorella ha bisogno di un amico speciale!"
Gabriele sorrise, si chinò verso di me e, con delicatezza, mi baciò la fronte.
"E io non ho la minima intenzione di lasciarla sola!"
"Dici sul serio, Gabry?" chiesi euforica.
"Non credo di essere mai stato più serio da quando ho memoria" rispose lui, prendendomi in braccio e iniziando a camminare per il corridoio in quel modo. Mi portò in cortile e iniziò a ballare, sempre tenendomi in braccio, come se in quel modo mi stesse facendo volare. Era una sensazione nuova, che non avevo mai provato prima, ma era stupenda.
"Qui puoi ridere, gridare, cantare... puoi fare tutto quello che vuoi" mi disse, senza farmi scendere.
Ed io iniziai a muovere le mani a ritmo di una canzone di Notre Dame De Paris. I musical in cui si cantava e basta non mi piacevano molto, almeno prima di vedere quello su Notre Dame.
Gabriele mi mise a terra e mi prese le mani come fosse il mio cavaliere. Ci mettemmo a ballare e ammetto che in quel momento un po' mi sentii una principessa.
Non una di quelle ricche sfondate. Non per forza, almeno. Una di quelle che vengono trattate a meraviglia, riempite di complimenti, anche se vestono di stracci come Cenerentola... in quel momento capii il romanticismo che caratterizzava Emma, appassionata della Disney, in particolare delle canzoni... anche se lei, escludendo le lezioni a teatro, canta soltanto davanti a me perché con gli altri si vergogna troppo.
In quel caso, però, poiché eravamo all'inizio, le parti erano perlopiù corali.
Una volta ne parlai a Gabriele. Gli dissi soltanto che mi piaceva sentir cantare mia sorella. Gabriele mi disse che lei gli aveva sempre detto che le piaceva la musica, ma non credeva di essere portata e una volta aveva incontrato mia madre e le aveva chiesto di registrare la sua voce. Mia madre non disse niente nemmeno a me, perché come Emma è protettiva nei miei confronti io lo sono nei suoi e non l'avrei lasciata mai sola. Lei, quel giorno, scelse la canzone: "Hallelujah" di Leonard Cohen, ma nella sua versione italiana, e mia madre ne approfittò per registrarla e mandare il tutto al nostro amico... che infatti, quando io avevo chiesto ad Emma di farmi questo regalo, appena arrivata qui, si era nascosto dietro una porta per ascoltarla.
Immersa in quei ricordi, quasi non mi accorsi del fatto che Gabriele aveva lasciato le mie mani e si stava sfilando la giacca. Lo capii solo quando mi sfiorò delicatamente una spalla e mi disse: "Fa piuttosto freddo qui, Irene. Tieni, metti questa. Ti starà grande, ma almeno potrò star sicuro che ti terrà calda."
"Grazie Gabry, ma tu come farai? Non hai freddo?" chiesi.
"No, piccola, non ho freddo, e poi preferisco prenderlo io un po' di vento piuttosto che farti ammalare."
In quel momento nella mia testa si ripeterono le parole di mia sorella Emma, che diceva che Serena era molto fortunata.
Di certo non potevo darle torto...
Il giorno seguente ci ritrovammo tutti in una delle aule-refettorio.
Questa volta ad attenderci c'erano sia Alex che Emma.
Di solito mia sorella lasciava a lui il compito di fare i discorsi, mentre lei si occupava della parte pratica dei nostri piani. Oralmente parlando non le piaceva esporsi.
"Buongiorno." disse proprio lei, con un filo di voce. "Oggi a quanto pare è un giorno decisivo, vero?"
Ci fu un assenso generale.
"Ragazzi, nel caso in cui dovessero rifiutare di aiutarci dovremo barricarci dentro un'altra volta, e in questo caso non dovremo permettere a nessuno di accedere, purtroppo. Se non doveste sentirvela di continuare io vi capisco. È già stato abbastanza stressante arrivare fino a questo punto, ma ritiratevi adesso se proprio volete farlo, vi prego" continuò Alex.
Nella stanza piombò un silenzio che mi sembrò quasi assordante. Potevo sentire il mio cuore battere fortissimo, e forse anche quello di Emma.
"Non avrete bisogno di fare proprio niente!"
Ci voltammo tutti in direzione di quella voce: era l'ispettore del giorno prima e dietro di lui c'era un enorme gruppo di persone in mezzo al quale, però, spiccava la figura di una donna bionda. Mia madre, nello specifico.
Corsi verso mia sorella e le sussurrai all'orecchio una sola parola: "Mamma..." Lei non ci mise neanche un secondo a capire cosa intendevo.
"È qui, Irene, vero?" chiese.
