IRENE
Nel mezzo della notte tutti gli studenti furono svegliati da delle grida di aiuto. Emma si riscosse e si alzò tanto in fretta da avere un senso di vertigini che la portò a ricadere sul suo materasso. Gabriele, dal canto suo, si alzò dal suo materasso e prese uno di quei bastoni per le tende presi proprio dalla scuola. Sperava di non dover ricorrere a quelli per dividere delle persone. Emma si alzò a sua volta, dopo aver recuperato un po' d'equilibrio, prese il suo bastone con una mano e ne afferrò uno di quelli tolti dalla tenda con la mano libera, per poi correre verso l'unico ingresso lasciato socchiuso per le emergenze. C'erano delle persone con dei manganelli alzati. Lei non poteva vederli, ma li sentiva battere l'uno contro l'altro e fu presa dal panico. I ragazzi scappavano da ogni parte, rifugiandosi nelle aule. I capi dei piccoli gruppi avevano una di quelle chiavi universali, quindi i gruppetti si chiusero nelle aule. Lei cercò disperatamente Mary, Gabriele e Denise, che erano tra i membri del suo gruppo. Era lei ad avere quella chiave e se la stringeva tra le dita, per paura che qualcuno potesse portargliela via in quel momento di panico. Uno dei poliziotti, avendo visto gli studenti disperdersi, abbassò il suo manganello e si avvicinò a lei, con fare gentile ed amichevole. Emma comprese che lui era a pochissima distanza da lei e ne ebbe paura.
"Dimmi una cosa... sai dove sono i tuoi compagni, cara?"
"No! Non so niente!" rispose lei, cercando di mantenere un tono tranquillo.
"Io invece credo che tu lo sappia perfettamente, ragazzina! Avanti, parla!"
"Le ho già detto che non lo so!" disse lei, con difficoltà.
Non era neanche una bugia, perché nel fuggi fuggi generale Emma non ci aveva capito niente ed era la prima volta che il pericolo di persone armate di bastoni le si presentava davanti con tanta chiarezza.
L'uomo posò a terra il suo manganello e iniziò a fissare intensamente mia sorella, terrorizzandola.
"Non posso usare le maniere forti con una ragazza cieca... però posso fare di meglio!"
Mise le mani intorno alla sua vita e le si avvicinò, nel tentativo di scavare nelle sue tasche o non so cosa, ma Gabriele, che era arrivato giusto in tempo, le si avvicinò.
"LASCIALA STARE!" gridò.
Fece in tempo a dire soltanto questo prima che un colpo risuonasse in tutta la scuola.
"GABRIELE!" gridò Emma, che aveva sentito il corpo cadere.
Dopo quell'urlo disperato, le porte delle aule iniziarono ad aprirsi e ne venne fuori una moltitudine di studenti, che videro mia sorella spingere via il poliziotto che non sapeva regolarsi.
"VIA! VIA!" gridava furente.
"Per chi mi hai preso, ragazzina? Per il tuo cane, che puoi scacciarmi quando ti pare, eh?" la prese in giro quel poliziotto che, purtroppo, vidi anch'io. "Smettila di fare la dura e vieni con me! Tu e i tuoi amici lascerete libera questa scuola oggi, in questo momento!"
"Non ce l'ho un cane, e tu non sei altro che un mostro!" gridò lei, con rabbia.
Continuò a spingerlo fino a quando i suoi colleghi non lo portarono via. Nemmeno loro ci erano andati giù leggeri. Al contrario: molti dei compagni, prima di riuscire a fuggire, avevano ricevuto qualche botta. Anche quell'ingresso, a quanto pareva, doveva essere sigillato e aperto solo per le occasioni di emergenza. I professori avevano denunciato l'occupazione e naturalmente la polizia non era solita indagare sul modo di insegnare di questi ultimi, ma dovevano solo cacciare una banda di studenti scalmanati. Forse non si sarebbero mai aspettati la presenza di una ragazza come mia sorella... una che reagisce male soltanto se le toccano le persone che ama.
"Reagisce male" sta per: "Prende a spintoni". Io non glielo vidi fare, ma fu Mary a vederla.
Quando i poliziotti se ne furono andati gli studenti meno gravi furono curati da quelli che non erano stati colpiti perché non erano in traiettoria. Mia sorella crollò accanto a Gabriele, che dopo aver preso un colpo alla spalla era caduto per terra di schiena, battendo la testa in un punto che probabilmente era molto delicato. Emma fu presa dal panico in quel momento. Cosa poteva fare per aiutarlo? Forse a breve gli sarebbe salita la febbre, almeno da quello che scriveva, e conoscendola so con certezza che aveva paura.
"Gabriele, ti prego, parlami!"
Gabriele, che per fortuna non aveva perso conoscenza, si sforzò per parlare con lei.
"Io starò bene, piccola. Non ti preoccupare."
