28. Capitolo 27: Veritá

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Capitolo 28
È il momento delle verità
(Pov Magnus)

Quando la sveglia suona mi affretto a spegnerla, mi strofino una mano sugli occhi e sospiro concedendomi lunghi minuti di silenzio prima di iniziare una mattinata frenetica, il presidente salta sul letto venendo a strofinare il muso sul mio braccio "Buongiorno gattone" mormoro prendendolo e coccolandolo un po' visto quanto l'ho trascurato in questo periodo. Mi decido ad alzarmi quindi mi trascino fino in cucina per mettergli un po' di cibo nella ciotola poi vado in bagno per concedermi una veloce doccia. Una volta fatto lavo i denti e mi trucco decidendo di lasciare i capelli umidi per asciugarli al naturale. Dopo un quarto d'ora, l'eyeliner oggi mi ha dato problemi, torno in camera prendendo una camicia rosa a pois bianchi e degli skinny neri abbinati ai miei mocassini glitterati. Recupero gli occhiali da sole, portafoglio e chiavi prima di dirigermi alla porta. Aprendola però ci ripenso e torno in dietro, entro in camera e apro l'armadio guardando quella scatola sull'ultimo ripiano. Sospiro prendendola, sarà la cosa giusta? Sono pronto? Dopo tutto quello che ho passato so che non posso vivere senza Alec e quindi... si è giusto aprirmi completamente. Chiudo l'armadio ed esco di casa correndo per le scale e attraversando la strada per prendere la macchina. Per prima cosa mi dirigo in banca per pagare le bollette, come al solito mi ci vuole più di mezz'ora perché sono eternamente lenti. Sbuffo infastidito, come se la gente non avesse altro da fare! Poi mi fermo al negozio di pavimenti che ieri ho trovato online richiedendo di vedere un paio di modelli che mi interessano. La scelta è difficile da prendere su due piedi perciò opto per farmi compilare dei preventivi per ogni tipologia, poi li presenterò a Ragnor. Quando torno in macchina il traffico è diventato un inferno e ci metto un buon quarto d'ora ad arrivare al negozio d'arredamento migliore di New York, ovviamente secondo il mio modesto parere! parcheggio ed entro iniziando a vagare un po' tra i reparti per poi fermarmi in quello che mi interessa, mi guardo attorno indeciso "Salve, la posso aiutare?" mi volto verso la voce maschile alle mie spalle "Salve" saluto l'uomo con un'improponibile giacca arancione sgargiante con sopra un cartellino che riporta il nome 'Victorius' "Stavo cercando delle tende per il mio appartamento" lo informo in modo pratico "Certamente, di che appartamento si tratta?" mi chiede lui professionale "è un loft, molto luminoso. Le pareti della stanza a cui faccio riferimento sono di un rosso vermiglio, vorrei qualcosa di non troppo scuro, ma coprente" gli elenco tutte le qualità che sto cercando. "Potremmo provare con un grigio perlato?" mi propone prendendo il rotolo di stoffa in questione "Potremmo creare un doppio velo così che rimanga più coprente" continua sovrapponendo la stoffa così da mostrarmi l'effetto. Annuisco quasi convinto "Si, mi piace, ma vorrei vedere anche colori un po' più chiari" concludo pensieroso. Lui in modo efficiente mi mostra delle diverse tonalità di beiges, bianchi e azzurrini. Mi posso la mano sul mento valutando bene i colori e immaginandomi il risultato finale. "A mio parere il primo è l'opzione migliore" mi consiglia cortese riproponendomi la stoffa "Si lo credo anch'io" mormoro accarezzando il tessuto e saggiandone la consistenza "Si, sono convinto! Prendo questa, con doppio velo" esclamo entusiasta della mia scelta. L'operatore mi accompagna a una scrivania, prende tutti gli appunti del caso come le misure della finestra, scrive tutti i dettagli che ho scelto, l'indirizzo di casa e i miei dati personali e mi indica il prezzo preciso. "Il tempo di realizzo sono un paio di giorni, possiamo consegnare a domicilio. In quel caso richiediamo un acconto e poi il saldo con bonifico a quindici giorni dalla recezione" annuisco alle sue parole recuperando il portafoglio dalla tasta "L'acconto lo posso pagare subito?" chiedo estraendo il mio bancomat. Ottenuto il suo consenso gli passo la carta e mi accredita le spese "Bene, è tutto" mi dice lui con un sorriso cordiale, mi alzo felice di poter finalmente andare da Alec "Perfetto, grazie mille e arrivederci" gli stringo la mano "Arrivederci". Mi precipito fuori dal negozio risalendo in macchina, lancio un'occhiata al cellulare notando che manca davvero poco alle nove e maledico tutti i santi per il traffico. Come ultima tappa mi fermo da Starbucks e prendo una decina di cornetti chiedendo che uno, quello alla nutella, mi sia messo da parte. Quando finalmente torno in macchina posso dirigermi a casa del mio splendido ragazzo sperando che stia ancora dormendo, così da poterlo svegliare io con i miei baci. Ci metto venti minuti ad arrivare, praticamente un'eternità, ma per fortuna riesco a suonare il campanello. Un attimo dopo il cancello si apre e posso parcheggiare nel vialetto, Maryse mi sorride sulla porta salutandomi con un cenno della mano, mi sbrigo a scendere