"Certo che è qui. Su, vieni" le dissi prendendola per mano e correndo con lei in mezzo alla folla di studenti che si erano accalcati.
Ad un tratto lei riconobbe la voce della mamma, che ci stava chiamando.
"Qui, mamma, da questa parte!" gridò, agitando la mano e stringendo la mia mano come se avesse paura di perdermi. La folla mi spaventava e quel giorno la mia paura era tornata a presentarsi più intensa che mai.
Anche lei aveva paura, ma si faceva forza per me. Non l'avevo mai sentita gridare: "Permesso?", a quella folla di scalmanati, usando le parole di Gabriele. "Di qua, mamma! Ehi! Scusate! Permesso? Permesso?" gridava Emma. Era irriconoscibile.
Raggiungemmo la mamma e ci lasciammo stringere in un abbraccio che ci era mancato da troppo tempo. Anche nostro padre si aggregò all'abbraccio e tutt'e due ci lasciammo coccolare come non era mai successo prima. Non eravamo mai state per tanto tempo lontane da casa, dalla nostra famiglia.
"Ce l'avete fatta, bambine!"
Mamma non ci aveva mai chiamate in quel modo, ma in quel momento io mi sentivo più bambina che mai, e sono più che sicura del fatto che anche Emma si sentisse proprio come me.
"Ragazzi, ce l'avete fatta! Siete liberi!" esclamò l'ispettore. "Io stesso garantirò per il vostro benessere psicologico. Se avete richieste da fare, non fatevi problemi, fatele e basta. E tu, signorina" continuò, toccando dolcemente la spalla di Emma, "sei una ragazza veramente coraggiosa. Non hai bisogno di andartene. Puoi benissimo finirli qui, i tuoi studi, sai? Nessuno minerà più alla tua sensibilità, mai più, e se qualcuno dovesse farlo, tu vieni a parlarne con me e ci facciamo una bella chiacchierata... sei d'accordo?"
Mia sorella scoppiò a piangere, si voltò verso lo sconosciuto e lo abbracciò forte, senza pensare al fatto che fino a non molto tempo fa ci era ostile... ma fu ripescata poco dopo da quelle braccia forti e robuste.
Il professore di scrittura creativa avvolse la mia amica in un abbraccio e le disse piano all'orecchio: "Sei stata una brava rivoluzionaria."
Gabriele si unì all'abbraccio e l'insegnante, uno dei pochi che ci avevano sempre sostenuti, disse: "Sei un bravo ragazzo... tienitelo stretto questo tuo amico perché di amici come lui non ne trovi facilmente, Emma!"
"Lo so, professore! Grazie! Grazie di tutto, davvero!" gli disse mia sorella.
Poi si rivolse a noialtri: "Su, avanti! Fate presto, correte fuori! Sono sicura che ci sia il Sole! L'esterno di queste mura ci sta aspettando!"
È la prima rivoluzione alla quale ho preso parte. La prima rivoluzione che ha coinvolto una persona a cui tengo molto.
La prima rivoluzione non causata dalla fame. La prima rivoluzione che non si è risolta a lapidate e vittime tra colpevoli e innocenti. La prima rivoluzione che probabilmente non sarà mai scritta nei libri di scuola.
La rivoluzione che più di tutte mi ha affascinata, forse perché c'ero anch'io... forse perché c'era Gabriele.
Forse perché c'era il mio mito: la mia sorella maggiore, il mio angelo custode.
La mia Emma... la studentessa più coraggiosa, generosa, dolce, ribelle e forte che io conosca.
Lei era un'intellettuale, perché odio la parola "secchiona" e un tempo nella scuola ci credeva... ma ad un certo punto ha iniziato a sforzarsi per continuare a sembrare un'intellettuale convinta, perché c'erano persone che la opprimevano... è così che funziona quando i tuoi compagni ricordano giusto il tuo nome e i veri "bulli" non sono loro, ma i professori.
Lei ha sofferto molto, è stata sul punto di mollare tutto... e forse, se non ci fosse stato il nostro migliore amico, che mentre uscivamo la teneva stretta e le sussurrava un: "Grazie", non ce l'avrebbe fatta... forse soltanto lui era in grado di comprenderla, di dirle le parole giuste o semplicemente di restare in silenzio e asciugarle le lacrime, o ancora piangere insieme a lei... ma in fondo, le rivoluzioni non avvengono all'improvviso. Ognuna di esse è preceduta da un percorso lungo e tortuoso e ognuna di esse è un'esplosione di rabbia e dolore... ma l'unica che non ha avuto vittime fisiche irrecuperabili è stata questa... la rivoluzione di mia sorella.

La rivoluzione di mia sorellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora