Capitolo 15

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Da quando ci siamo seduti al tavolo circa 10 minuti fa, le persone non hanno smesso un attimo di fissarci.
"Quindi... è sempre così?" Gli chiedo tornando a guardarlo dopo aver ispezionato la stanza alla ricerca di qualcuno non rivolto verso di noi.
Lui smette di addentare il suo Mcchicken e mi guarda interrogativo
"Cosa?"
Lo invito a guardarsi attorno e lui capisce immediatamente a cosa io mi stia riferendo. Mi accorgo che persino le cassiere ci guardano.

"No, non vengo mai in questi posti" dice tornando a masticare.
"Ho capito. Quindi ti fissano perché non sei un cliente abituale. Okay, mi ero preoccupata." Affermo prendendo il mio panino tra le mani rilassandomi.
"No, ci fissano perché ci sei tu. Sai... una ragazza, insieme a me. Poi siamo al McDonald's. Una serie di cose insomma"

Io resto con il panino a mezz'aria e lo fisso. Quindi ci fissano per via della mia presenza?! Oddio, mi sento male. Mi è passata la fame. La mia attenzione viene catturata dal flash di un telefonino che ci fotografa. Non appena il ragazzo si accorge della figuraccia diventa tutto rosso in viso facendomi ridere.

"Ti posso fare una domanda?" Mi chiede Harry mentre si pulisce la bocca con un fazzoletto.
Io torno a guardarlo dedicandogli tutta la mia attenzione.
"Dimmi pure"
"Tu hai detto che non sei mai stata adottata, giusto?" Annuisco. "Ma ci sarà stato qualcuno a cui tu sia rimasta legata. Non posso credere che tu sia stata da sola per così tanti anni. È brutto e non voglio crederci."
"Con 'legata a qualcuno' intendi a qualche adulto che mi ha fatto da genitore?"
"Si, o fratellastro" risponde annuendo.
"Non sono sempre stata da sola comunque, avevo anch'io degli amici, loro sono rimasti in Italia, però ce li avevo. E poi, non c'è niente di male a stare da soli, non soffri."
"Mi permetto di dissentire. È brutto stare soli; si, è vero, non soffri, però non vivi a pieno la vita."
"Talvolta basti tu per vivere a pieno la vita, non hai bisogno di altro o altri. Ma... si, c'è stata una persona a cui sono rimasta legata." Lo guardo e lui mi invita a proseguire.
"All'età di dodici anni sono stata affidata ad una coppia senza figli a cui mi sono affezionata tantissimo. Sono stata con Erika e Marco per circa due anni. Durante tutto questo tempo dicevano che mi avrebbero adottato, che stavano preparando i documenti o cose del genere..." faccio una pausa e bevo un sorso di coca cola; poi riprendo "lavoravano entrambi fino alle sei del pomeriggio perciò, quando uscivo da scuola all'una, la madre di lui veniva a prendermi. Passavamo insieme intere giornate fino a quando alle 7 i miei - mimo con le mani le virgolette - genitori non rincasavano. Lei mi ha insegnato a cucinare, a cucire. Sai che l'abito che indossavo a teatro l'ho fatto io?!"
"Scherzi?!" Mi chiede sorridendo
"No! L'ho cucito io! È una cosa che mi rilassa. Quasi tutti i capi nel mio armadio li ho cuciti io."
"Wow." Afferma.

Ci sorridiamo a vicenda per qualche secondo fino a quando non distolgo lo sguardo dai suoi occhi. Non riesco proprio a guardare un uomo per più di qualche secondo.
"Comunque... un bel giorno, era... martedì 13 gennaio; lo ricordo come se fosse ieri. Loro mi fecero sedere sul divano e mi dissero che Erika era incinta di due gemelli. Sul momento fui felicissima, avrei avuto non solo dei genitori e una nonna a cui volevo bene ma anche dei fratelli. Mi accorsi quasi subito però che loro non erano felici quanto lo ero io. Si, insomma... in poche parole mi dissero che non potevano permettersi di mantenere tre figli e che purtroppo non potevano più adottarmi."
Sento il suo sguardo su di me ma decido di non alzare il capo. Non voglio vedere la pena nei suoi occhi, perché tutti la provano in queste situazioni.

"Io ancora oggi mi chiedo come abbiano fatto a rimandare indietro una bambina, come fosse... un pacco di Amazon. Mia nonna cercò di fargli cambiare idea in tutti i modi, ma non ci riuscì. Ricordo che il giorno prima che venissero a prendermi i servizi sociali abbiamo pianto senza mai smettere. Lei continuava a chiedermi scusa. Quella era la cosa più vicina ad una famiglia che avessi mai avuto e ormai... non avevo più neanche quello."
"Mi dispiace" mi dice prendendomi le mani e stringendole tra le sue. "Parli ancora con lei?" Continua.
"No... sono successe delle cose che mi hanno portato ad allontanarmi ma ciò non significa che non le voglia bene."
"E loro?! Erika e Marco intendo, li hai più sentiti?"
"Si sono fatti vivi quando mi sono laureata in medicina ma hanno capito che non volevo avere niente a che fare con loro e non li ho più visti."
"Tua nonna vive in Italia?"
"Si. L'ultima volta che ho chiesto di lei mi è stato detto che trascorre i suoi pomeriggi con i nipoti o a messa."
"Lei ti manca?" Mi chiede spiazzandomi.
Io ci rifletto un attimo e mi rendo conto che si, mi manca. Ma purtroppo, il mio orgoglio supera di gran lunga la nostalgia.
"Si, ma fa niente. Ognuno è andato per la sua strada. Va bene così."
"Quanto tempo fa hai parlato con lei?"
"Cinque anni e mezzo fa ormai."
"Posso chiederti cosa è successo tra voi due?"
"Diciamo che mi aveva messo in guardia verso qualcosa e io... si, insomma, non l'ho ascoltata. Ancora oggi mi mangio le mani perché lei ci aveva visto lungo, cosa che a me non era riuscita. E io, orgogliosa e testarda, non le ho più parlato."
"Lei sa che vivi qui?" Mi domanda.
"Non credo. Credo che pensi che sono ancora in Italia. Non ho fatto in modo che venisse a sapere che aveva ragione. È stato uno dei miei più grandi errori."
"Perché non la chiami allora?! "
"Perché no. Non voglio. Possiamo cambiare discorso per favore?" Mi sto agitando. Meglio tagliare la conversazione adesso prima che mi sfugga qualcosa. Lui rimane male dalla mia affermazione quasi urlata e lascia le mie mani, così io me le riprendo.

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