IRENE
Passò un'altra settimana. Anche quella fu una settimana piuttosto tranquilla, senza improvvise entrate della polizia. Chi cercava continuamente di entrare era la preside, che si definiva l'ultima speranza per i professori, ma gli studenti non la lasciavano entrare. Mia sorella sembrava star meglio. Anzi: la vedevo un po' tra le nuvole, ma non le dissi niente.
Quella domenica mattina, giorno in cui avremmo dovuto essere liberi, eravamo ancora chiusi là dentro, ma le sentinelle sostenevano che ci attendeva una bella sorpresa.
Io, Gabriele, Chiara e mia sorella corremmo all'ingresso e vi fu un'esplosione di grida di gioia.
Non potevo credere che ci fossero i nostri compagni del corso di recitazione! Eravamo letteralmente una tribù, ma la presenza di altre persone ci avrebbe fatto comodo. Più eravamo, più saremmo stati sicuri del fatto che nessuno avrebbe provato un'altra volta a farci del male.
"Non ci posso credere!" riuscì a dire mia sorella, con un filo di voce, mentre abbracciava forte uno a uno i nostri numerosi compagni di "classe". Anch'io ero più che sorpresa. Serena, la ragazza che ho già nominato, mi sollevò letteralmente da terra e mi strinse forte al suo petto, per darmi la conferma che non stavo sognando.
"Non è un sogno! Gli amici si vedono nel momento del bisogno, no?" disse, facendomi girare in aria.
"Wow! Non è che qualcuno potrebbe fare anche la mia parte nel "si vedono"?" chiese mia sorella.
"Non cambierai mai, vero?" le chiese Gabriele. "A volte mi viene da chiedermi se tu non lo faccia apposta, cara!"
Ero contenta di averli con me e lo stesso si poteva dire per mia sorella. Ero sicura di non averla mai vista tanto felice da quando era iniziato il quinto anno di scuola. Forse gli unici momenti in cui la vedevo tanto contenta erano quelli che trascorrevamo al teatro, quello dove studiavamo.
Purtroppo anche quella era finita ed era stato un doro colpo, tanto per me quanto per lei... ma per fortuna i nostri amici non ci avevano abbandonate, in modo particolare Gabriele, che ci stava aiutando in tutti i modi anche in quella circostanza tanto difficile.
Adesso erano loro ad entrare e uscire da scuola. Passavano inosservati, perché arrivavano a diversi punti di ristorazione, acquistavano cose diverse e si presentavano ad orari differenti a scuola. In più non uscivano tutti nella stessa giornata.
Le sentinelle continuavano a sorvegliare l'unico ingresso aperto e quelli chiusi. I turni cambiavano ogni giorno e stavolta toccava al nostro gruppo sorvegliare l'unico ingresso rimasto aperto.
Alla fine, dopo tanta insistenza da parte di tutti noi, in modo particolare di Gabriele, Alex si era lasciato convincere a permettere anche ad Emma di fare da guardia.
Lei si era rimessa in forze nel giro di pochi giorni dall'ultimo incidente e si era messa proprio davanti alla porta, con le braccia larghe e il suo bastone stretto in una mano, mentre nell'altra teneva un altro tipo di bastone: quello delle tende. Li teneva davanti al corpo, ma non li alzava mai da terra, perché non voleva che qualche poliziotto di passaggio potesse vederli.
Io ero subito dietro di lei, che aveva messo la sua coperta piegata sul pavimento. Voleva che restassi seduta a terra, dietro di lei, ma ovviamente sul morbido, perché aveva il terrore che, se i poliziotti o dei professori fossero entrati, mi vedessero. In ogni caso io mi tenevo pronta, stringendo altri due bastoni tra le mani. Avevo paura, ma volevo restare con mia sorella.
