<25: Sono innamorata proprio di lui!>

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NARRATORE
Gli occhi di Emma si erano riempiti di lacrime numerose volte durante la lettura del tema di Irene. La bambina non la guardava mai, perché sapeva che se avesse alzato gli occhi dal plico di fogli sul quale stava facendo scorrere lo sguardo e le dita, probabilmente, avrebbe pianto insieme a lei e non sarebbe più riuscita a proseguire nella lettura. Gabriele s'inginocchiò accanto ad Emma per poter raggiungere la sua altezza, le prese il viso tra le mani e le asciugò le guance, bagnate dalle lacrime. Emma si alzò di colpo, si diresse verso Irene e la strinse in un forte abbraccio.
"Piccola... hai voluto dedicare il tuo tema ad un pezzo della nostra vita! Ti voglio bene! Ti voglio tanto, tanto bene, sorellina" sussurrò contro la maglietta a fiori di Irene.
Ma non stava piangendo soltanto per quella ragione. Le sue lacrime erano anche dovute al fatto che forse quel dolce scricciolo al quale si stava stringendo aveva capito molto di più di quanto desse ad intendere, ma non l'aveva specificato. Aveva capito chi era la persona che aveva completamente cambiato la vita di Emma, prima che lei stessa potesse capirlo.
La professoressa entrò all'improvviso. Stava per aprire bocca per dire qualcosa, ma le bastò guardare le due sorelle abbracciate per capire che Irene non aveva inventato nulla di quello che c'era scritto nel suo tema. In ogni caso, però, Emma ci tenne a precisarlo: "Mia sorella potrebbe fare la storica meglio di quei bacchettoni che scrivono i libri di testo che servono per la scuola! Quello che ha scritto è tutto vero, professoressa... È tutto vero!"
Detto questo Emma iniziò a tastare il bauletto che aveva recuperato da un banco. Recuperò il bastone bianco e iniziò a correre verso l'uscita. Stava piovendo a dirotto, ma in quel momento parve che non le importasse nulla del tempo.
Raggiunse il cortile e si schiacciò contro il cancello. Gabriele avrebbe voluto seguirla, ma Irene lo aveva trattenuto e gli aveva detto che sarebbe andata lei stessa a vedere come stava sua sorella. Pensava che fosse colpa sua.
"Emma!" esclamò Irene quando vide sua sorella con le spalle premute contro il grande cancello, completamente bagnata, tremante e ancora in lacrime, che si stringeva le braccia al petto e si fregava forte gli occhi.
"Avevi ragione tu, amore mio!" disse Emma, rischiando di far cadere a terra il bastone per quanto le tremava la mano.
"Di che cosa stai parlando?" le chiese Irene, avvicinandosi.
"Quando mi hai letto il tema... mi hanno travolta una quantità di emozioni che non ti so spiegare. Ma la cosa che mi fa piangere non è questa. O meglio: non è soltanto questa. Mentre leggevi di me e Gabriele io rivivevo tutto!"
Irene avrebbe voluto aiutarla, completare la frase che lei voleva dire, ma aveva preferito lasciare che lo facesse da sola se voleva farlo.
"Il fatto è... è che io... io sono innamorata" disse Emma in un sussurro. Le si spezzò la voce. Non aveva più la forza di continuare, ma non capiva da cosa dipendesse.
Irene aveva capito perfettamente di chi era innamorata, ma sapeva che lei non si sarebbe arresa prima di riuscire a pronunciare quel nome, anche se temeva che l'interessato potesse sentire.
"Lui non c'è" disse sottovoce, dopo essersi guardata attentamente intorno, "non potrà sentirti!"
"Non ci riesco, Irene. Mi vergogno troppo" sussurrò Emma.
"Perché ti vergogni? Di cosa? Forse ti vergogni di me?"
"No, non di te. Di quello che provo. Non riesco a dirlo."
"Vieni. Camminiamo un po', Emma. Tu hai aiutato me e io aiuterò te."
Irene prese per mano la sorella dopo aver detto ai genitori che si stavano avviando a piedi verso casa perché Emma era troppo scossa per aspettare che gli altri la raggiungessero.