dall'auto e la saluto con un sorriso "Buongiorno Maryse, ho portato dei cornetti per voi" la informo allungandole la busta "Oh caro non ce n'era bisogno" mi sorride prendendola in una mano "Passavo di lì" scrollo le spalle in modo frivolo, non mi è costato nulla fare tappa al bar "Alec sta ancora dormendo" mi avvisa mentre entriamo in casa "Oh grazie al cielo" sospiro felicemente e più tranquillo. Lei mi guarda divertita con un cipiglio curioso "Gli avevo detto che sarei stato qui alle nove, ma gli ho preso il cornetto alla nutella. Non si lamenterà" le spiego divertito facendola ridere. "Vai pure a svegliarlo allora" mi incita accompagnando il tutto con un gesto della mano verso le scale, le sorrido prima di correre di sopra. Entro lentamente nella sua stanza e noto subito Axel alzare il muso e drizzare le orecchie per poi prendere a scodinzolare. Mi avvicino piano accarezzandolo "Fermo" mormoro perentorio a voce bassissima, lascio la busta sul comodino e poi mi piego verso il mio ragazzo che dorme scomposto attorcigliato nelle coperte. "Amore" sussurro accarezzandogli una guancia, gli lascio un bacio "Amoree" lo chiamo ancora delicatamente, un altro bacio a stampo. "Dai pasticcino devi aprire gli occhi" sussurro sul suo orecchio lasciandogli un bacio dietro di esso. Noto la sua pelle rabbrividire, ma l'unica cosa che ottengo è un suo broncio "Piccolo" sussurro tempestando il suo viso di baci, sento Axel lamentarsi per le poche attenzioni che gli riservo mentre rimane fermo dove gli ho detto "Shh aspetta" sussurro indirizzato all'animale. "Alexander è ora di aprire questi meravigliosi occhi" prendo a sussurrare nuovamente a un passo dalle sue labbra, si lamenta un po' segno che si sta svegliando. Riprendo a lasciargli qualche bacio sparso concentrandomi poi sulle labbra. Dopo lunghi minuti lo sento rispondere, mi stacco appena mormorando "Buongiorno pasticcino" lui allunga il collo ricominciando a baciarmi. Quando siamo senza fiato ci allontaniamo e finalmente apre gli occhi, mi sorride ancora addormentato "Buongiorno" sussurra con voce roca. "Dormito bene?" chiedo passandogli il pollice sulla guancia per una dolce carezza "Decentemente" sospira prima di sbadigliare "Dobbiamo fare ginnastica" gli ricordo con tono soffice. Lui emette un lamento di protesta "Nooo, dirò ad Andie che l'ho fatta" mi supplica lui richiudendo gli occhi "Assolutamente no amore" gli lascio un breve bacio a stampo "Ma ti ho portato il cornetto alla nutella, perciò fai il bravo e dopo te lo lascio mangiare in pace" sorrido verso di lui che sbuffa riaprendo gli occhi e incrociando le braccia al petto "Questo è un ricatto" borbotta contrariato "Dai su, sistemati bene" gli ordino scendendo dal letto e posizionandomi ai suoi piedi. Lui si sposta un po' più in basso per permettermi di raggiungere meglio la gamba mentre continua a lamentarsi "Comunque forse è meglio chiamare anche qualcun altro così possono imparare anche loro nel caso non riuscissi a venire qui la mattina" mi suggerisce dolcemente strofinandosi una mano sugli occhi per poi accarezzare dolcemente il cagnone scodinzolante al suo fianco. Acconsento per questo mi dirigo alla porta della stanza per andare a chiamare qualcuno, rischio di essere falciato da Axel che corre fuori come un pazzo. Fortunatamente mi imbatto in Jace "Ehi Jace cercavo proprio te, devo aiutare Alexander con gli esercizi e pensavo di mostrati come si fa, nel caso ce ne fosse bisogno" gli spiego, lui annuisce scrollando le spalle "Certo, porto questo a Izzy e ti raggiungo" mi mostra un cellulare con la cover piena di stras "Va bene" gli sorrido cortesemente per poi tornare in stanza lasciando la porta aperta. Intanto decido di aiutare il mio pasticcino a liberarsi del tutore "Cazzo, fa piano" si lamenta quando gli sollevo appena la gamba "Stringi i denti amore, ora arriva il peggio" ridacchio guadagnandomi una sua occhiataccia "Io ti odio, sappilo" sentenzia imbronciato provocandomi una forte risata. "Eccomi!" Jace entra in camera strofinandosi le mani "Allora? Cosa devo fare?" mi chiede con un'espressione poco rassicurante "Oh cielo" piagnucola Alec rassegnato al dover patire per i prossimi minuti. "Prima cosa siate delicati" ci dice serio lui agitando il dito indice "Certo amore, sono bravo io" gli sorrido malizioso "Ovviamente" borbotta alzando gli occhi al cielo. "Ok Jace per prima cosa devi prendere la gamba, poi prendi in mano il piede e lentamente compi dei gesti rotatori" gli mostro con calma osservando le espressioni del mio amore che sembra stia soffrendo come un cane. Ovviamente io scherzo con lui, ma non vorrei fare mai nulla che gli provochi più dolore del necessario. Compio il movimento per le volte indicatomi da Andy lasciando l'ultima a Jace che prende il mio posto e prova a compiere il gesto facendo sibilare il fratello dal dolore "Cosa cazzo non hai capito di delicato?!" sbotta uccidendolo con lo sguardo "Scusa fratello, ci devo prendere la mano" scrolla le spalle Jace. Alec mi guarda "Ti rendi conto di chi hai scelto?" sorrido a mo di scuse rendendomi conto che forse il biondo non è proprio lo persona adatta "Passiamo all'altro. Questo è il più doloroso, sempre con la gamba sollevata devi spingere il ginocchio il più possibile vicino al viso aiutandoti con tutto il corpo" gli spiego. Appoggio una mano sulla coscia e lentamente mi spingo sul suo corpo provocandogli un urlo strozzato "Dio!" porta un braccio sugli occhi mentre si morde le labbra, compio lo stesso gesto altre due volte per poi lasciar provare Jace "Ok, dimmi se va bene" mi dice mentre si spinge sul suo corpo. L'urlo che rilascia Alec lo spaventa e subito molla la presa, la mano del mio ragazzo si aggrappa alla maglia del fratello mentre gli sibila a un passo dal viso "Giuro che ti uccido". Neanche a dirlo i genitori di Alec compaiono trafelati alla porta "Che succede?" chiede Maryse preoccupatissima "Sto insegnando a Jace come fare gli esercizi di cui Alexander ha bisogno, ma credo non sappia bene dosare la forza" spiego a disagio grattandomi il capo "Scusa, scusa! Ci riprovo" si affretta a rimediare il biondo "Assolutamente no!" scatta Alec tirandogli quasi una pedata in faccia "Ti faccio rivedere io" poggio una mano sulla spalla di Jace che annuisce. Riprendo tra le mani la gamba del mio amore e lentamente ricompio il gesto facendolo sibilare fino a quando non lo lascio andare. Lui sospira passandosi una mano sulla fronte "Cazzo sto sudando" si lamenta con voce tremula "Il peggio è passato" gli dico iniziando l'esercizio successivo "Oh dio, sto per svenire" mormora col fiato corto portandosi le mani al viso, scoppio a ridere. "Jace vieni prova questo" gli dico ricatturando la sua attenzione "Ma tu da che parte stai?!" mi chiede Alec allontanando le mani per guardarmi male "Sei stato tu a dire che doveva imparare nel caso non potessi venire qui la mattina" gli ricordo continuando con i movimenti "Si, ma lui è un elefante!" continua a lamentarsi. "Jace ascoltami, devi spingere la gamba in angolo retto verso la fronte e poi distenderla" gli spiego, lui annuisce serio "Ci provo, sarò delicato promesso" dice prendendo la gamba e compiendo lentamente i movimenti. "Posso provare anch'io dopo?" chiede Maryse avvicinandosi a noi, Jace le lascia fare gli ultimi due movimenti. "è finito?" mi chiede il biondo "Si, sono questi tre" annuisco sedendomi sul letto "Beh domani ci posso riprovare?" chiede il biondo facendomi ridacchiare "Qualcuno li deve imparare" scrollo le spalle "Voglio mamma, è più delicata di tutti e due" borbotta Alec a occhi chiusi "Ehii" mi lamento facendolo sorridere "Cornetto?" mi chiede allungando una mano verso di me, mi allungo verso il comodino e prendo la busta per poi passargliela. "Tieni, ti ho portato dell'acqua" gli dice dolcemente Izzy allungandogli un bicchiere "Grazie" lo prende in una mano e lo butta giù in un attimo. Piano piano escono tutti dalla stanza lasciandoci soli, passiamo il resto della mattina a letto a chiacchierare e riposare. Scendiamo in cucina solo per mangiare, chiacchiero tutto il tempo con Max che non fa altro che farmi domande e io gli chiedo come è andata la scuola e se è pronto per un nuovo anno. Ovviamente, secchione come il fratello, si dimostra subito molto entusiasta del nuovo anno. Quando abbiamo finito di mangiare aiuto Maryse a sparecchiare mentre mando Alec sul divano per non affaticarsi. "Sai tesoro che non abbiamo mai parlato seriamente io e te?" mi fa notare lei mentre lava alcuni piatti "Maryse non ho una vita così interessate da raccontare" scherzo prendendo un piatto per asciugarlo "Oh caro" ride lanciandomi un'occhiata piena di affetto "Intendevo su te e il mio bambino" specifica. Rido preso alla sprovvista "Oh, ok. Chiedimi ciò che vuoi" scrollo le spalle mantenendo il sorriso come tutte le volte che si parla del mio bellissimo ragazzo. "Va bene...allora come vi siete conosciuti?" la guardo sorpreso "Davvero non lo sai?" lei mi rivolte un sorrisino impertinente "Certo che so qualcosa, ma voglio sentire la tua versione" scoppio a ridere per la sua occhiata furba. Amo questa donna! "Bhe cosa dire...l'ho visto per la prima volta nel mio locale, a dir la verità pensavo fosse qualche agente che mi veniva a rompere le scatole per la musica o cose simili, poi quando mi sono avvicinato mi sono accorto che non era altro che un ragazzo. Più mi avvicinavo e più mi rendevo conto di quanto bello fosse. Probabilmente ho anche fatto una pessima figura rimanendo imbambolato a fissarlo, ma lui non me l'ha mai fatto notare. Inoltre Alexander era così serio e contenuto che ho pensavo fosse etero e il mio sogno si è infranto in un attimo" ridacchio imbarazzato "Oh tesoro" ride lei ben interessata dal mio racconto "E poi cos'è successo?" mi invita a continuare. "Poi è successo che l'ho rincontrato poco tempo dopo in uno Sturbacks e l'ho invitato a sedersi per qualche minuto come me, in realtà ci siamo messi a chiacchierare e ho capito che non era affatto etero, lui mi ha quasi sputato a dosso il suo cappuccino con doppia panna..." scoppio a ridere calorosamente contagiandola "Poi l'ho invitato a fare due passi verso il parco e gli ho raccontato un po' di me, si è aperto un po' e mi ha permesso di conoscerlo. Mi aveva infatti confidato di essere 'confuso', ma già sapevamo benissimo che non fosse davvero così e che fosse solo una scusa dettata dell'insicurezza o dall'imbarazzo. Ad ogni modo mi sono proposto di aiutarlo a schiarirsi le idee e dopo una grande pressione da parte mia ha accettato di uscire a cena" concludo scrollando le spalle mentre lei mi guarda intenerita "Siete così carini insieme" esclama battendo le mani come una ragazzina davanti al suo idolo. La guardo sorpreso non riuscendo a trattenermi dal ridere quando mi lancia le braccia al collo stingendomi forte. Ricambio molto volentieri "Grazie per averlo reso felice" mormora al mio orecchio attimi dopo finalmente più calma "è lui che ha reso felice me, dovrei essere io a ringraziarti per aver messo al mondo una persona così splendida" rispondo sinceramente. Si stacca da me strofinando le sua mani sulle mie braccia in un gesto tenero per infondermi sicurezza "So che sei abituato a contare solo su te stesso, ma voglio ripeterti come ti ho già detto in ospedale, che io sono qui. Se tu lo vuoi puoi trovare una famiglia in noi. Per qualsiasi cosa tu possa aver bisogno, noi siamo qui" mi dice dolcemente con il suo bellissimo sorriso materno che ricambio commosso "Grazie" sussurro troppo emozionato. Mi stringe forte a se prima di lasciarmi andare "Va pure da Alec, qui abbiamo finito tesoro" mi incoraggia "Va bene" acconsento incamminandomi verso il salotto "Pensavo che mamma ti avesse rapito" mi dice il mio splendido ragazzo, comodamente steso sul divano, quando mi vede "No tranquillo, sono ancora qui in mezzo alle scatole" lo rassicuro con un sorriso "Vuoi andare in camera?" gli chiedo abbassandomi un po' verso di lui, annuisce allungando le braccia verso di me. Prontamente gli prendo le mani e lo aiuto a sollevarsi "Secondo me mio fratello ci sta prendendo gusto a farsi aiutare da te per ogni cosa" scherza Jace intento a giocare alla play con Max. scoppio a ridere "Taci tu" gli dice Alec una volta alzato, anche il biondo scoppia a ridere per l'espressione contrariata del fratello. Ci avviciniamo con calma alla scala e lentamente saliamo, cerco di non forzare Alec che sembra riuscire a compiere solo piccoli e brevi passi. Una volta che riusciamo a mettere piede in camera, lui sospira e si mette a sedere sul bordo del letto "Senti male da qualche parte?" gli chiedo dolcemente stendendomi dietro di lui e allungando una mano per accarezzare un suo fianco "No, è tutto ok. Camminare mi provoca delle fitte nella gamba, ma appena mi fermo tutto torna nella norma" mi spiega brevemente stendendosi anche lui voltando il capo verso di me. Rimaniamo in silenzio per lunghi attimi, persi nei nostri sguardi e nelle piccole carezze che si doniamo sul corpo. "Quanto tempo abbiamo prima di dover andare?" mi chiede in un sussurro rilassato, mi volto verso il comodino per intercettare l'orario sulla sveglia "Due ore ancora" gli comunico mettendomi a sedere "Aspettami un attimo qui, torno subito" gli dico alzandomi dal letto e uscendo dalla stanza ignorando la sua espressione perplessa. Scendo in tutta fretta le scale mentre Axel mi corre in contro saltando felice "Ehi, devi fare la pipì?" chiedo ridendo mentre mi avvicino alla porta principale. Esco in giardino, seguito dal cane che corre subito via, e mi avvicino alla mia macchina recuperando la misteriosa scatola che avevo abbandonato sul sedile posteriore. Sospirando richiudo lo sportello alla spalle e mi incammino per tornare in casa, richiamo Axel che subito mi segue e mi chiudo la porta alle spalle. Ignoro la curiosità negli occhi di Jace alla vista di ciò che ho tra le mani e mi dirigo in fretta al piano superiore. "Eccomi" mormoro ritornando in camera di Alec che subito si solleva riconoscendo la scatola, lo vedo deglutire più volte prima di sorridermi incoraggiante "Chiudi la porta" sussurra appoggiando una mano al suo fianco per invitandomi a sedermi. Faccio come dice e mi siedo a gambe incrociate "Ok, ehm...ti va se iniziamo?" chiedo in un sussurro conscio della mia voce tremula, odio parlare del me del passato, ma per lui lo devo fare. Lo guardo annuire appena mentre mi accarezza dolcemente una guancia, socchiudo gli occhi e prendo un paio di profondi respiri "Non ti devi sentire obbligato, non è questo ciò che voglio" mormora lui posizionando due dita sotto il mio mento per poter sollevare il mio sguardo nel suo. Cerco di sorridergli in modo rassicurante "Lo so, ma voglio farlo ok? Non voglio più aver cose in sospeso con te. Niente misteri o bugie d'ora in poi" rispondo sicuro di me nonostante le mille emozioni che mi stanno scuotendo dentro, prendo un ultimo respiro profondo e poi sollevo il coperchio della scatola. "Ok allora..." mormoro cercando una particolare foto da cui iniziare, appena la trovo sorrido e la volto verso di lui "Questi sono i miei genitori" inizio e lui sorride dolcemente "Lei ti assomigliava davvero molto" scuoto la testa lusingato mentre con la mente torno in dietro in quei pochi ricordi che ho con mia madre. "Lei...credo tutt'ora che sia la donna più bella che io abbia mai visto. Ricordo come i suoi capelli castani risplendessero alla luce e diventassero quasi rossastri" deglutisco a fatica il groppo in gola che mi impedisce di parlare correttamente "Ricordo ancora perfettamente il suo odore, lavanda e miele, quando tutto è accaduto ero terrorizzato di dimenticarmelo. Fortunatamente non è successo, così come posso ancora sentire nel cuore la sensazione dei suoi abbracci, io...mi sentivo così tanto amato che non potevo rimanere neanche un giorno senza sentire le sue braccia circondarmi forte. Questa è stata una delle cose più difficili da superare col suo lutto." Sorrido nostalgico osservando il volto dolce di mia madre stampato sulla carta "Lei amava vedersi bella, si curava moltissimo sia nel vestire che nel trucco. Era una donna impeccabile, ma non impostata. In realtà era una di quelle mamme che si rotolava nel prato per renderti felice incurante delle macchie d'erba sui vestiti. La amavo così tanto!" sussurro sentendo le guance bagnarsi, forse tutto ciò è infantile, ma ricordarmi di lei fa ancora male e ogni tanto ammetto che il pensiero di averla accanto è così forte che mi ritrovo a pensare di volere un suo caldo e profumato abbraccio mentre mi sussurra all'orecchio che andrà tutto bene. Tutto questo però non succede mai. "Lei amava davvero molto mio padre, ma lui non era entusiasta della gravidanza e quindi della mia nascita. Ogni tanto li vedevo ridere e scherzare in cucina, lui la cingeva per i fianchi e gli lasciava tanti baci sul collo e lei rideva sempre come una bambina, si illuminava completamente" sorrido io stesso a quel dolce ricordo che costudisco con cura in ogni parte di me "Ma poi c'erano anche quelle volte in cui lui le urlava contro anche per le più piccole cose e ogni volta le rinfacciava la sua volontà di aver portato avanti la gravidanza" nella mia mente qualche memoria offuscata per via della giovane età mi porta a rivedere più volte qualche schiaffo sul viso delicato di mia madre. "Tendenzialmente lui non era violento, ma ogni tanto esagerava con l'alcol per affogare i dispiaceri e allora non sempre la toccava con delicatezza. Sono sicuro però che non sia mai stato qualcosa di molto invasivo come nelle storie che si sentono ogni tanto al telegiornale, si trattava solo di non saper dosare la forza. Mamma me lo ripeteva sempre, lui era angosciato per il lavoro e l'alcol gli permetteva di distrarsi un po', ma poi quando tornava a casa non riusciva a rendersi conto che quelle non erano le solite carezze che usavano scambiarsi. Lei non gliene ha mai fatto una colpa" sospiro scuotendo la testa con forza, mi tormenta il pensiero che io ero troppo piccolo per accorgermi davvero delle piccole violenze domestiche che lei sopportava per amore cieco e puro. "Quando...quando abbiamo scoperto la sua malattia era già troppo tardi, il suo tempo era limitato. È tornata a casa per pochi giorni nonostante il malessere e i dolori. Ricordo che lei passava ore ad abbracciarmi e a parlarmi dolcemente raccontandomi tante piccole storielle divertenti. Io non lo avevo capito sai? Vedevo che la sua pelle era più pallida del solito e che non si truccava più, ma ero così piccolo per capire che mi stava lasciando per sempre. Anche quando è stata ricoverata d'urgenza, io le parlavo, le raccontavo tantissimi miei pensieri e lei semplicemente mi sorrideva e mi ascoltava stesa sul letto d'ospedale. Quando si è fatto tardi e, probabilmente, l'orario delle visite era finito sono stato mandato a casa, mi sono avvicinato a lei e l'ho abbracciata promettendole che ci saremmo visti il giorno successivo. Lei mi ha semplicemente ripetuto più volte che mi amava col tutto il cuore ed io ero così felice! La mattina successiva mia nonna mia ha spiegato cosa era successo nella notte. Ho pianto tutto il giorno perché io volevo solamente la mia mamma, ma lei non c'era più. Quando sono tornato a casa con mio padre mi sono sentito abbandonato, sono stato costretto a crescere in fretta e imparare le regole basilari per sopravvivere perché lui semplicemente non pensava mai a me. Si era immerso ancora di più nel lavoro e io la maggior parte del tempo ero solo, ho imparato a cucinare e a occuparmi di una casa" sento un piccolo singhiozzo e non riesco a capire subito che non è il mio, ma proviene da Alec che ha una mano premuta sulle labbra mentre dai suoi occhi sgorgano le stesse lacrime che investono le mie guance. Deglutisco ancora a fatica cercando di riprendere il discorso catturando una sua mano nella mia "Le cose sono migliorate a un certo punto, con l'inizio della scuola. Essendo socievole di natura, mi ero circondato di molti amici e quindi in casa ci rimanevo davvero molto poco. Il problema con l'alcol di mio padre era peggiorato a dismisura e così il suo essere manesco, in realtà semplicemente al ritorno