La guardavo dal basso verso l'alto. Avevamo lo stesso tipo di capelli, e altrettanto Gabriele, che si divertiva a scompigliarceli, solo che mia sorella aveva i ricci più stretti di quanto ce li avessimo io e lui, e il mio amico si divertiva con lei in quel senso, e la faceva ridere. Quella somiglianza tra di noi, in quel momento, mi fece pensare ad una cosa che non c'entrava con l'aspetto fisico, ma aveva a che fare con una caratteristica fondamentale per noi in quel periodo. Lui, Gabriele, sosteneva anche che nei nostri occhi leggeva la stessa determinazione. Ero contenta di somigliare a lei. Mia sorella è sempre statail mio idolo. È... la mia eroin, come io sono la sua.
Quel giorno, poi, lei si comportò come un vero capo. Non lo fece per primeggiare su qualcuno. Semplicemente accadde qualcosa che soltanto lei avrebbe saputo perfettamente come affrontare.
Io appoggiai la testa sul palmo della mano destra. Non riuscivo a restare sveglia, per quanto mi sforzassi. Mi lasciai sfuggire un verso di stanchezza. Lei si voltò verso di me e mi disse a bassa voce: "Hai proprio ragione, Irene. Anch'io sono molto stanca, ma tu vai pure a reposarti... resterò io qui."
Aveva appena finito di pronunciare quella frase che la sentii trattenere il respiro e la vidi voltare di poco la testa, come se fosse in ascolto. Doveva aver sentito dei passi. Sperò di cuore che il gesto avventato che stava per compiere non le creasse troppi guai. Alzò di pochi centimetri il suo bastone e sfiorò qualcosa di duro, che produsse un piccolo rumore quando sfiorò il bastone. Poi ci fu il rumore di una risata trattenuta ed io vidi degli stivali dalla mia postazione. Mia sorella si voltò nella mia direzione, si alzò dalla sedia cercando di non far rumore e mi prese una mano.
"Sono loro, Irene" sussurrò mettendomi velocemente tra le mani la chiave che custodiva. Corse verso le postazioni degli studenti, sbatté il suo bastone contro quello delle tende e gridò: "TUTTI NELLE AULE, PRESTO!" Alex le venne incontro e chiese: "Che cosa è successo, fiore delicato? Che cos'hai da gridare tanto?"
"Sono loro! Sono arrivati!"
Alex stava per prendere le altre armi e correre verso l'ingresso, ma lei gli si parò davanti, impedendogli di continuare.
"Non fare mosse avventate! Va' dentro, Alex!"
"Credi di sapere meglio di me cosa è meglio fare?"
"Io non credo nulla, ma ti conosco: inizierai a colpire a destra e a manca e darai loro motivo di sbatterti dentro! Loro sono tanti e sarebbero tutti contro di noi! Se vado io, non potranno farmi niente... anche perché creerebbe loro non pochi problemi attaccare chi ha più difficoltà nel difendersi!"
"Ma ti hanno già fatto del male! Hai ancora quel bernoccolo sulla fronte, Emma!"
"Il professore di biologia, non gli agenti! Ti assicuro che loro hanno a che fare con la legge ogni giorno! Non oseranno mettermi le mani addosso, e giuro che se dovessero farlo io sarò pronta a ricambiarli, ma tu non devi metterti in pericolo! Va' dentro e fa' il gioco del silenzio, ti prego, Alex..."
"Non ti lascerò andare da sola ad affrontarli!"
A quel punto lei lo spinse in un'aula che era di fronte a loro e chiuse la porta, dopo che mi ci fui infilata io. Le cose che accaddero quella notte me le raccontò la preside il giorno seguente.
O meglio: non le raccontò a me, ma all'intera scolaresca. Mia sorella tenne soltanto il suo bastone e s'infilò in una tasca una piccola scheggia di vetro. A cena era caduto un bicchiere e non avevamo avuto il tempo di pulire. Lei non voleva ricorrere a certi mezzi, ma se fosse stato necessario avrebbe procurato ai poliziotti e ai professori solo qualche graffio.
Si nascose, perché voleva far credere che la scuola fosse deserta. Al momento opportuno avrebbe fatto in modo da far uscire tutti gli studenti, in modo che le persone presenti si ritrovassero accerchiate. Cercò di contarle, ma era piuttosto difficile poiché riusciva solo a percepire il suono dei loro respiri agitati.