Camminarono a lungo sotto la pioggia, tenendosi per mano. Arrivarono fino all'ingresso del condominio in cui vivevano.
In quel momento, pur vergognandosi incredibilmente di se stessa e dei suoi sentimenti verso una persona che era già impegnata, Emma crollò in ginocchio, si prese il volto tra le mani e, con voce strozzata dal pianto, disse: "Irene, io... sono innamorata di Gabriele..."
Irene continuò a guardare sua sorella, che era distrutta dalla vergogna che provava verso se stessa, e le rivolse un sorriso. Era sicura del fatto che Emma provasse quel sentimento per Gabriele fin dal primo giorno in cui aveva parlato con lui, ma che non se ne fosse mai resa conto prima di allora. Quella consapevolezza, però, sembrava provocarle un tremendo dolore.
Emma si sentiva egoista, perché in quel momento aveva capito che lei non avrebbe voluto accanto qualcuno come Gabriele.
Lei avrebbe voluto che a starle accanto fosse proprio lui: Gabriele, non qualcuno che fosse simile a lui caratterialmente e in quel momento si sentiva come se, solo pensandolo, stesse facendo un terribile torto a Serena.
Scosse violentemente la testa, come per punirsi per i propri pensieri, ma inutilmente.
Lui era sempre là, immobile, nella sua mente.
E faceva male, incredibilmente.
"Quello che vorrei è volerti bene e non starci male. Questo è quello che vorrei accadesse a me."
Perché all'improvviso il solo pensiero di lui le provocava dolore alla testa e al petto quando in precedenza quello stesso pensiero non le faceva che bene?
Perché in quell'aula, mentre Irene leggeva il tema, nonostante Gabriele fosse gomito a gomito con lei, lo sentiva lontano?
"Non so dove sei... e se è vero che noi abbiamo un solo Cielo... non mi spiego come mai se alzo gli occhi ora vedo che il tuo è blu e il mio è nero."
Nonostante l'estate fosse appena iniziata sembrava che la pioggia e il vento fossero associati allo stato d'animo di quella ragazza che aveva appena scoperto di essere innamorata del suo migliore amico, per giunta fidanzato, e sembrava soffrirne più di tutte le dame dell'Ottocento.
"Quello che io vorrei forse un giorno lo vorrai... quello che io vorrei è dimostrarti che l'amore che provo... l'amore che sento, non andrà via come le foglie al vento, e questo autonno sembra troppo freddo anche per me se neanche col pensiero posso starti accanto!"
E purtroppo era tutto vero. La canzone che le era entrata in testa diceva esattamente le parole adatte alla situazione.
Nonostante l'inizio dell'estate, nel cuore di Emma c'era l'autunno.
Nonostante gli sforzi che la ragazza aveva fatto per considerare Gabriele come un fratello maggiore, e non come il ragazzo del quale si era innamorata, ogni volta che lo chiamava: "Fratellino" e lui la chiamava: "Sorellina", lei avvertiva una terribile fitta al cuore che le sembrava strana, ma la cui ragione, in quel momento, le appariva più nitida che mai. Troppo nitida per poterla sopportare senza sfogarsi con qualche lacrima.
Non sapendo che altro fare, lasciò che la pioggia continuasse a bagnare il suo corpo già fradicio e infreddolito, che il freddo del suo cuore fosse sostituito da quello provocato dagli abiti fradici che le si attaccavano alla pelle, che le lacrime si fondessero alle gocce di pioggia che le bagnavano completamente il viso. Lasciò che lo sfogo continuasse fino a non farcela più. Lasciò che il suo cuore accusasse il corpo, perché sapeva che poi sarebbe stata costretta a mentire al suo migliore amico, al suo amore non corrisposto, al suo fratellino.
Certo... perché avrebbe continuato a pensare che lui fosse questo, o almeno a farglielo credere. Non voleva fare del male a lui o a Serena e non voleva dirgli quella parte di verità. Non voleva perderlo.
O perlomeno non voleva perdere la sua amicizia.

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