IRENE
Eravamo tutti molto felici del risultato del nostro lavoro. Io, dal l canto mio, ero felice dell'idea avuta da Gabriele per la classe di Emma. Eravamo tutti sporchi di vernice, ma non ci dispiaceva per niente esserne ricoperti. Stavamo ancora ballando, questa volta nel corridoio del primo piano, quando Alex entrò con i professori al seguito. Si avvicinò a mia sorella e le fece toccare i suoi occhi per farle capire che le aveva fatto un occhiolino come cenno d'intesa. Lei sorrise, ricordando di avere le mani piene di vernice e di avergli sporcato completamente il viso. Lui rise e si diresse velocemente verso un bagno, per sciacquarsi.
"Ma che avete combinato?" esclamò il professore di biologia, completamente sconcertato. "È un disastro..."
"Non si vede? Abbiamo ridipinto tutto" rispose Emma. "Che non lo veda io è più che normale, ma che non possa vederlo lei... è un po' strano."
"Oh, santo cielo!" disse la professoressa di inglese, portandosi le mani davanti al volto, completamente sconcertata. "È un disastro..."
"Come disastro? Abbiamo di sicuro fatto molto meglio di quello che avete fatto voi a mia sorella!" esclamai convinta, puntando un dito contro di loro.
"Sapete, ridipingere questo mausoleo è una terapia... dovreste provare a fare questo, ogni tanto, invece di sfogare le vostre frustrazioni sugli studenti!"
E detto questo Gabriele prese a mani nude un po' di colore e lo spalmò sulle loro magliette, senza pensare troppo alle conseguenze del suo gesto. Loro rimasero più che sorpresi nel vedere quella reazione da parte sua. I suoi occhi erano luminosi mentre faceva quel gesto. Prese la mano di Emma e le disse: "Lo faccio per te... nessuno deve permettersi di far soffrire la mia migliore amica come hanno fatto loro, non finché ci sono io a difenderla. Questi occhi sono troppo belli per essere consumati dalle lacrime, Emma Spirito Libero!" Forse quelle parole erano un po' eccessive per un migliore amico, ma mentalmente lo ringraziai. Lei era sfiduciata, atterrita a causa dei numerosi intoppi che si era trovata davanti, ma lui era riuscito per l'ennesima volta ad impedirle di crollare definitivamente.
"Adesso siamo tutti uguali, come disse qualcuno qualche secolo fa, no?"
Detto questo Emma si fece avanti. Una materia che le era stata molto utile era stata la storia. Con quella aveva scoperto l'esistenza di un oratore. Non uno di quelli greci o latini, che usano paroloni su paroloni per spiegare un certo concetto. Quell'oratore, a quanto dice lei, era un uomo molto povero, che credeva in un ideale un po' difficile da realizzare. Lei me ne aveva parlato come se mi stesse raccontando una favola. Un uomo che era stato ingannato, che aveva creduto in qualcosa, tanto da dare la sua vita per questo.
Questo tale, a quanto pare, una volta disse questa frase. Anche lui era un ribelle, ma in un contesto diverso. Quella rivoluzione era stata anche un po' violenta. Questo a mia sorella non accadde. Scelse una rivoluzione basata sulla ribellione non violenta... una rivoluzione basata su un gioco di colori.
Mia sorella voleva che la ribellione fosse in una risata, in una risposta, in una critica fatta ad alcune persone che, forse senza nemmeno accorgersene, si erano sentite più grandi di quanto fosse lecito sentirsi.
Forse non era stata neanche colpa loro. Il potere, qualunque esso sia, dà alla testa. Per questo mia sorella aveva vietato a chiunque, categoricamente, di chiamarla "capo". Voleva rimanere al suo posto di studentessa che ha qualcosa da ridire, non trasformarsi in qualcosa che non le sarebbe nemmeno piaciuto essere. Qualcosa di più grande di lei, troppo per poterlo gestire.
"Forse lo siamo sempre stati... uguali, voglio dire. Ma dirlo in una riunione, mostrare ad un presunto superiore che qualcuno aveva dimenticato che siamo tutti umani, diversi gli uni dagli altri, ed è questo che ci rende uguali. Forse ci voleva una rivoluzione per capirlo..."
Lei si fece ancora più avanti, cercò la mani degli insegnanti, imbrattate di vernice poiché stavano cercando di ripulirsi le magliette dalla vernice, e, con gli occhi leggermente lucidi, afferrò quelle mani, cercando di non manifestare i brividi che l'assalirono, e sorrise, stringendole forte nelle sue.
"Anch'io ho sbagliato, come tutti. Ho sbagliato perché quando ho iniziato a giocare non vi ho chiesto se vi andasse di giocare con me."
Cercai di capire come loro stessero reagendo, di fronte all'atteggiamento assunto da mia sorella, ma non riuscii a decifrare le loro espressioni. Ma una cosa la sapevo per certo: qualunque fosse stato il risultato, sarei stata fiera di mia sorella e del fatto che fosse una ragazza ribelle, ma anche buona.
