<6: I'm brave>

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IRENE
Mia sorella mi ha sempre detto che le sarebbe piaciuto che la storia di quella rivoluzione diventasse un bel racconto per chi aveva bisogno di un po' di coraggio.
È questo il motivo per cui la sto scrivendo nel mio tema. Anche lei scriveva tutto sul telefono, in un documento che aveva intitolato: "Diario di bordo". Me lo faceva leggere, perché voleva che io sapessi che stava bene, per questo so tutto quello che le accadeva in quel periodo, tra quelle mura.
Appena arrivò Gabriele l'aiutò a sistemare il suo materasso fuori dalla sua classe. Lei vi sistemò la coperta e vi si sdraiò sopra. Era nervosa, ma fece buon viso a cattivo gioco.
"Su, Emma Spirito Libero! Stai tranquilla. Sono sicuro che andrà tutto nel verso giusto." provò a rassicurarla Gabriele, sistemando il suo materasso davanti alla classe che precedeva quella di mia sorella.
Lei abbozzò un sorriso, sforzandosi di mostrarsi tranquilla. Lui non meritava di sopportare il peso di tante preoccupazioni. Cercò di concentrarsi sul fatto che la scuola si stava riempiendo di studenti che, a turno, sistemavano i rispettivi materassi davanti agli ingressi di qualche stanza: aule, segreteria, presidenza, bar, e... persino i bagni erano coperti da quella barriera!
Questo lo spiegò Gabriele e lei ne ebbe la conferma attraverso le voci e i punti dai quali queste provenivano. Gli studenti si sdraiarono sui loro materassi e altri si diressero verso le scale, trascinando i loro materassi e andando a sbarrare qualche altro ingresso.
Gli studenti si erano appena sistemati e un ragazzo, quello che si era rivolto ad Emma il giorno prima, in mezzo a un corridoio, prese la parola.
"Ragazzi, sapete tutti perché siamo qui! In ognuna delle nostre classi si sono verificati casi di violenza psicologica e abuso di potere. Ora la sola cosa che ci resta da fare è impedire a chi lavora qui di svolgere il proprio dovere."
Mia sorella si sentì osservata.
"Una ragazza" disse il ragazzo che aveva parlato con lei, "ha provato a percorrere la via pacifica: quella del consegnare alla preside delle registrazioni del modo di fare dei professori. Risultato? Le è stato detto che è una pazza, che ha bisogno di cure psicologiche. Io non credo che sia giusto!"
Si alzò un boato. Un coro di risposte affermative, da tutti gli studenti, che dopo aver bloccato ogni entrata erano corsi al pianterreno, per ascoltare il programma dell'occupazione. Ognuno di loro doveva essere segnato da qualcosa. Qualcosa che l'aveva ferito nel profondo. Tutti avevano una ragione per avercela con qualcuno degli insegnanti, con tutti se stessi.
E dopo aver visto piangere mia sorella, li detestavo anch'io, con tutte le mie forze. Non auguravo loro del male a livello fisico o familiare, ma mi auguravo che dessero le dimissioni o che i compiti in classe che preparavano si bagnassero durante un temporale o prendessero fuoco per una loro negligenza.
"Ognuno di noi si metterà davanti ad una porta e non dovrà spostarsi per nessun motivo al mondo, almeno fino a quando non se ne saranno andati" esclamò Alex, il ragazzo che aveva parlato con Emma, il giorno precedente. "Anzi: è lecito agire con forza se dovessero insistere nel farvi spostare!"
Emma si gelò sul posto, come pochi giorni prima. Avrebbero dovuto agire con violenza se i professori avessero voluto spostarli di là?
L'ansia si fece spazio dentro di lei, per l'ennesima volta. Era come un verme solitario, che ti divora, che ti fa star male.
Aveva fatto bene ad andare là, a quell'appuntamento con un destino avverso?
Si alzò di nuovo un vociare assurdo. Lei cercò di farsi sentire, ma la sua voce, nonostante stesse gridando, era coperta da tutte le altre. Lui, Gabriele, le si avvicinò.
"Aspetta. Se continui a gridare resterai senza voce, ma non riuscirai a combinare nulla. Ci penso io." disse dolcemente per poi correre verso un impianto stereo.
Da una delle casse venne fuori una voce maschile, registrata, che disse: "Freeze" fermando tutti.
"Vi prego!" disse Emma, tirandosi su. "Non sarà troppo ricorrere alla violenza?"
"Credevo che tu fossi qui per lo stesso motivo per il quale ci siamo noi, carina! Se le nostre idee non ti vanno a genio puoi tornartene a casa, dalla tua famiglia" la fulminò Alex, alzando la voce.
"IDIOTA!" gli urlò contro lei.
Si alzò dal suo materasso e si piazzò davanti a lui, con le braccia tese verso il suo corpo scolpito, che avevo visto.
"Ti ho già detto che non sono una squallida bulletta di quartiere, o l'hai dimenticato? Io non metterò le mani addosso ad un altro essere umano, è chiaro? E se vuoi saperlo... se per: "Sei qui per la nostra stessa ragione" intendi lottare per la libertà d'opinione in questa scuola orribile, allora certo che sono qui per lottare! Se invece con quella frase intendevi chiedermi se fossi venuta qui per picchiare gente a caso, allora la mia risposta è no, mi hai sentita?"
"Vedo che in quella testolina c'è ben poco!" la derise Alex.