dal lavoro pretendeva la cena pronta e non era un grosso dramma visto che io stesso dovevo sfamarmi, ma succedeva a volte che per via dei compiti o degli amici, perdevo un po' la cognizione del tempo. Per fortuna si limitava a semplici schiaffi, pensandoci ora poteva andarmi molto peggio" mi schiarisco la voce passandomi le mani sulle guance per arrestare almeno un attimo la discesa di lacrime non più dettate dalla nostalgia, ma dalla rabbia. "Come sai poi ho iniziato a frequentare i campi estivi, venivo spedito a chilometri di distanza da casa e per tutti i mesi estivi convivevo con miei coetanei e i responsabili della struttura. In quei momenti mi sentivo rinascere, amavo la sensazione di essere libero da vincoli e di dover dar conto solo a me stesso. Qui ho conosciuto prima Ragnor e poi Raphael, entrambi con le loro storie perfette, ovviamente prima che capissero di essere gay e di conseguenza di distaccarsi dalle loro famiglie, ci siamo ritrovati per anni nello stesso campo così che è stato inevitabile diventare come fratelli e l'unica cosa che chiedevo a mio padre era quella di mandarmi sempre con loro l'estate" nella mente affiorano mille momenti passati col loro, tutte le nostre avventure da bambini e i nostri dispetti. Ogni giorno ringrazio Dio per averli mandati sulla mia strada in momenti così difficili, sono stati il mio ossigeno per moltissimo tempo. "Durante una di queste estati ho capito di essere attratto anche dai ragazzi, ho dato il mio primo bacio a un ragazzo che era con me al campo, ma che viveva nella mia stessa cittadina. La nostra storia è durata anche dopo l'estate, lui spesso rimaneva a casa mia perché tanto mio padre tornava solo la sera e potevamo fare i compiti tranquillamente o guardarci un film. D'altro canto avevamo solo quattordici anni. Un pomeriggio però mio padre tornò prima a casa e ci beccò mentre ci baciavamo, ha mandato via il ragazzo in malo modo e mi ha chiuso in camera mia per giorni interi, senza aver cibo, fortunatamente avendo il bagno in camera almeno potevo disporre dell'acqua. Credo sia stato in quel momento che sono iniziati gli scontri tra di noi, ho deciso di averne abbastanza dei suoi modi di fare e volevo lottare per farmi sentire. Così quando si ricordò di me e mi venne ad aprire scappai di casa e mi rifugiai da mia nonna per un paio di giorni, ripresi la scuola e le mie amicizie fregandomi della sua opinione. Quando mio padre mi venne a prendere litigammo pesantemente a parole, ma alla fine decisi di tornare in quella casa. C'erano ancora tutti gli oggetti di mamma e non volevo separarmene. Poco tempo dopo ho iniziato a truccarmi, mi sedevo alla toletta in camera dai miei genitori e annusavo forte l'odore che impregnava ogni più piccolo utensile. Mentre applicavo qualcosa sul viso mi tornavano alla mente le immagini di mamma che si truccava con cura e sempre col sorriso. Tutt'ora mi succede" mormoro cercando di seguire un filo logico comprensibile, quei anni sono stati molto intensi e ingarbugliati tanto che nella mia mente fatico a ricordare cosa abbia scatenato un determinato avvenimento. Era tutto semplicemente troppo per un ragazzo non ancora adolescente e che aveva subito un grande lutto. Alzo nuovamente lo sguardo verso Alexander che mi sorride appena, posso vedere però quanto sia sconvolto per via della mie parole. È per questo che non mi piace ricordare, tutto quello che riporto a galla mi regala dolorose stilettate al cuore e chi ascolta ne soffre per rimbalzo. Mi inumidisco le labbra prima di chiedergli "Vado avanti?" lui subito annuisce "Si, se vuoi si. Se è troppo non c'è bisogno che tu aggiunga altro" la sua voce è bassa e chiaramente spezzata per via delle lacrime. Ripongo la foto nella scatola e ne prendo un'altra, quella che ritrae una ragazza "è quella foto" mormora lui riconoscendola. È proprio la foto per la quale gli ho urlato contro, annuisco abbassando lo sguardo "Lei si chiamava Camille" sussurro accarezzando il volto stampato della diapositiva. "Devi sapere che anche lei ha iniziato a frequentare i campi estivi, la prima volta che l'ho vista avevo appena diciassette anni e ho pensato fosse semplicemente stupenda. Lei era una ragazza frivola, le piaceva sedurre chiunque solo per il gusto di essere al centro dell'attenzione. Nessuno le interessava davvero. C'era molta attrazione fisica tra noi, fin da subito ci sentimmo attratti, vivemmo un'estate di piccole avventure condivise. Fu la mia prima volta, entrambi sapevamo che quello che avevamo non era solo una storiella. Avevamo condiviso davvero molto, ci capivamo ormai solo con uno sguardo ed eravamo complici in tutto" ridacchio ricordandomi quanto era dispettosa e quanto amava inventare scherzi per i nuovi arrivati più piccoli. Ammetto, ora che sono cresciuto e che riesco a vedere le cose con una certa prospettiva, che la sua influenza era del tutto negativa su di me. "Quindi anche quando finì l'estate rimanemmo in contatto tramite cellulare e Skype. Per quasi un anno andò tutto alla grande, poi lei iniziò a