<5: Preparativi...>

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IRENE
Mia madre, a quelle parole, cambiò totalmente espressione. Era sorpresa, molto sorpresa.
"Tesoro, aspetta! Ci sono tante cose che puoi fare... perché questo?"
"Ho bisogno di questo, mamma! Ho bisogno di essere certa che riesca! Ne ho troppo bisogno!"
"Piccola, potrebbero chiamare la polizia, e vi manderebbero via con la forza... ti prego, pensaci meglio!"
"Mamma, non farò niente di male! Non voglio rompere nulla né fare male a nessuno!"
"Tu no, ma molti dei tuoi compagni sono degli scalmanati e potrebbero coinvolgerti..."
"Aspetta" intervenne Gabriele. "Ci sarò io con lei. So come funzionano queste cose e so che l'unica cosa che lei vuole e far sentire impotenti queste persone. Vuole che si ricordino che sono esseri umani tanto quanto lo è lei. E poi è una ragazza intelligente, e lei lo sa. Non si metterà nei guai. Ricorderà il punto in cui deve fermarsi."
Mia sorella era immobile. I suoi occhi non smettevano di versare lacrime, ma non era per impietosire la mamma, in modo che la lasciasse andare. Quelle erano lacrime di rabbia, e la sua espressione era decisa. Molto decisa.
"Cosa farò se qualcuno di loro dovesse tirarti in ballo? Cosa farò se ti verrà fatto del male, amore mio? Ti prego, ascoltami. Devi stare attenta!"
Mia madre strinse a sé mia sorella. Io la guardavo con preoccupazione. Per un po' non l'avrei più vista e mi sarebbe mancata.
Gabriele mi vide piangere silenziosamente, mi attirò a sé e mi strinse in un abbraccio fraterno.
"Non le accadrà niente, te lo prometto... e quando vedrò una situazione tranquilla ti porterò da lei."
Abbozzai un sorriso. Speravo che gli bastasse, e che bastasse a lei.
"Sei sicura, Emma?" chiese Gabriele.
"Sono più che sicura." rispose lei, calma.
"Va bene, allora andiamo a preparare il necessario. Ne avremo per un bel po' dato che gli insegnanti e la preside, a quanto ho sentito dalle tue registrazioni, sono ossi duri."
Andai anch'io con loro, per aiutarli. Recuperammo un grosso zaino dalla sua camera. Vi mettemmo dentro il cellulare, la sua macchinetta da scrivere ed anche i rispettivi cavi.
Oltre a questo preparammo delle coperte, il set da bagno e dei cambi. Sapevamo che ne avrebbero avuto per giorni.
"Ragazze, avete un vecchio materasso?" chiese Gabriele.
"Certo" risposi per poi correre a prenderlo, "a cosa ti serve?"
"I materassi sono per gli studenti. Bisogna metterli davanti alle porte, sistemarvi sopra le coperte e mettersi là, per impedire che i professori possano entrare. Purtroppo, per un po', quella sarà casa nostra, Emma." spiegò Gabriele posando una mano sulla spalla di mia sorella, per farle coraggio. E ce ne voleva, di coraggio, intendo... Ce ne voleva tanto!
"Sono disposta a tutto, ma loro non devono più entrare in una qualsiasi stanza della scuola... non posso permettere che continuino ad abusare del loro potere! Non ce la faccio più!"
"Ne verremo fuori, piccoletta. Non preoccuparti." disse Gabriele.
Mise il vecchio materasso in un baule e vi posò sopra una coperta, per poi richiuderlo. Mia madre, intanto, stava preparando qualcosa da mangiare che potevano portare per quel periodo. Nel bar della scuola c'era un frigo, avrebbero potuto tenere là le riserve. Penso che tutti gli studenti avessero pensato di prepararsi per quel periodo di rivoluzione.
Io avevo messo nello zaino di mia sorella qualche portafortuna, di quelli piccoli.
Ero certa che le avrebbero dato coraggio, perché erano delle nostre foto etichettate in Braille. Ero sicura che sarebbe stata contenta di portarle con sé.
Mentre preparavamo i bagagli si fece sera. Gabriele chiese un periodo di permesso che gli fu accordato, poi tornò da noi e ci disse che voleva farci compagnia per la sera, ammesso che a noi facesse piacere.
Strinsi la mano di Emma, per farle capire a cosa pensavo. Mi faceva piacere che lei e Gabriele passassero del tempo insieme, perché, anche se non so come, lui l'ha sempre tranquillizzata.
Infatti, come immaginavo, la cena fu splendida e allegra. Lui, con quel suo saper fare dello spirito, era riuscito a tenerci allegri.
Una volta finita la cena lui decise di tornare a casa. Doveva avvisare la sua famiglia del fatto che per un po' non ci sarebbe stato e venni a sapere che sua madre non era felice della rivolta, ma ne comprendeva la ragione. Disse che lui era davvero un bravo ragazzo, un buon amico, e ne era orgogliosa.