"Nella sua testolina c'è molto più materiale di quanto ce ne sia nella tua, imbecille!" lo fulminò Mary, andandogli incontro. Gli sarebbe saltata addosso se Gabriele non l'avesse fermata prendendola per il busto e facendole fare un passo indietro.
"Ferma! Ferma! È inutile fare questo! Non è lui il nemico, Mary! Ed è vero: la violenza non è una buona soluzione, Alex, e sai per quale motivo? Perché noi siamo già compromessi. Se facessimo del male agli insegnanti finiremmo dritti dritti al fresco, e allora avremmo ben poco da lottare per la libertà!"
Si alzò un terzo coro di voci. Non si capiva chi fosse con loro e chi no, ma si sarebbe capito a breve.
"STANNO ARRIVANDO!" gridò Denise.
"Ai posti, presto!" esclamò Alex, e ci fu una corsa folle di molti studenti, che si precipitarono alle postazioni.
Non ci fu più un suono da quel momento in poi.
Almeno fino a quando i professori non entrarono. Videro tutti quei materassi davanti alle porte delle aule e non solo là. Gli studenti se ne stavano placidamente sui loro materassi.
"Ma che cosa state facendo?" chiese il professore di biologia. Emma sentiva i suoi occhi addosso. Sentiva che lui la guardava in cagnesco, come se pensasse di fargliela pagare per quello che gli aveva detto attraverso quel colpo di testa, ma non si mosse.
"Che cosa state facendo?" ripeté lui, non avendo ricevuto alcuna risposta.
"Quello che è giusto!" esclamò Alex. "Non vi faremo entrare! Avete capito?"
L'insegnante di inglese si gettò su mia sorella, la prese dalle braccia e iniziò a tirare forte.
"Togliti di là! Hai capito?" le minacciò.
"Certo che ho capito... ma è perché me l'hai detto TU che non ho intenzione di muovermi di qui" le rispose lei.
La donna continuò a tirarle forte le braccia. Mia sorella era esplosa al suo: "Hai capito?", perché quella donna, per enfatizzare un concetto, la nominava sempre, chiedendole: "Hai capito?", come se fosse stata un'aliena.
"Spostati o ti prenderai una nota di demerito!" la minacciò la bionda.
"Sarebbe meglio che passare una giornata intera a sentirti dire: "Hai capito questa cosa, Emma? Dovete fare questo, avete capito? È chiaro, Emma"?"
Mia sorella era furente. Sembrava che nulla potesse smuoverla. Si aggrappò al suo materasso, avvolgendosi la coperta attorno al corpo e tenendola talmente stretta da farsi male alle mani, ma non se ne curava e continuava a rimanere dove si trovava. La donna continuava a minacciarla e le aveva afferrato la maglietta, tirandola forte, ma mia sorella non si spostava.
"SPOSTATI!" urlò la donna, provando ad alzarla di peso.
"Togliti tu, biondina dei miei stivali!" disse Gabriele.
La spostò, si avvicinò a mia sorella e la guardò attentamente per accertarsi che non si fosse fatta male... o almeno che non gliene avessero fatto in maniera eccessiva per trascinarla via.
"Piccola, tutto bene? Hai dolore da qualche parte?" le chiese gentilmente.
"No, tranquillo. Sto bene." gli rispose lei.
I professori si diressero verso il materasso del ragazzo, per spostarlo, in modo da potersi infilare in una classe, ma lui si precipitò nuovamente alla sua postazione. Intanto Alex aveva preso un grosso bastone e lo sbatteva per terra, minacciosamente.
Mia sorella se ne accorse e voleva spostarsi per fermarlo, ma poi le venne in mente che aveva giurato di non farlo, quindi lanciò il cuscino verso di lui, sperando di attirare la sua attenzione, ma senza doverlo colpire. Alex capì l'antifona.
"Ringraziate lei se non vi caccio alla mia maniera!" esclamò furente.
Le disse di alzare la testa, lanciò di nuovo il cuscino e questo atterrò direttamente al suo posto. Mia sorella vi poggiò la testa.
I professori se ne andarono via e dopo un po' gli studenti tornarono al pianterreno. Le misure di sicurezza dei ribelli dovevano essere assolutamente riviste. Non potevano certo continuare a tener chiuse le aule e le altre stanze della scuola usando i loro corpi e dei vecchi materassi.
"Dobbiamo cercare di sprangare tutte le porte, una ad una! Il nostro corpo non basta e di certo non possiamo stare sdraiati qui per tutto il tempo della nostra rivoluzione, no? Dobbiamo cercare un altro modo per tener chiuse le porte, assolutamente!"
"Lo sai che hai proprio ragione, piccolo fiore delicato? Bisogna chiudere le porte!" esclamò Alex. "Ma ne lasceremo aperta solo una: quella sul retro, in modo da poter uscire per acquistare delle provviste quando ne avremo bisogno. Faremo a turno, e una volta a settimana uno studente potrà tornare a casa."
"Per un paio d'ore al massimo, immagino, vero?"
"Esatto! La scuola deve comunque restare piena. Dobbiamo essere pronti a tutto. Dovremo procurarci dei bastoni... non per attaccare, per difenderci!"
"Bastoni? Difenderci?" sussurrò Emma.
Alex si alzò e le accarezzò una guancia, in modo scherzoso.
"Sei proprio un fiore delicato, piccolina, anche se non vuoi ammetterlo. A breve ci vedremo arrivare addosso la polizia e quelli non scherzano."

La rivoluzione di mia sorellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora