20 • l'invito

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Il braccio di Aima mi cingeva la vita, mentre lui, profondamente addormentato, respirava piano contro il mio collo, finalmente sereno

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Il braccio di Aima mi cingeva la vita, mentre lui, profondamente addormentato, respirava piano contro il mio collo, finalmente sereno.

Ed io, nonostante l'estrema vicinanza, continuavo ad autoconvincermi che non fossi davvero di nuovo a letto con lui, e, per questo, continuavo a dargli le spalle, tenendo i miei occhi ben fissi davanti a me.

Avevamo festeggiato, quella sera, cenando in compagnia di tutto il popolo, che, per il suo reggente, aveva disposto in tutta la Corte ampi tavoli e preparato un lussuoso banchetto.

Aima mi aveva donato un bel vestito, uno per cui, probabilmente, mi sarei quasi sentita in colpa nel portarlo, ma non mi aveva rifornito di una nuova scatola di lenti a contatto: in poche parole, adornata come una vera regina, ma indifesa come un fuscello d'erba, ero rimasta al suo fianco mentre, vittorioso, si presentava al suo popolo, inneggiando alla sua gloria.

Ed ero rimasta lì, in silenzio, forte del fatto che Aima fosse troppo occupato nei festeggiamenti e a rispondere alla gioia dei suoi sudditi per badare a me: avevo visto anche Serena, sul lato opposto della piazza, ma si limitò a farmi un veloce cenno di saluto.

I suoi occhi, però, dissero tutto: era felice che mi fossi svenduta per il piacere del fratello.

Poi arrivò il momento di fingere, quando fiumi di demoni, sotto invito di Aima, iniziarono a venirmi vicino e a complimentarsi con me per il mio aspetto e la forza che avevo avuto nello scappare dalla fazione angelica.

Io sorridevo e mi beavo dei loro complimenti, che, però, non mi rendevano felice come avrei pensato solo qualche giorno prima.

Perché non riuscivo ad esserlo? Perché non riuscivo a bearmi di quell'affetto, per quanto sapessi derivasse da una motivazione sbagliata? In fondo, tutto ciò che avevo sempre sognato era l'essere accettata dal mondo in cui vivevo, ed ora ne ero perfino diventata la regina.

Una regina amata, per giunta, per il coraggio e l'astio dimostrato verso i tanto odiati rivali: a quanto pare, farsi apprezzare dai demoni era più facile di quanto credessi.

Comunque, non mi bastava, non mi accontentavo, e il mio cuore continuava a rimanere vuoto: una vera e propria tabula rasa in cui niente sembrava avere abbastanza importanza per rimanervi affissato.

Forse, ero davvero io quella sbagliata.

Sospirai, inumidendomi le labbra, e, ancora persa nei miei pensieri, allungai la mia mano sotto il letto, aiutata dal fatto che fossi supina, per sfiorare la vecchia felpa di Ethos.

Ero stata io a nasconderla lì, impigliata fra il materasso e le doghe del letto, in modo che Aima non si accorgesse di nulla: probabilmente, lui credeva si fosse persa nel tempo o, comunque, non ci pensava più.

Ne strinsi il tessuto, ormai consumato e ruvido per le troppe volte in cui l'avevo usata per raccogliere le mie lacrime o nelle notti di paura, e quasi mi parve di sentirne il profumo – quello, però, probabilmente esisteva solo nella mia testa.

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