Magari, per il momento, se l'avessero notata, avrebbe fatto credere che gli altri si erano arresi e che era rimasta l'unica ancora rinchiusa in quell'edificio. Era certa del fatto che l'effetto sorpresa le avrebbe giovato.
Cercò di ammassare tutti i materassi da una parte, lasciando solo il suo al solito posto, per dare l'idea che gli studenti se ne fossero andati, e si nascose dietro il grosso mucchio di materassi. In quel modo sarebbe di certo passata inosservata, e infatti per un certo lasso di tempo la cosa sembrò funzionare. Lasciò che i poliziotti e gli insegnanti entrassero nella scuola, abbassò la testa e rimase in ascolto.
"Sembra che finalmente si siano decisi ad arrendersi!" disse la professoressa di inglese. "Devono aver capito che questa faccenda non li porterà a nulla, finalmente... e quando torneremo alla cattedra li conceremo per le feste! Non potranno impedirci di metterli in riga... o sbaglio... signori agenti?"
"Assolutamente. Tutti gli studenti coinvolti in questa follia saranno puniti!"
"Per esempio... potremmo far rientrare in vigore... le pene corporali."
Questa volta fu l'insegnante di biologia. Naturalmente la preside non mi riportò questo discorso, perché non le sarebbe convenuto farlo.
Ci pensò Emma.
"Credo proprio che ci divertiremo a fargliela pagare per tutto quello che ci hanno fatto passare! Se questa storia fosse stata avanti ancora un po' non avremmo potuto prendere lo stipendio." esclamò l'insegnante di inglese. Poi entrarono i professori che ci avevano aiutati fino a quel momento. Fecero finta di niente. Presero parte alla conversazione, ma lo fecero perché mia sorella, sapendo che gli altri professori non sapevano delle loro idee, fece loro segno di simulare. Sperò che soltanto loro l'avessero vista fare quel gesto. I professori si avvicinarono alla montagna di materassi e iniziarono a sollevarne alcuni. Emma cercò di appiattirsi sul pavimento mentre loro tiravano su i materassi per portarli via, essendo convinti di aver vinto. Emma iniziò a strisciare verso le scale, sperando di riuscire a non far rumore. Raggiunse una delle aule, allungò la mano destra verso la porta e tirò fuori la chiave da sotto di essa. Si tirò su, cercando di non far rumore e spalancò la porta.
"Potete uscire. Cercate di non far rumore." sussurrò. "Stanno spostando i nostri materassi perché pensano che ce ne siamo andati!"
I ragazzi presero delle coperte bianche per nascondersi, come il mantello di Harry Potter. Tra queste persone c'erano i nostri amici, anche Gabriele.
"Ecco. I materassi sono qui, davanti a te. Aspetta che loro si spostino per prenderne altri e portali via... li chiuderemo in un'aula."
Fu proprio quello che fecero. Chiusero tutti i materassi che trovavano in un'unica classe.
I professori si stupirono nel non trovare più i materassi. Ma non fu quella la cosa che li sorprese di più.
"Professoressa" sussurrò mia sorella, able spalle della siciliana. Aveva un secchio colmo d'acqua in mano.
La donna non fece in tempo a voltarsi che un po' di quell'acqua fredda le fu versata addosso.
"Non si dicono cose tanto cattive sugli studenti!" continuò mia sorella, da sotto il suo "mantello". Il buio la favoriva, perché la donna non la vedeva, mentre lei non aveva nessun bisogno di vederla per fare quello che voleva. Niente di troppo brutto, ovviamente, solo un pochino d'acqua addosso.
Aveva mandato via tutti. Non voleva certo che finissero nei guai anche loro.
"Ma che cosa significa questo?" domandò un'altra voce: il professore di biologia. Lei si voltò leggermente verso sinistra, spinse un po' il secchio e... bagnò anche lui.
"Sarà meglio andarcene!" sussurrò la professoressa. "Ma tanto qui c'è la polizia!"
Erano infastiditi dalla libertà che lei si era presa, mentre io ne ero soddisfatta. Non pensavo bastasse tanto poco per allontanarli. Con la polizia, però, fu un po' più complicato.
"Allora, ragazzina? Ci saranno sicuramente altri tra i tuoi compagni. È impossibile che siano stati tanto stupidi da lasciarti da sola qui dentro" disse un poliziotto che, secondo lei, a giudicare dalla voce, poteva sovrastarla almeno di mezzo metro visto che lei era inginocchiata per terra e si stringeva il secchio vuoto al petto.
"Mi dispiace, non ne so nulla" rispose, mettendo in quelle parole la più assoluta tranquillità. Il poliziotto che l'altra volta le aveva messo le mani addosso scoppiò in una fragorosa risata.
"Hanno lasciato qui da sola una piccola cieca?"
"Non lo so. Non le viene in mente che è stata proprio questa "piccola cieca" come dice lei, a bagnare completamente i suoi insegnanti? Forse non sono tanto inutile!"
"Allora penso di potertele anche dare se ti comporti male!"
Detto questo l'uomo alzò il manganello, ma lei, neanche l'avesse visto, lo anticipò e lo disarmò, ma senza fargli neanche un leggero graffio.
"Ah no, eh! Neanche per sogno!" esclamò lei, sbattendo il suo bastone bianco contro il manganello del poliziotto. Lo fece cadere, glielo tolse e lo infilò nel secchio. "Questo lo tengo io! E sia gentile: quando tornerà a farmi visita, cerchi di venire disarmato. Sarebbe stato scortese da parte sua aggredirmi poiché io come uniche armi ho un secchio per i gavettoni e un bastone con il quale dovrei solo camminare!"
"E va bene, ragazzina. Se la metti in questo modo, ce ne andremo... ma non cantare vittoria troppo presto, chiaro?"
"Chiarissimo." sussurrò lei, mentre i poliziotti si allontanavano velocemente. Quando fu sicura che i poliziotti se ne fossero andati, toccò le porte delle classi-refettorio, usate per nascondersi, e disse: "Venite! Venite fuori!"
Gli studenti si riversarono in corridoio e corsero verso l'ingresso. Uno di loro, un ragazzo del quale non ricordo il nome, arrivò fino all'ingresso per guardare fuori.
"Se ne sono andati! Se ne sono andati!" esclamò felice. "Ce l'hai fatta, Emma..."
"La sai una cosa, ragazzina? Avevi ragione" le disse Alex, "io probabilmente avrei reagito subito in maniera violenta e loro avrebbero avuto una scusa per farmi del male."
"Quella preferirei non avercela!" disse mia sorella. "Ma in ogni caso... è la prima volta che mi sento davvero utile in questo periodo, credimi! E scusami per averti dato uno spintone... ma anche tu sei un amico e non volevo che loro potessero in qualche modo farti del male!"
Tutti, tra studenti ed esterni, ci stringemmo intorno a lei, che si lasciava abbracciare, ma non voleva che alcuni dei ragazzi, eccessivamente galvanizzati da quella piccola vittoria, la chiamassero "capo". Io, dal canto mio, ero sempre più orgogliosa della mia sorella maggiore. Infatti, appena le acque si furono un po' calmate, le saltai al collo.
"Ti voglio bene!" le dissi.
"Anch'io, tesoro. Ti voglio tanto bene" disse lei.
"Sei stata brava, piccola!"
Lei si girò di scatto verso Gabriele e, con un sorriso enorme, disse: "Certo che anche tu hai il vizio di cogliermi alla sprovvista, eh?"
STAI LEGGENDO
La rivoluzione di mia sorella
Teen FictionIrene, una ragazzina di tredici anni, per il suo esame di terza media sceglie un soggetto insolito... tanto insolito da portar i professori a convocare la sua famiglia. In particolare è richiesta la presenza della sorella maggiore: Emma, che è il pe...