raccontarmi della nuova gente che continua a conoscere e io diventai geloso. Presi il primo aereo disponile e volai dai lei a Parigi, mi illusi che in quel poco tempo ancora insieme fossimo tornati quelli di prima, ma lei iniziò mano a mano ad allontanarsi da me appena me ne ritornai a casa. Io lo odiavo perché non ne capivo il motivo. Iniziarono quindi le litigate furiose che ci portarono a un punto di non ritorno, lei aveva la dote innata di tirar fuori il peggio di me. Pensavo ormai che fosse tutto perduto, ma dopo l'ennesimo diverbio con mio padre e l'ennesimo schiaffo, decisi di andarmene seriamente. Avrei compiuto diciotto anni da li a poco e mi sentivo pronto per diventare indipendente. Recuperai poche cose e volai nuovamente a Parigi perché sapevo che, nonostante tutto, lei ci sarebbe stata per darmi una mano. Andai a vivere a casa sua, i suoi genitori mi adoravano, lei sfruttò questo periodo per propormi di riprovarci tra di noi. Io pensai che fosse una buona idea, non c'era più la distanza e forse potevo ritrovare quella complicità che avevo perso con lei." Scuoto la testa troppo preso dai ricordi e arrabbiato per come ho lasciato che andassero le cose "Ben presto la nostra relazione diventò una relazione aperta, lei mi propose di divertirci con altre persone e così iniziammo a ricercare un'intimità di coppia con l'aiuto di altri sconosciuti. Per un po' fu divertente, nuovo e i miei ormoni da diciottenne mi ringraziavano, ma non era ciò che volevo per me. Inevitabilmente la nostra relazione cadde a picco senza più possibilità di ripresa, ma ancora mi ostinavo a non arrendermi. Successe poi che scoprii dei suoi tradimenti risalenti al tempo in cui eravamo lontani, ma anche di tempi più recenti. Quello fu il momento in cui decisi che era meglio uscire da una relazione ormai malata e riprendere in mano la mia vita. Avendo iniziato a lavorare in quell'arco di tempo, avevo messo da parte qualche soldo e quindi decisi di trasferirmi a New York sotto consiglio di Ragnor che si rese disponibile ad ospitarmi a casa sua per i primi tempi. Quindi partii senza dir nulla, lasciando solo un biglietto a Camille dove la ringraziavo per i bei momenti insieme, ma che ormai dovevano imparare a vivere da soli". Mi blocco sentendo le lacrime spingere nuovamente per uscire, certi avvenimenti ti segnano per tutta la vita e quando pensi di non poter provare un dolore più forte di quello già provato, ecco che la natura si prende gioco di te. "Ma poi..." la voce mi muore in gola mentre trattengo un altro singhiozzo. Una mano grande e calda si posa sulla mia guancia destra e l'accarezza dolcemente col pollice senza compiere pressioni. Mi concedo lunghi attimi di silenzio mantenendo sempre lo sguardo basso, devo riuscire a raccontate quest'ultima cosa e poi potrò tornare a respirare "Ma poi, appena sceso dall'aereo ricevetti una chiamata. Camille era stata ricoverata per tentato suicidio. Il mondo mi crollò a dosso all'improvviso perché mai avrei immaginato una ragazza forte e indipendente come lei potesse arrivare a commettere un atto estremo di quel tipo. Tornai quindi subito a Parigi dove i dottori mi avvisarono che si era tagliata i polsi nella doccia e per via della massiccia perdita di sangue aveva perso i sensi sbattendo pesantemente a terra. Rimase in coma per pochi giorni prima che dichiararono la morte celebrale. In quei momenti venni a conoscenza, per la prima volta, della depressione che la perseguitava da anni tramite una sua amica. Lei non mi aveva mai rivelato nulla e io non lo avevo mai capito. Io..." i singhiozzi mi impediscono quasi di parlare mentre davanti agli occhi continuo a vedere il corpo della giovane ragazza immobile e freddo. Delle forti braccia mi circondano mentre cado a pezzi distrutto "è stata tutta colpa mia" mi lamento disperato nascondendo il viso nell'incavo del collo di Alec "Non dovevo andarmene senza averle parlato, dovevo capirlo!" urlo strozzato contro la sua pelle. Le sue braccia non mi lasciano mentre mi culla dolcemente "è tutta colpa mia!" ripeto rivivendo ancora e ancora quei momenti in ospedale e la sensazione provata al telefono. Io ho perso lei e potevo perdere anche Alexander "Lei non c'è più!" mormoro straziato stringendo forte la maglietta di Alec tra i pugni "Io...io potevo perdere anche te" sussurro sentendo il fiato mancare. Lui pare accorgersene perché mi allontana scrollandomi forte per le spalle "Sono qui, sono qui amore" mi ripete con forza, ma i miei occhi sono appannati di ricordi, non riesco più a distinguere la verità nella mia mente. Una sua mano cattura la mia appoggiandola sul suo cuore "Respira ti prego, respira!" mi incita a seguire il suo respiro affannato, ma pur sempre più calmo rispetto al mio. Appoggia la fronte sulla mia mentre sussurra come una litania di continuare a respirare e che lui è qui e sta bene. Lentamente sento la stretta ai polmoni allentarsi e la gola smettere di bruciare, lui mi aiuta a distendermi e mi stringe forte contro il suo petto in silenzio aspettando con calma