Parlava con voce affannata e da questo mia sorella immaginò che gli stesse salendo la febbre. Non c'era momento peggiore per ammalarsi. Non potevano rivolgersi a nessuno. Non potevano far entrare nessuno.
"Andrà tutto bene, tesoro. Io starò bene."
Anche in quel caso Gabriele mi sorprese un bel po'. Invece di preoccuparsi del suo stato di salute, in quel momento, si preoccupava del fatto che lei non avesse paura per lui, perché era già a terra per altre cose.
Io ricevetti la notizia il giorno seguente.
In quel periodo mia madre mi accompagnava a scuola e voleva sincerarsi del fatto che stessi bene. Era dura anche per lei, nonostante cercasse di non darlo a vedere. Emma cercava di alleviare un po' il suo dolore mettendosi in contatto con lei tutti i giorni.
Quel giorno, però, ci toccò un incontro molto spiacevole. La professoressa di inglese di mia sorella fece cenno a mia madre di avvicinarsi e lei strinse la mia mano nella sua, sospirando.
"Signora, spero che lei abbia educato la bambina in modo migliore rispetto ai risultati che ha ottenuto con l'altra figlia."
"L'altra figlia si chiama Emma e in genere è una ragazza molto educata... in più... se lei le ha offerto più di un'occasione di scontro, è ovvio che si sia coalizzata con gli altri! Non venga a raccontarmi storie assurde!"
"Per fortuna ieri notte la polizia ha fatto la sua prima incursione... e spero l'unica... forse oggi potrò ritornare a lavorare!" esclamò la donna.
"Che vuol dire, professoressa?"
"Che la polizia ne avrà date talmente tante a quegli stupidi ragazzini ribelli che ne avranno per un bel po'" rispose la donna, "sono limitati ed è questa la fine che meritano..."
In quel momento ebbi paura per mia sorella. E se le avessero fatto qualcosa? Non potevo credere a quello che aveva detto quella donna... non era giusto!
Mia madre mi abbracciò forte, accarezzando la mia schiena, con delicatezza.
"Sia gentile... mi lasci passare. Sa, dovrei controllare se mia figlia è ancora tutta intera!" disse mia madre. "Può spostarsi, per favore? Sia gentile..." Lo ripeté di proposito, in modo sarcastico.
"Mamma, ti prego... fammi venire con te... se qualcuno fa qualcosa a mia sorella... io... io..." balbettai, con gli occhi pieni di lacrime. "Per favore, portami con te!"
"Piccolina, è pericoloso!" mi disse mia madre.
"Starò attaccata al tuo braccio, te lo giuro, ma portami con te!"
"Va bene, amore mio. Va bene."
Arrivammo a scuola. Io mi misi in contatto con l'amica di mia sorella, che venne ad aprirci.
"Tesoro! Ma che ci fai qui?"
"Mia sorella... lei sta bene, vero? Non le hanno fatto niente!" dissi speranzosa.
"Certo, Emma sta benissimo... fisicamente..."
"Fisicamente? Che significa?"
"Vedete... si tratta di Gabriele! Quei mostri l'hanno colpito, lui è caduto e ha battuto la testa sul pavimento!"
Sentii le gambe cedere e Mary mi afferrò per le braccia, per sorreggermi.
"Tesoro, io lavoro in ospedale! Portami da lui, forse posso curarlo!" disse.
Mary ci accompagnò e ci trovammo ad assistere ad una scena tenerissima. C'era mia sorella, china su Gabriele. Singhiozzava disperatamente e gli frizionava la fronte con un fazzoletto bagnato. Forse lui aveva detto che si sentiva la febbre o se n'era accorta lei. In ogni caso aveva paura e lui lo sapeva bene. Stava cercando di calmarla, non!stante le sue forze avessero ben poco da permettergli.
"Ti prego, non lasciarmi da sola!" gli disse mia sorella tra le lacrime.
"Non preoccuparti, piccola!" le disse lui, con molta dolcezza. "Io non vado da nessuna parte!"
"Ti fa male?"
"Solo un po', ma mi passerà."
"Scusa... è solo colpa mia!"
Gabriele alzò leggermente la mano e accarezzò la sua guancia.
"No, non è colpa tua. È colpa di un sistema che vede il male dove non c'è e non vede dove c'è." le disse con un sorriso gentile.
Mia sorella continuò a singhiozzare e lui le prese il viso tra le mani, accarezzandolo con delicatezza.
Gabriele le voleva bene. Se cercava di fare tutto questo voleva dire che ci teneva molto.
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La rivoluzione di mia sorella
Dla nastolatkówIrene, una ragazzina di tredici anni, per il suo esame di terza media sceglie un soggetto insolito... tanto insolito da portar i professori a convocare la sua famiglia. In particolare è richiesta la presenza della sorella maggiore: Emma, che è il pe...