Capitolo 38

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"Non se ne parla, Greta. Non permetterò che tu rimanga sola con quel bastardo. Non ho idea di dove si trovi e forse è meglio così, ma se lo sapessi non te lo direi comunque."
Mi risponde sprezzante Harry.
Io comprendo le sue ragioni, ma ho bisogno che lui comprenda le mie. Cerco di spiegargli che ho bisogno di capire perché ha fatto quel che ha fatto, che non avrò pace finché non avrò delle risposte.
I miei tentativi si rivelano vani.
Poco più tardi, Alex passa in camera a trascorrere un po' di tempo insieme ed Harry ne approfitta per andare a prendere un caffè.
"Devi portarmi da Marcus, Alex." Affermo appena Harry esce dalla camera.
"Non se ne parla minimamente, Greta. Non lo farò. Ti ha quasi uccisa. Non lascerò che ti faccia ancora del male."
"Non me ne farà. Non mi torcerà nemmeno un capello, te lo garantisco."
"Ah si?! E chi lo fermerà? Tu?! A malapena hai la forza di reggerti in piedi... "
"Alex... ti prego." Dico in tono di supplica.
Dopo un bel po' finalmente cede. Mi dice che è stato spostato e che non conosce la nuova collocazione, ma che lo scoprirà. All'incirca mezz'ora dopo è, infatti, di ritorno con una sedia a rotelle.
"Se dobbiamo farlo, lo facciamo alle mie condizioni. O così o niente."
Accondiscendo alle sue volontà soltanto perché la conosco bene e so che se dice che altrimenti non mi ci porterà, non lo farà.

Marcus si trova in una stanza alla fine di un lungo corridoio. La stanza è delimitata da una porta a vetri in modo tale da essere tenuto d'occhio 24 ore su 24. È circondato dai monitor che però sono spenti.
"Si sta preparando per lasciare l'ospedale. Lo hanno dimesso oggi." Mi dice Alex.
Lui alza gli occhi. Non leva lo sguardo da un'altra parte quando mi vede, anzi.
È un vero shock per me. Lo vedo con occhi diversi. Credevo di conoscerlo... ma mi sbagliavo.
Indossa gli stessi vestiti di quel giorno. È seduto sul lato del letto.
Una gamba è imprigionata in un’ingessatura blu. Apro la porta, entro e me la chiudo alle spalle.

Non so cosa dire. Mi limito a fissarlo con gli occhi sgranati. Mi stringo le braccia intorno al corpo cercando di tenere lontano il freddo che mi ha invasa anche se so che è uno sforzo inutile, perché è un freddo che viene da dentro. Mi sento tradita.
"Perché? Perché l'hai fatto? Dicevi di essere mio amico e invece mi hai tradito come il più vile essere umano. Non posso definirti un animale perché provo rispetto per loro; non posso dire lo stesso di te, però. Dimmi perché." Dico in tono rabbioso.
"Ero tuo amico, è vero. Ma Luca è... era un fratello. E ora a causa tua è morto!"
"Adesso sarebbe mia la colpa?! A parte il fatto che non l'ho ucciso io, credi di essere la persona più adatta ad accusare? Mi dispiace che il tuo compagno di giochi sia morto ma ti ricordo che era mio marito e che la vostra pazzia, perché siete due malati mentali, vi ha portato dove siete adesso: lui in obitorio e tu in prigione. Prova a dire nuovamente che l'ho ucciso io e ti ritroverai a fargli compagnia sotto terra."
Inizio a camminare avanti e indietro per la stanza dal nervosismo.
"Tu sei rimasto lì a guardare! Lui mi picchiava in tutti i modi possibili mentre tu non facevi niente! Guardavi semplicemente. Hai reagito solo quando lui ha iniziato a incassare colpi, solo allora. Il che dimostra la tua lealtà ad un essere ignobile tanto quanto te. - Poi mi blocco - sai che c'è?! Non mi dovrebbe stupire che foste 'fratelli', fate schifo entrambi. E meritate la fine che state facendo. Io tornerò alla mia vita, dalla mia famiglia, dalle persone che mi vogliono bene mentre tu? Tu che farai? Chi c'è accanto a te in questo momento?
La cosa che mi stupisce è che mi dispiace per te."
Lui scatta in piedi e inizia ad urlare non proprio dei complimenti nei miei confronti insieme ad un "non voglio la tua compassione!". In una attimo entrano due poliziotti ed Harry, il quale mi allontana da lui.
"Ti sbagli, non è compassione: è pena." Affermo prima di uscire al fianco di Harry.

"Che cosa ti è saltato in mente? Sei impazzita?" Urla Harry rivolgendosi a me e subito dopo si scaglia anche contro Alex.
"Lei non c'entra, Harry; l'ho convinta io."
"Ah, ne sono certo, Greta. La domanda è perché? Che cosa credevi di ricavare da una conversazione con quel malato? Delle scuse? Che si gettasse in ginocchio implorandoti di perdonarlo?"
"Certo che no."
"E allora cosa, Greta?" Urla.
"Volevo guardarlo negli occhi e... e capire se il Marcus che credevo di conoscere fosse da qualche parte dentro di lui o se fosse stata tutta una menzogna. Sin dall'inizio."
"E cos'hai capito?" Il suo tono appare più calmo, sembra quasi... dispiaciuto.
"Che avevi ragione tu. È solamente un pazzo. Un pazzo che si è preso gioco di me."
Harry annulla le distanze e mi circonda con le braccia. Mi stringe forte a sé come se fossi in un abbraccio di gruppo composto da almeno quattro persone, ma è solo lui.
È lui.

Il mattino seguente vengo svegliata di buon ora dai miei amici medici i quali, dopo un'accurata visita, decidono di farmi tornare a casa.
"Puoi tornare a casa." Dicono. Musica per le mie orecchie.
Harry prepara la mia valigia e, verso le 11 lasciamo l'ospedale. Una calca di giornalisti ci aspetta fuori dall'edificio. Ci risulta difficile uscire.

"Tua nonna ci aspetta a casa. È impaziente di rivederti. Voleva venire a prenderti ma sono arrivati degli ospiti che l'hanno trattenuta."
"Che ospiti?" Domando perplessa.
"Non ne ho idea. Non mi ha dato molte spiegazioni. Mi ha solo detto che li avrei conosciuti una volta che fossimo tornati a casa."

Aperta la porta chiamo ad alta voce mia nonna. Io ed Harry ci dirigiamo in salone e lei è lì, seduta su una poltrona. Di fronte a lei due figure che mi danno le spalle: una donna dai capelli neri corvino, gracilina da quello che vedo, e un uomo tutto l'opposto, capelli castani e ben impostato.
"Ciao Aurora." Dice nonna.
In una frazione di secondo loro si voltano e, dopo averli guardati attentamente li riconosco: sono Erika e Marco.

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