"Vi andrebbe di aiutarci a ridipingere la scuola? Magari con il tocco artistico di chi la conosce di più e da più tempo di noi potrà rendere più belle quelle pareti che sono ancora un po' scolorite. Vi farebbe piacere darci una mano?"
Ci fu qualche attimo di silenzio prima che quelli del gruppo degli insegnanti si "riprendessero".
"Che idee ti vengono in mente, Emma?" saltò su la professoressa alla quale stava stringendo la mano. "Dovremmo ridipingere la scuola? E questo che cosa c'entra con gli studi? Voi dovete andarvene e portare subito via tutta questa roba! Anzi: farò di più! Mi rivolgerò a qualcuno a cui non potrete dire di no! Gli farò vedere quello che avete combinato da quando avete invaso la scuola e vedrà lui come provvedere, piccoli stupidi ribelli che non siete altro..."
Vidi mia sorella abbassare la testa, ma la cosa durò soltanto per qualche istante.
"Bene! Vorrà dire che andrà da chi di dovere conciata da pagliaccio. Che ne dice?" chiese prendendo un barattolo di pittura, quello contenente il colore rosso, e ne spalmò un po' sul volto della donna, che prese ad urlare.
"Ma che diavolo stai combinando?" saltò su l'uomo vicino a lei.
"Voi mi avete tarpato le ali e io vi ricoprirò di vernice! Questo non è niente in confronto a quello che mi porto dentro da mesi! Non da anni, perché ho iniziato a sentirlo solo da qualche mese, ma fa male come se me lo portassi dentro da sempre... da tutta una vita!"
Mia sorella pronunciò quelle parole con rabbia, perché aveva cercato un dialogo che non c'era stato, aveva riposto la sua fiducia in una comprensione irrealizzabile.
Gabriele l'aiutò a continuare l'opera. Continuammo tutti a giocare con la vernice e in pochi minuti i professori erano coperti di vernice tanto quanto noi. Lo stesso Alex prese parte al gioco e parve divertirsi molto visto che, quando loro se ne andarono, corse incontro a mia sorella e l'abbracciò come forse non aveva mai fatto prima con lei. Come forse non aveva mai fatto prima.
Loro andarono via ed io vidi mia sorella che si lasciava scivolare sul pavimento, molto lentamente, e si copriva il volto con entrambe le mani per poi iniziare a piangere in un modo silenzioso.
Gabriele le corse incontro e le fece togliere le mani dal viso.
"Piccola, no! Rischi di provocarti un'infezione agli occhi!" le disse stringendo le sue mani dato che lei stava per portarsele nuovamente davanti al viso.
"Non m'importa, Gabriele! Non ho concluso proprio niente!"
"Piccola, hai fatto molto più di quello che credi! Quando "chi di dovere", come hai detto tu stessa, verrà a vedere in che condizioni è la scuola, vedrà che è stata ridipinta, che i bagni vengono puliti regolarmente, che quella cappa di fumo non c'è più, che le classi vengono pulite e che non è stato rotto o portato via nulla da scuola. Vedrai: ti faranno i complimenti per come l'hai tenuta, tesoro!"
"Non l'ho fatto io! L'avete fatto voi! Io ho solo combinato guai!"
"Potresti evitare di farti fare il solletico fino a farti cadere?" le chiese lui. "Ti ho già detto che se questa rivoluzione è stata resa come un gioco è stato solo merito tuo visto che hai voluto che i bastoni per le tende venissero usati solo se era strettamente necessario tirarli fuori per difendersi!"
Lui l'abbracciò forte, come farebbe un amico speciale... un migliore amico, un fratello maggiore, ed io so com'è, perché me l'ha insegnato lei. Questi abbracci li conosco perché quando ero un po' più piccola questi erano gli abbracci che lei riservava a me.
"Sai cosa? Non hai proprio tutti i torti... visto che loro non mi hanno mai dato retta vorrà dire che mi farò sentire io. Loro mi hanno tarpato le ali, ma io imparerò a volare di nuovo, stavolta usando le braccia, sperando che loro non provino a spezzarmele!"
"Per provare ci proveranno, ma quelle sono più difficili da spezzare, specie se l'altro oppone resistenza. E tu farai resistenza, percré non sarai sola! Ci sarà il tuo gruppo a sostenerti. Non saremo molti, ma come si dice? Pochi, ma buoni! Giusto?"
"Naturalmente!"
Mia sorella si alzò da terra. Aveva ancora gli occhi pieni di lacrime, ma un messo sorriso le increspava le labbra. Non era del tutto sicura di quello che avrebbe fatto, come è giusto che sia, ma una cosa la sapeva. Nessuno le avrebbe abbassato l'autostima un'altra volta. Nessuno che facesse parte di quell'ambiente.
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La rivoluzione di mia sorella
Teen FictionIrene, una ragazzina di tredici anni, per il suo esame di terza media sceglie un soggetto insolito... tanto insolito da portar i professori a convocare la sua famiglia. In particolare è richiesta la presenza della sorella maggiore: Emma, che è il pe...