Quella notte mia sorella non riusciva a dormire e, se devo essere sincera, nemmeno io ci riuscivo.
"Irene" mi chiamò sottovoce Emma. "Non riesci a dormire, vero? Come non riesco a farlo io."
"Infatti non ci riesco e non so che cosa fare."
"Vuoi venire qui con me? Come quando eravamo bambine, Irene?" chiese Emma.
"Posso?" chiesi io a mia volta.
"Certo! E quando mi ricapiterà di abbracciarti?" mi chiese, facendomi spazio e allargando le braccia, come per accogliermi.
Mi sdraiai accanto a lei. Gli abbracci di mia sorella erano unici, perché sinceri. Erano di quelli che ti si stampano nella mente e non vanno più via, perché sono sempre stati la manifestazione d'affetto a cui lei tiene di più visto che è una sorta di "manifestazione completa". In un abbraccio senti tutto: il corpo dell'altra persona, il tuo cuore che batte forte, fondendosi con il suo, ed è come se, in un certo modo, lo completasse. Sono due cuori che si uniscono.
Ci addormentammo abbracciate, come quando eravamo bambine.
Fummo svegliate da un tocco leggero alla porta della stanza. Sentii mia sorella alzarsi. Forse credeva che dormissi, perché mi rimboccò le coperte, mi diede un bacio sulla fronte e si diresse verso la porta. Non aprii gli occhi, la sentivo soltanto muoversi da una parte all'altra.
Sapevo che se avessi aperto gli occhi lei si sarebbe sentita osservata e avrebbe capito che ero sveglia.
Sentii qualcuno entrare e riconobbi la voce di Gabriele, che mi vide e iniziò a parlare piano perché non voleva svegliarmi.
"Emma, dobbiamo andare. Se vuoi ti aspetto qui, ma dovresti cambiarti." le disse sottovoce.
Mia sorella lasciò la nostra stanza ed io sentii Gabriele sedersi accanto a me sul letto.
"Piccolina, so che sei sveglia" disse, sempre a bassa voce. "C'è qualcosa che devi dirmi?"
"La verità... è che io ho paura" gli dissi con un filo di voce.
"Paura di che?"
"Paura che qualcuno faccia stare ancora più male Emma. Io le voglio bene e non è giusto."
"Stai tranquilla. Tua sorella è molto forte. Vedrai che ce la farà."
Gabriele mi abbracciò stretta, accarezzando delicatamente il mio viso. Mi fidavo di lui, ma avevo davvero paura che quei professori facessero ancora soffrire Emma.
Mia sorella era molto paziente, eppure aveva perso le staffe.
Cosa sarebbe successo se quelle stesse persone fossero riuscite anche a farla rinunciare ai suoi propositi di lottare per la sua libertà? Cos'avrei fatto se l'avessero fatta arrendere?
"Ci sarò io per quello" mi disse Gabriele, come se fosse riuscito a leggermi dentro.
"Per cosa ci sarai tu?" gli chiesi, incerta.
"Per impedirle di crollare. Di arrendersi." mi rispose lui, semplicemente. "Stai tranquilla, d'accordo? Anzi: pensa a starci bene tu a scuola, perché lei sta già soffrendo tantissimo per colpa della sua. Sono certo che tu in quella scuola ci stia bene. Cerca di starci ancora meglio, Irene."
Ed io, in quel periodo, cercai di vivere la mia scuola nel modo migliore che mi era possibile. La vivevo appieno, perché pensavo a quanto mia sorella aveva sofferto e mi sentivo fortunata quando pensavo che gli insegnanti che avevo io non erano tanto cattivi e sciocchi. Vissi appieno la mia vita scolastica.
Il motivo? Lo facevo per lei, perché non volevo che lei dovesse preoccuparsi anche di come me la passavo io. Non era giusto.
Prima di andare via, però, Emma tornò indietro e mi strinse fortissimo a sé.
"Vedrai Irene, io starò bene!"
"Fallo per me!"
"Te lo prometto, Irene. Io sarò forte, per te."
Rimasi a guardare l'auto di Gabriele che si allontanava.
Mi venne da piangere, ma respinsi le lacrime, presi respiri profondi e sorrisi a mia sorella. Le urlai un: "Ti voglio bene" dal viale e rientrai in casa velocemente, stringendomi le braccia al petto poiché avevo un gran freddo. Marzo è un mese tremendo. Non si può mai sapere cosa bisogna aspettarsi da lui e dal tempo.
In quel momento il mio cuore era un po' come marzo. Ero felice che Emma avesse scelto di combattere ed ero felice che Gabriele fosse con lei, ma al contempo ero preoccupata per lei. Ero sicura che i professori avrebbero giocato sul suo senso di colpa e poi... mi sarebbe mancata, lo sapevo bene.

La rivoluzione di mia sorellaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora