IRENE
Mia sorell si risvegliò verso le otto di sera.
Gabriele non si era mosso dal suo capezzale, e io avevo fatto esattamente la stessa cosa. Lui era preoccupato e piuttosto stanco, ma rimase lo stesso vicino a lei, come può fare soltanto un bravo migliore amico: un amico che si rispetti.
Quando lei aprì gli occhi, lui le stringeva una mano, mentre io tenevo l'altra.
Cercò di alzare leggermente la testa e tirarsi su con il busto, ma Gabriele la bloccò mettendo un braccio davanti al suo corpo, con molta delicatezza, e la fece rimettere giù.
"Piano, Speedy Gonzales!" le disse. "Non devi alzarti così in fretta!"
Lei abbozzò una risata talmente accennata che nonostante fossimo tanto vicini facemmo entrambi fatica a sentirla.
"Gabriele... io non ricordo più niente, ma... cos'è successo?"
"Hai solo perso l'equilibrio a causa di un idiota." rispose lui, molto semplicemente. "Ora però te ne dovresti stare qui buona buona e riposarti, che ti è salito un bel febbrone da cavallo... ecco, così. Metti la testa un po' meglio sul cuscino, ti sarà più comodo."
"Sei stanco?" gli domandò lei.
"Un pochino, ma non potevo di certo lasciarti da sola in queste condizioni! Aspetta: ora ti porto un po' più dentro. Qui sei all'entrata e saresti troppo esposta!"
Gabriele spostò il materasso con sopra mia sorella, dicendole però di tenersi saldamente. Non capivo come facesse a trasportarla con tanto di materasso, ma lasciò cadere l'oggetto su cui lei era distesa all'entrata di una delle aule-refettorio.
"Siamo l'una il riflesso dell'altro, lo sai?" le disse Gabriele. "Io ho un bernoccolo dietro la testa e tu ce l'hai proprio in mezzo alla fronte..."
"Come l'occhio del ciclope Polifemo? Non sarebbe nemmeno strano... in più nemmeno lui poteva vedere nulla" scherzò lei.
"Però sei diversa dal ciclope per molte cose." le disse lui. "Prima di tutto sei molto più piccola, specialmente di statura... non mi risulta che tu abbia mai mangiato qualcuno dopo averlo sbattuto su delle pietre, sei molto più carina di un ciclope, hai una vocina dolce e sottile... e poi di occhi ne hai due, e anche molto belli."
"In realtà no."
"Che cosa vuoi dire, Emma?"
"Voglio dire... che io ho un occhio finto..."
"Certo, ma le orbite ce le hai tutt'e due vere, o sbaglio? Comunque cerca di stare un po' tranquilla e riposati, okay?"
"Ma... ma non c'è nessuno alvingresso..."
"Ci vado io, sorellina!" dissi dirigendomi verso l'unico ingresso aperto.
Non so che cosa accadde dopo tra loro due. So soltanto che lei, vicino al suo amico del cuore, anche se non di una vita, era tranquilla.
Quando scese la notte alcuni studenti vennero a dare il cambio a me e agli altri del mio gruppo di quel giorno. Io andai da mia sorella e mi sdraiai vicino a lei. Aveva le mani sulla testa e le sue guance erano rosse. Quel bernoccolo doveva farle davvero male, perché vidi una smorfia di dolore dipinta sul suo viso. Io mi sdraiai e la chiamai: "Emma, ti senti ancora male?" le chiesi piano.
"Un po', ma non preoccuparti... mi passerà. Ho solo battuto la testa, e neanche troppo forte. A proposito: scusa se ti sveglierò ogni due ore... devo mettere la sveglia... sai, dopo il colpo che ho preso..."
"Di questo, se non ti dispiace, mi occuperò io" intervenne Gabriele. "Tanto non riesco a dormire per il mio, di bernoccolo, cosa vuoi che mi costi tenerti sveglia per il tuo?"
"Ma non stai facendo che occuparti di me. Dovrai pur prenderti un po' di tempo per te stesso, non ti pare?" gli chiese Emma, sinceramente preoccupata. Era anche leggermente in imbarazzo, per come la vedevo, ma cercò di non darlo ad intendere anche con la sua voce.
"Te l'ho detto: non mi costa proprio niente!"
Lei gli sorrise debolmente. Io presi la mano sinistra di mia sorella, che era la più vicina, e la strinsi forte nella mia.
"Ce la fai a tirarti su?" le chiese lui. "Dovremmo ritrovarci tutti per la cena e credo che ti farà bene mettere qualcosa sotto i denti."
"Certo" rispose lei, spingendo con le mani per tirarsi su a sedere e cercando di alzarsi completamente. Vedendo che era in difficoltà Gabriele le si fece più vicino.
"Aspetta, vieni. Mettiti sulle ginocchia, ti tiro su io."
Lei gli tese le braccia, si posizionò sulle ginocchia e lui le prese le mani e l'aiutò a mettersi in piedi. Lei era un po' barcollante, quindi lui la fece voltare di spalle e la tenne in piedi, aiutandola a dirigersi verso l'interno dell'aula-refettorio. Lei era sempre tremante, quindi lui l'accompagnò fino alla sedia.
Si mise seduto accanto a lei e le circondò le spalle con un braccio, come se volesse farle sempre sentire la sua presenza.
"Sei gentile... ma perché fai tutto questo per me?" gli chiese timidamente. Non l'avevo mai vista reagire in quel modo tanto marcato con il nostro amico del cuore.
"È semplice: perché ti voglio molto bene." le rispose lui, stringendole la spalla sinistra.
Lei gli sorrise nuovamente e allungò a sua volta il braccio destro, per abbracciarlo alla stessa maniera, ma era incerta. Lui fece strisciare la sedia più vicino a lei e le disse: "Stai tranquilla, non mordo, piccolo canarino. Metti pure la mano nella posizione in cui l'ho messa io, se ti è più comodo..."
"Canarino... coniglietto... ma per chi mi hai presa?" gli chiese lei, fingendosi offesa dall'ennesimo nomignolo. Lui comprese che lei scherzava e, come sempre, le rispose a tono: "Ti ho presa per... un tenero animaletto!"
"Perché?"
"Perché per quanto mi sforzi non riesco a fregarti!"
"Fregarmi? Hai detto che hai intenzione di fregarmi, per caso, Gabriele? Devo iniziare a pensare di aver sbagliato a fidarmi di te?"
"Tutto dipende da come interpreti quello che dico e faccio, per te o riguardo te."
"Ma perché devi essere così tanto enigmatico?" gli chiese agitata.
"Non ti preoccupare di questo. A volte sono le persone più enigmatiche quelle che puoi considerare le più affidabili!"
Corsi a sedermi vicino a loro e passai un piatto a mia sorella per poi battervi un dito per farle capire dov'era esattamente. Lei spostò la mano dalle spalle di Gabriele e la tese nella direzione da cui veniva il suono della ceramica.
Passai un piatto anche a lui e aspettammo che ci raggiungessero tutti gli altri.
Oddio, naturalmente non tutta la scolaresca. Non ce l'avremmo mai fatta ad entrare tutti in un'unica aula, ma più che altro aspettavamo i membri del nostro piccolo gruppo, che ci raggiunsero dopo qualche minuto.
Parlammo del più e del meno durante la cena, sperando che non ci accadesse qualcos'altro, perché non eravamo certi di sopportare un'altra incursione della polizia. Eravamo già abbastanza scossi per conto nostro... senza che loro si presentassero là un'altra volta.
"Irene... a che cosa stai pensando ora?" mi chiese Emma.
"Niente di particolare. Io pensavo... a... al fatto che... che spero che questa storia finisca presto!"
"Tesoro, se vuoi tornare a casa basta che tu me lo dica." disse Gabriele.
"No, per nessun motivo! Io non esco da qui prima che ne esca mia sorella!" esclamai sicura.
"Lo sai che sei la mia piccola eroina, Irene?"
"Dici davvero?"
"Non sono mai stata tanto sincera in tutta la mia vita..."
Terminata la cena sparecchiammo velocemente i banchi. Mia sorella tentò di lavare i piatti, ma rischiò di farseli sfuggire di mano parecchie volte.
Subito dopo ci mettemmo a letto e vidi mia sorella avvolgersi nella grande coperta.
Durante la notte sentii Emma alzarsi lentamente. Camminava in punta di piedi, cercando di non fare rumore. Io feci per chiederle cosa stesse facendo, ma lei mi rispose soltanto: "Tranquilla sorellina, vorrei solo prendere un bicchiere d'acqua." Non aveva il suo bastone e le risultava un po' difficile muoversi, quindi teneva sempre le braccia tese, si muoveva quasi senza toccare terra e cercava di evitare i vari materassi sparsi sul pavimento. Improvvisamente, però, un suono di coperte spostate mi riscosse e vidi Gabriele che reggeva Emma per il busto visto che lei aveva perso l'equilibrio e gli stava praticamente cadendo addosso.
"Potevi dirmelo che avevi intenzione di fare una perlustrazione notturna della scuola, ti avrei accompagnata con piacere." disse sottovoce.
"Non volevo fare un giro di perlustrazione."
"Oh, è vero: hai detto di non voler ricordare questa scuola!"
"Esatto... l'ho detto" rispose.
"Scherzi a parte: che cosa stavi cercando?"
"Volevo solo un po' d'acqua. Non volevo finirti addosso, davvero, io..."
"Lo so che non volevi, Emma. Dai, vieni: ci penso io a prenderti un po' d'acqua... anche perché hai le guance rosse e potrebbe esserti di nuovo salita la febbre. Vieni."
La prese per mano e la portò verso il frigo del bar. Queste ultime cose le so perché lei me le ha raccontate. Lei non voleva, ma lui le versò persino l'acqua.
"Wow, sei un vero cavaliere!"
"Esagerata come sempre tu, eh?"
"Ma neanche per sogno! Scommetto che Serena la porti addirittura in braccio, da una parte all'altra" esclamò Emma, ripensando alla nostra amica, nonché ragazza di Gabriele. Era una ragazza stupenda: molto sensibile, ma anche carismatica, travolgente, e irruenta quando s'infuriava per qualche ragione.
"No, affatto... tendiamo più che altro a scherzare, fare smorfie e guardarci in faccia fino a quando non riusciamo più a trattenere le risate... dovresti provare, sai?"
"A guardare le smorfie?" chiese Emma, ironica.
"No, guardarle magari no perché sarebbe un po' complicato, come dici sempre tu, ma puoi farle!"
"Oppure... non dico ora, perché è tardi, ma domani potresti farmi un favore enorme?" domandò mia sorella.
"Certo. Di che si tratta?"
"Potresti chiudere gli occhi e metterti di fronte a me? Magari mi verrà da ridere anche simulando uno sguardo, visto che non ho l'originale..."
"Originale? Ma da dove diavolo le prendi certe espressioni, si può sapere?" le chiese stupito.
"Non le prendo da nessuna parte: mi vengono in mente così, occasionalmente!" rispose lei.
"Ah, bene! Allora non sei tanto aliena come vuoi farmi credere, Emma!"
Alla parola "aliena" lei cambiò immediatamente espressione e Gabriele comprese di aver toccato un tasto dolente, che tra l'altro questo posto non faceva che toccare, facendola sentire sul serio un'aliena.
"Scusami... non volevo di certo farti pensare a quello." le disse, facendole alzare il viso, che lei aveva prontamente abbassato perché lui non potesse accorgersi del suo cambiamento.
"Lo so... è che anche il fatto di dover restare qui, a sorvegliare la scuola, me lo fa ricordare costantemente... ricordo tutti i giorni il motivo per cui ho preso parte a questa cosa e pensarci mi fa soffrire... sai, io sono sempre stata una di quelle studentesse che vuole molto bene ai suoi insegnanti, che porta loro rispetto e crede nelle loro capacità d'insegnamento."
"E sei rimasta delusa dalla maggior parte di loro. A volte capita che le nostre convinzioni finiscano per crollare, sai? A me è successo esattamente nello stesso modo... anch'io credevo molto nella scuola, tu lo sai, però... dopo aver visto a che punto sei arrivata tu non credo più in quest'istituzione sbagliata. Mi dispiace tanto, sai? Non meriti di soffrire tanto."
"Io ci credevo, Gabriele! Credevo davvero di poter uscire da qui e imparare qualcosa, ma escludendo alcuni casi... da molti di loro ho solo imparato che non ci si può fidare di chi si sente un gradino sopra di te, perché prima o poi finirà per farti stare male, per farti sentire sbagliato... fuori posto... e tutto questo... è... orribile!"
Scoppiò a piangere. Lui comprese che lei non ce la faceva più. Stringendosela al petto, forse poteva sentire il forte calore della sua febbre, ma non gliene importava niente. Continuò a stringerla, a coccolarle la testa e a lasciare che si sfogasse, che si togliesse di dosso quel peso.
"Shhh, va tutto bene, tranquilla. Non dare soddisfazione a chi ti fa del male, tesoro. È importante che tu sia forte e stia tranquilla. Ascolta: se ti vedono nello stato in cui sei adesso capiranno che non ne puoi più, ti faranno pressioni e finiranno col farti cedere, lo capisci? Mostrati forte, come hai fatto con quella professoressa bionda... la scciliana. Fallo per me... per il tuo fratello del cuore. O almeno fallo per te... Fallo per te!"
"Ti voglio bene!" gli disse lei, sempre tra i singhiozzi.
"Anch'io te ne voglio tanto... sorellina del cuore.. e sono fiero di te e di quello che stai facendo per far valere le tue opinioni. Ma soprattutto sono felice che tu ti fidi tanto di me da lasciarti accompagnare in questa lotta costante. So che intorno a te c'è un muro... anzi, c'è una muraglia di difesa, ma questo grande impedimento non l'ho percepito."
"Perché i guardiani della mia fortezza hanno capito che posso fidarmi!"
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La rivoluzione di mia sorella
Подростковая литератураIrene, una ragazzina di tredici anni, per il suo esame di terza media sceglie un soggetto insolito... tanto insolito da portar i professori a convocare la sua famiglia. In particolare è richiesta la presenza della sorella maggiore: Emma, che è il pe...