che io torni patrone del mio corpo e della mia mente. Non smette mai di sussurrarmi parole dolci e rassicuranti al mio orecchio e questo mi aiuta a riemergere dal profondo della mia mente. Ricambio quindi la stretta e inalo una profonda boccata del suo profumo, nessuno dei due parla perché troppo scossi. Rimaniamo semplicemente abbracciati a lungo accarezzandoci piano, lui i miei capelli e io il braccio teso verso di me. Quando mi sento abbastanza tranquillo riprendo a parlare "Ecco tutto quello che c'è da sapere, il resto già lo sai. Sono semplicemente tornato a New York nella speranza di ricominciare e con l'aiuto di Ragnor e Raphael ci sono riuscito, poco dopo ho conosciuto Catarina e deciso di aprire il locale" concludo tirando su col naso e sospirando pesantemente. Lui mi stringe ancora più forte, se possibile, e sussurra piano "Grazie per esserti aperto con me" strofina con estrema dolcezza il naso su una mia guancia prima che io sollevi il viso per congiungere le mie labbra con le sue molto più morbide del solito perché bagnate di lacrime. Rimaniamo lunghi attimi a fissarci prima che lui prenda coraggio per continuare a parlare "Permettimi solo...permettimi di dirti che non è stata colpa tua, che non devi vivere con questo fardello" mormora insicuro per via di una mia possibile reazione. Io semplicemente scuoto la testa rassegnato "Non dirlo, non cercare di nascondere le mie colpe per farmi sentire meglio" lo prego con voce tremante mentre la mia mente si rifiuta di credere a certe parole "Amore sono serio, non potevi saperlo che stava male! Se lei non ti ha mai detto nulla o fatto capire il suo malessere, come potevi aiutarla? Neanche i suoi genitori ti avevano avvisato da quanto ho capito" mormora dolcemente non lasciando andare il mio sguardo "Non lo sapevano, la sua migliore amica non aveva mai detto nulla a nessuno perché aveva promesso a Camille che se si sarebbe fatta aiutare dallo psicologo della scuola avrebbe mantenuto il segreto" racconto sconfortato e spaventato ancora da quei momenti che mi rincorrono nella mia quotidianità per ricordarmi che non sono capace a mantenere una relazione. "Allora come avresti potuto? Ti prego hai già sofferto così tanto! Non farti uccidere dal rimorso, lo vedo dai tuoi occhi che lo porti dentro e ogni giorno ti logora un po' dentro" mi supplica disperato e terrorizzato dalla mia vulnerabilità. Rimango in silenzio cullandomi con le sue dolci parole "Ti amo, voglio solo che tu sappia che è grazie a te che sono tornato a vivere e mi sono concesso di pensare che potevo far anche del bene in una relazione" sussurro a fatica cercando di cancellare le ultime lacrime di dolore versate. Lui mi accarezza con estrema cura la guancia con il pollice prima che mi sorrida emozionato "Tu non hai idea di quanto mi fai stare bene amore" mormora sincero prima di unire le nostre labbra in un altro dolce bacio a stampo "Ti amo" sussurra nella mia bocca prima di approfondire il bacio. Rimaniamo abbracciati cercando di raccogliere tutti i miei pezzi fino a quando Maryse non bussa alla porta avvisandoci che è ora di andare in ospedale, ci alziamo a fatica e ci spostiamo in bagno per sciacquarci la faccia costellata da lacrime secche e poi la raggiungiamo in macchina dato che ha deciso di voler imparare i massaggi per aiutare Alec. Probabilmente si è accorta dell'aria pesante tra di noi, ma non commenta rivolgendo ad entrambi brevi occhiate preoccupate. Per tutto il pomeriggio Alexander non riesce a staccarmi gli occhi di dosso, non si lamenta neanche per i dolorosi esercizi inserirti da Andy per permettergli di riacquistare una falcata normale e non più semplici passi. Semplicemente mi guarda cercando con lo sguardo di trasmettermi tutta la fiducia che ripone in me, rassicurandomi della sua presenza costante. Assicurandomi che non cada a pezzi da un momento all'altro, i suoi occhi sembrano gridare che tutto finalmente andrà bene. Forse, dopo oggi, posso finalmente mettere un punto al mio passato e ricominciare a respirare per davvero con lui accanto. Voglio solo poter essere felice e smetterla di sentirmi sempre così pesante. Spero che questo sia un nuovo inizio per me, Alexander è semplicemente tutto quello che ho e lotterò fino a non avere più forze per tenerlo a mio fianco e avere la possibilità di prendermene cura. Io affianco a lui mi sento, per la prima volta nella mia vita, invincibile e pronto a sopportare di tutto. Lui per me è la luce, è la mia armatura. Sono finalmente pronto per vivere questa vita. Per questo motivo non posso che ricambiare le sue occhiate con luminosi sorrisi che gli rispondono un semplice ' sono finalmente qui e sto bene'.

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Grazie per essere arrivate alla fine di questo capitolo, spero di ricevere tante voste recensioni con la descrizione delle vostre sensazioni una volta scoperta l'intera storia di Magnus. Scusatemi per il ritardo.
Il pessimo sarà l'epilogo 😣

Noi e nessun altro || MalecDove le storie prendono vita. Scoprilo ora